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La tv a colori. Marketing e integrazione nell'Italia che cambia

L’elaborato si propone di investigare i rapporti intrattenuti dai grandi network televisivi free on air in Italia e gli immigrati che vi risiedono, privilegiando certamente l’aspetto di marketing (ma tenendo presente le necessità integrative proprie di una società in forte cambiamento), per come rappresentati nella televisione di intrattenimento (dalla ricerca viene esclusa la programmazione di servizio).
Poiché l’argomento coinvolge una molteplicità di dimensioni si procederà con l’analisi del sostrato teorico, sia per quanto riguarda gli studi più pertinenti in proposito alle comunicazioni di massa, sia per quanto concerne un accenno alle riflessioni sull’integrazione e il marketing etnico. Attraverso il primo capitolo si spera quindi di fornire i mezzi concettuali per comprendere le linee di sviluppo della tesi sostenuta: le televisioni, principalmente, hanno lo scopo di vendere se stesse (soprattutto attraverso la concessione di spazi pubblicitari, collocati all’interno del palinsesto, alle aziende) e per questo devono attrarre volumi sempre più consistenti di pubblico, all’interno del quale si collocano gli immigrati; ma le stesse televisioni sono uno specchio, più o meno fedele, della società e hanno la capacita di produrre esternalità, che possono essere sia positive che negative.
In questo caso l’esternalità negativa sarebbe l’incentivazione della xenofobia, mentre, all’inverso, l’esternalità positiva è costituita dall’integrazione. Quest’ultima passa anche attraverso la produzione di immagini positive della figura dello straniero, il quale si trova a guardarle e a sviluppare una certa empatia per i personaggi che gli sono simili. Questo sentimento di empatia potrebbe evolversi in una sorta di fedeltà al programma, il quale maturerebbe un’audience più consistente: un dato sempre interessante per le agenzie pubblicitarie, che si rivolgerebbero ad un ulteriore target, quello appunto degli immigrati.
Per poter considerare i dati raccolti in merito alla situazione dei media in Italia con una certa cognizione di causa, si è pensato di procedere collocando il nostro Paese in un più ampio contesto internazionale, privilegiando le altre nazioni che si siano precedentemente trovate ad affrontare il problema della rappresentazione su piccolo schermo delle minoranze etniche. Si è quindi analizzata la produzione statunitense, europea (con particolare considerazione per la normativa UE in materia televisiva), per poi puntare il focus su Francia e Gran Bretagna.
Dal momento che il questionario, sottoposto ad un numero molto ristretto di immigrati, non era sufficiente per definire la condizione di vita propria dello straniero in Italia, ne tanto meno a comprendere quali storie debbano essere proposte nel tessuto narrativo proprio della televisione, si è pensato di integrare il discorso con una ricerca di sfondo che tratteggiasse le vicissitudini più comuni del percorso migrativi, completandole attraverso i dati relativi all’integrazione.
Nonostante la ristrettezza del campione, i dati del questionario sono stati completamente riportati e commentati. Riguardano, in special modo, il consumo televisivo e sono stati utili nello svolgimento dell’analisi del contenuto televisivo: detto in altre parole, ci si è fatto suggerire dagli stessi interessati cosa guardare.
L’analisi ha riguardato, come più sopra accennato, la televisione di intrattenimento di produzione italiana:
- fiction
- cinema
- intrattenimento (spettacolo/varietà)
- pubblicità
Per ogni genere è stata riportata la storia e, di conseguenza, il ruolo ricoperto dall’immagine dello straniero, in generale, e dell’immigrato residente in Italia. Solo successivamente si espongono i dati raccolti per il periodo che va dal 24 di settembre al 26 ottobre del 2007, relativamente alle emittenti RAI, Mediaset, LA7 e i programmi trasmessi in prima serata.

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3 1. Introduzione Se prendiamo le mosse, selezionandola nell’universo di definizioni proposte dalla teoria sociologica, dall’accezione parsonsiana del concetto e assumiamo la comunicazione come “trasmissione di informazione da un’unità all’altra nei termini di un codice condiviso, le cui regole sono comprese e accettate”, è legittimo chiedersi se, all’interno di un qualunque contesto nazionale (in cui, lapalissianamente, la comunicazione è non esclusivamente un fattore caratteristico dei meri rapporti interpersonali, ma funzione di sistemi più complessi, quale, tra tutti, quello mediatico) questo modello di rapporto comunicativo sia condiviso da tutta la popolazione presente sul territorio. È un dato di fatto che le nostre società siano estremamente variegate, dal punto di vista degli stili di vita, come da quello culturale ed etnico. Sarebbe, in questa prospettiva, assurdo affermare la onnicomprensività di tutti i concetti mediati dalla comunicazione, sia nelle interazioni faccia a faccia, che in quelle che rientrano nell’ambito delle comunicazioni di massa. Questo problema di comprensione nella comunicazione diviene sempre più il nodo gordiano della convivenza nella misura in cui le città, così come le campagne, in qualunque angolo del mondo vengono invase da stranieri. E se il problema si pone, in modo occasionale e del tutto fuggevole, nel limitato tempo di un viaggio, sia esso di piacere o d’affari, è tutt’altra cosa affrontarlo “a casa propria”, ovvero all’interno dei propri confini nazionali, alla fermata dell’autobus, o nei rapporti col vicino di casa. Una questione spinosa che l’Italia sta vivendo in tutta la sua drammaticità e consapevolezza solo da pochi decenni, nonostante gli spostamenti intranazionali abbiano caratterizzato tutto il periodo immediatamente successivo alla seconda Guerra Mondiale, mettendo a confronto due culture quasi del tutto estranee, non rese ancora omogenee da quel portatore culturale che è il mezzo televisivo (e, poco prima, dalla radio), ponendo gli stessi conflitti tra i membri di un popolo che si voleva dare per unificato già da più di mezzo secolo. Ed ora che l’unità degli italiani è pressoché compiuta, arrivano a complicare il quadro “orde” di immigrati, persone in fuga da situazioni complesse, che hanno le tinte fosche della miseria, della guerra, o più semplicemente soggetti che traiettorie di vita, dai colori più leggeri, hanno spinto

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