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La sostenibilità del debito pubblico: uno sguardo dopo la crisi dei titoli sovrani in Europa

Il 2010 è stato senza dubbio l'anno peggiore nella breve storia dell'euro, a causa della crisi dei debiti sovrani in Grecia e Irlanda. Il 23 aprile la Grecia chiede assistenza internazionale. Passano lunghi giorni in attesa di un segnale europeo, che si contretizza solo nei primi giorni di maggio. Un aiuto comune di Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale mette a disposizione 110 miliardi di euro di prestiti. Passata l'estate si apre il capitolo irlandese. Questa volta l'origine della crisi ha caratteristiche del tutto diverse, ma il risultato è lo stesso: l'Irlanda dichiara che da sola non può più farcela a rifinanziare il proprio deficit.

Messo per molti anni da parte, il problema del debito pubblico ritorna dunque in auge nel contesto di una crisi economico-finanziaria che sembrava inizialmente aver colpito di più il settore privato. Ma va da sé che in un'economia mondiale così strettamente intercorrelata, dalla crisi del settore privato si passa con grande facilità al pubblico e viceversa. Una parte rilevante della letteratura economica si è concentrata sul tema del debito pubblico soprattutto negli anni '80, proprio mentre cresceva vertiginosamente il livello di indebitamento negli Stati Uniti con la presidenza Reagan – meno tasse e più spese militari – e in Europa in alcuni Paesi tra cui l'Italia. L'eredità di quegli anni si fa sentire ancora molto nel nostro Paese e limita fortemente la nostra capacità di spesa e di indirizzo degli investimenti pubblici. Passata l'emergenza, il problema del debito sovrano è sembrato in qualche modo accantonato, per poi ritornare prepotentemente oggi.
Perché gli Stati si sono indebitati e continuano a indebitarsi così tanto? Come riescono tecnicamente i governi a raccogliere i capitali nazionali e internazionali sul mercato? Quali sono gli effetti sull'economia di un alto indebitamento? Fino a che punto è tollerabile la crescita del debito pubblico? Cosa succede se uno Stato non può più onorare il debito contratto? A queste ed altre domande prova a rispondere questa tesi.

Siamo consapevoli del fatto che un ulteriore crollo della tenuta finanziaria del sistema economico europeo – circostanza che l'Fmi non esclude – significherebbe dover affrontare una paralisi economica mai vista prima in Europa. Oggi come mai nel passato il problema finanziario di un nostro vicino è innanzitutto un nostro problema, come hanno dimostrato le turbolenze dell'ultimo anno. Per questo il taglio che abbiamo voluto dare alla tesi nel capitolo 5 e nelle considerazioni conclusive – dopo un'attenta analisi della teoria e della prassi – è un taglio continentale.

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1 Origini e giustificazioni teoriche alla base della crescita dell'intervento pubblico 1.1 La scuola economica classica e neoclassica: l'inutilità dell'intervento statale Per scuola classica s'intende quella scuola che ha dominato nel pensiero economico tra Settecento e Ottocento. Comprende autori molto noti ed eterogenei, come Adam Smith, David Ricardo, Thomas Robert Malthus, John Stuart Mill e Jean-Baptiste Say. Nella seconda metà dell'Ottocento prende piede la teoria neoclassica: altro non è, come suggerisce il nome stesso, che un completamento della scuola classica con l'introduzione del concetto, fondamentale nel pensiero economico moderno, del marginalismo 1 . Tra i maggiori autori vanno ricordati William S. Jevons, Cari Menger, Léon Walras e Vilfredo Pareto. Per David Ricardo, e per i classici in genere, la questione del debito pubblico viene considerata nell'ambito dei problemi di finanza straordinaria. Può essere necessario ricorrervi in momenti eccezionali, come per una guerra. L'alternativa alla spesa finanziata con disavanzo è l'introduzione di un'imposta. Quale delle due scelte è la migliore? Secondo Ricardo prestito e imposta sono equivalenti, essendo il prestito un'imposta che va a gravare sul futuro, con l'aggiunta degli interessi da pagare. Per questo motivo, è preferibile l'imposta perché l'onere del debito pubblico andrebbe trasferito alle 1 E. MARELLI - M. SIGNORELLI, Politica economica , Giappichelli, 2010, p. 5 8

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