Nel dubbio, fate uno spaghetti western: l'italianità di un genere
Perchè parlare oggi dello spaghetti western, un fenomeno irripetibile, ma morto e sepolto? Un fenomeno i cui effetti non sembrano essere stati particolarmente rilevanti nel processo di mutamento culturale di un paese?
Queste sono alcune delle domande che mi sono posto nel momento in cui ho preso in considerazione la scelta di questo argomento. Senza dubbio, questa tesi è stata per me l’opportunità di mettere ordine a molte idee e intuizioni che ho sviluppato in questi due anni di full-immersion nel western all’italiana. Sono dell’opinione che il western all’italiana abbia molto da insegnare, a livello di capacità comunicativa e creativa.
Affronterò, nel corso della tesi, la questione dell’importanza dell’istinto e dell’inequivocabilità nel fare comunicazione e, tracciando un profilo dello spaghetti western, tenterò di dimostrare quanto l’assimilazione e la rielaborazione di una cultura da parte di un’altra porti a forme di comunicazione innovative e originali.
Ho tentato, inoltre, di concentrarmi su aspetti e chiavi di lettura che non ho riscontrato nella letteratura sull’argomento; la bibliografia che riguarda questo genere è ancora piuttosto limitata. L’eccezione è rappresentata dai contributi, abbastanza numerosi e qualificati, relativi al regista Sergio Leone. Vale a dire colui che del western all’italiana è stato il maggior autore e, anzi, il vero e proprio creatore.
Il western all’italiana, trattando il genere dopo averlo sradicato dalla sua terra di origine, si trovò dunque a esprimere coordinate culturali differenti e, in parte, anche a rispondere a esigenze di una maggiore veridicità, quali erano avanzate da platee sempre più smaliziate.
Gli spaghetti western appaiono come film abitati più da maschere che da personaggi. Costruiti su sfondi cripto-onirici che nulla conservano dell'ariosità di un tempo. I western indigeni, rispetto al modello classico americano, sono percorsi interamente da un penetrante istinto di morte. Le colt sgranano quasi senza sosta il proprio rosario funebre. I cadaveri vengono spesso addirittura impilati. Il panorama si trasmuta in "un cimitero la cui superficie sembra quasi incommensurabile dall'occhio umano e i cui confini si spingono quasi oltre la linea dell'orizzonte, dove lo spazio è misurato e scandito da un numero indefinito di croci" (G. P. Brunetta).
Grazie a un montaggio nervoso - che alterna rapide accelerazioni a ieraticità del gesto e a una spiccata evidenziazione dei dettagli - e facendosi forte delle innovative colonne sonore di Ennio Morricone (ove, immaginificamente, si mescolano musica sacra e sonorità jazzistiche), il regista romano crea un linguaggio del tutto inedito e dà origine a uno stile che si farà via via più raffinato, di pari passo con l'irrobustirsi della sua vena narrativa.
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Informazioni tesi
Autore: | Stefano Mutolo |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Media e Giornalismo |
Relatore: | Fabrizio Lucherini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 83 |
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