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Le contraddizioni dei moderni welfare states e la riflessione di Ralf Dahrendorf

Questo lavoro parte da una riflessione molto semplice: i sistemi di welfare state che sono stati creati nel secondo dopoguerra in Italia ed in Europa sono in forte crisi. Quali sono le cause di tale crisi? È possibile trovare delle soluzioni che ci permettano di imboccare la strada del mutamento?
Attraverso un breve percorso storico, ho cercato di passare in rassegna innanzitutto le motivazioni che stanno alla base dei sistemi di welfare che oggi ci troviamo di fronte, arrivando ad una prima conclusione intorno al fatto che essi erano necessari per la sopravvivenza di una buona fetta della popolazione, a causa delle storture create dal mercato nella ripartizione della ricchezza nazionale. Ma una prima anomalia riscontrata è stata quella riguardo le forme di applicazione di questi meccanismi necessari: inizialmente teorizzati (Marshall) con un’estensione universalistica, molti di essi sono stati declinati in modo settoriale, arrivando, come in Italia, ad un sistema a larghissima copertura riservato solo ad un certo tipo di lavoratore, e cioè all’uomo assunto a tempo indeterminato, con famiglia a carico e (spesso) sindacalizzato.
Al venir meno delle condizioni societarie che hanno creato la necessità di un intervento pubblico mirato ai soggetti di cui sopra, con agevolazioni e sussidi prevalentemente (se non esclusivamente) monetari e fiscali (e cioè i welfare states che vediamo oggi), questo intervento è diventato profondamente inadeguato. Attraverso lo studio dei concetti fondamentali di un liberale anglo-tedesco, Ralf Dahrendorf, il cui pensiero socio-politico ci accompagna per tutto il testo, ho cercato di spiegare come si manifestano concretamente queste inadeguatezze nel funzionamento degli istituti di welfare.

Per quanto riguarda i problemi dei moderni sistemi di assistenza, uno dei punti che è stato fissato concerne l’immobilismo degli istituti preposti al loro funzionamento, che sono diventati Istituzioni (quindi funzionanti di per sé) e che non permettono il mutamento a quel livello, sollecitato invece dal cambiamento avvenuto nella società. Infatti, seguendo la riflessione di Dahrendorf, si può ben vedere come la cosiddetta postmodernità influisca sulla determinazione delle coscienze e delle identità individuali, provocando un distacco della società attuale da quella passata. Infatti nella vecchia società la definizione delle identità era di tipo ascrittivo, mentre oggi prevale l’autodeterminazione, e questo fa sì che i problemi sociali che prima venivano considerati (e trattati) come problemi di larga fascia, e sostanzialmente dovuti al funzionamento della società stessa, oggi vengano vissuti come personali e, quindi, difficilmente declinabili in forme tipiche. Di qui l’inutilità di molti strumenti oggi usati per combattere le sperequazioni.
Ma tutto questo provoca anche un ulteriore danno, e cioè quello del mancato progresso della società: le potenzialità presenti, dice Dahrendorf, non sono più soddisfatte dallo status istituzionale vigente, c’è un forte scollamento tra la società e le Istituzioni (sempre molto lente nel cambiamento) che favorisce una delegittimazione delle istituzioni stesse.
Ma come siamo arrivati a tutto questo? Come siamo arrivati ad una situazione in cui i mezzi non sono più adatti alla risoluzione dei nuovi problemi? Un neo, sostiene il sociologo anglo-tedesco, è probabilmente quello di aver cambiato in corsa le regole del gioco: se con i sistemi di welfare si intendeva dare eguali opportunità a tutte le persone, per vie traverse si è invece arrivati a riconoscere un’asettica uguaglianza di risultato, spegnendo di fatto l’utilità degli entitlements con tanta fatica conquistati.
Esiste un rimedio a questa situazione?
Alcuni studiosi e politici hanno avanzato l’ipotesi di un nuovo contratto sociale, visto anche che le classi medie stanno mettendo fortemente in discussione il patto redistributivo del secondo dopoguerra. Dahrendorf scarta quest’ipotesi, motivandola col fatto che oggi non si tratta di modificare in toto le istituzioni della società, ma solo di renderle permeabili al mutamento. In questo modo si andrebbero a toccare solo alcune clausole del contratto, ma non le sue basi, perché è abbastanza pacifico che la nostra società complessa non potrebbe sopportare un regime alla Nozick (cioè con un settore pubblico che si occupa solo di giustizia, difesa e ordine pubblico).

Quello che si ritiene indispensabile sembra proprio un cambiamento di atteggiamento da parte delle Istituzioni, uno sforzo collettivo di elaborazione di un qualcosa che sia diverso dall’esistente che ogni giorno ci troviamo davanti, in quanto le potenzialità presenti nella società aumentano col passare del tempo. La sfida è quella di dare il maggior numero di chances di vita al maggior numero di persone.


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1 CAPITOLO I Introduzione I - 1. La rivoluzione industriale è stata un evento epocale nella storia dell’uomo, che ha portato cambiamenti non solo nel modo di produrre e nel modo di intendere il commercio, ma è stata, nel vero senso del termine, una rivoluzione, che ha riguardato tutti gli aspetti dell’allora ancor giovane mondo moderno. Essa non ha solamente distrutto i vecchi regimi politici attraverso l’esigenza di nuove frontiere per lo sviluppo economico; non ha solamente portato al potere una nuova classe che ha stracciato i vecchi privilegi nobiliari cercando di creare una società basata sul merito e sull’ingegno; ha anche mutato e stravolto l’esistenza di milioni di persone che sono diventati il fulcro della rivoluzione stessa: i lavoratori salariati. Ingenti masse di persone si sono viste costrette ad entrare a lavorare in fabbrica dopo che, per secoli, il tessuto economico del mondo era stato retto dall’agricoltura e dall’artigianato. Il salto è stato forte e terribile. Le condizioni di lavoro e di vita dei primi salariati erano quasi peggiori di quelle degli antichi schiavi. Ad oggi, molti passi in avanti sono stati fatti sul fronte del lavoro e del tempo ad esso connesso, passi avanti dovuti a grandi lotte effettuate da associazioni di lavoratori che hanno piano piano rivendicato sempre più dignità e sicurezza, sia sul luogo di lavoro sia nella quotidianità domestica.

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cittadino
contraddizioni
crisi
dahrendorf
istituzioni
reddito minimo
welfare state

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