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La lottizzazione della Rai. Partiti politici e servizio pubblico televisivo in un quadro comparato

Perché la televisione italiana è sempre parsa un’appendice della politica, uno strumento asservito al potere e ai partiti? E fino a che punto tale percezione ha corrisposto alla realtà dei fatti e quanto, invece, vi è stato di strumentalizzazioni polemiche? Questo lavoro cercherà di dare una risposta a tale quesito, suddividendosi in due parti. La prima riguarda le vicende storiche del servizio pubblico che, nel nostro Paese, è incarnato nella Rai, con un focus particolare sui meccanismi di nomina dirigenziale e sull’influenza che il potere politico ha ed ha avuto su di essa. La seconda si presenta come un breve confronto, tenendo fermi i parametri di comparazione, tra le emittenti di servizio pubblico di Italia, Gran Bretagna, Francia e Germania. Dopo la conclusione, un’appendice riporta gli elenchi dei presidenti, dei direttori generali e degli amministratori delegati della Rai, oltre a due interviste dedicate al parere di due esperti, a loro modo diversi, sull’attuale condizione della Radiotelevisione Italiana.

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4 INTRODUZIONE La parola “lottizzazione” viene da “lotto” (fr. lot, da un’antica voce franca, col significato di “eredità, sorte, bottino, parte assegnata”) e ha una connotazione di tipo edilizio-urbanistico. In tempi recenti, però, il termine è stato sempre piø riferito all’ambito politico, ad indicare la spartizione concordata di cariche dirigenziali in aziende ed enti pubblici tra i diversi partiti politici o fazioni, ai fini di distribuire tali cariche a guisa di benefit per i sostenitori di quelle parti politiche stesse. Il vocabolo lottizzazione fu applicato per la prima volta alla Rai (in un’accezione fortemente polemica) dal giornalista e scrittore Alberto Ronchey, in una lettera inviata a Ugo La Malfa il 14 ottobre 1968 1 , ma si può dire, senza timore di essere smentiti, che la televisione è, in Italia, il mass media che piø di ogni altro ha subìto l’influenza della politica nel corso del tempo. Prima dell’affermazione di Ronchey, la Rai era già sotto uno stretto controllo politico, piø precisamente del Governo, all’epoca monopolizzato già da venti anni dal partito della Democrazia Cristiana. La situazione cambia con la Riforma del 1975, che pone le premesse per l’istituzionalizzazione della spartizione partitica della Rai: sotto la bandiera del pluralismo, la concessionaria del servizio pubblico viene messa a disposizione del Parlamento, non piø del Governo. Ciò porterà ad una progressiva lottizzazione delle reti e dei rispettivi telegiornali a favore dei partiti piø forti nell’emicerchio, ovvero la solita Democrazia Cristiana (che si accaparra l’intera Raiuno), il Partito Socialista Italiano (a cui va Raidue) e il Partito Comunista Italiano (che si impossesserà di Raitre). Questo quadro verrà ribaltato da Tangentopoli: i partiti storici si dissolvono e vengono sostituiti da nuove forze politiche (Forza Italia, Lega Nord, Partito Democratico della Sinistra, Centro Cristiano Democratico) ma la lottizzazione sarà un fenomeno che sopravviverà e, al contrario, prospererà nella cosiddetta Seconda Repubblica, venendo coadiuvato da un principio nuovo, la par condicio. Detto questo, la domanda sorge spontanea: perchØ la televisione italiana è sempre parsa un’appendice della politica, uno strumento asservito al potere e ai partiti? E fino a che punto tale percezione ha corrisposto alla realtà dei fatti e quanto, invece, vi è stato di strumentalizzazioni polemiche? Questo lavoro cercherà di dare una risposta a tale quesito, suddividendosi in due parti. La prima riguarda le vicende storiche del servizio pubblico che, nel nostro Paese, è incarnato nella Rai, con un focus particolare sui meccanismi di nomina dirigenziale e sull’influenza che il potere politico ha ed ha avuto su di essa. La seconda si presenta come un breve confronto, 1 Il segretario repubblicano aveva chiesto a Ronchey di accettare, da “indipendente” ma su designazione del suo partito, una nomina nel Comitato Direttivo e nel Consiglio d’Amministrazione dell’azienda. Ronchey però rifiuta. A questa prima lettera ne seguirono altre due, datate rispettivamente 21 ottobre e 14 novembre dello stesso anno. E in tutte e tre compare, in questo nuovo significato televisivo, la parola “lottizzazione”. Nella prima lettera Ronchey ne denuncia l’imminente pericolo; nella seconda rafforza la sua analisi; nella terza rifiuta definitivamente la proposta. Ecco una selezione delle tre lettere: 1. “Caro La Malfa, un’improvvisa spartizione del potere, concordata fra democristiani e socialisti senza chiedere altri consigli e a quanto pare senza ripensamenti, sta per sconvolgere il Telegiornale e i Servizi giornalistici della televisione. […] Si direbbe che i partiti perseguano in questo delicato servizio pubblico un puro profitto di potere -così come altrove il mondo della pubblicità e degli affari piega le televisioni commerciali a fini di puro profitto economico- senza riguardo per la qualità dell’informazione e per l’opinione pubblica, con grande sperpero di risorse tecniche e culturali. Ai lottizzatori della tv basta che ogni redazione abbia un direttore democristiano e un vicedirettore socialista. […]” 2. “[…] Esempi: Telegiornale, Servizi collaterali, programmi culturali-educativi. Questa lottizzazione non può essere funzionale per l’azienda nØ utile dal punto di vista dell’interesse pubblico; è semplicemente meccanica […] e per assurdo un socialista è nei migliore dei casi un “vice” per definizione”. 3. “Non ho avuto sufficienti garanzie contro la prospettiva che la RAI-TV sia gestita in base a un rigido accordo fra due partiti, scavalcando il Comitato Direttivo dell’azienda […]. In tali circostanze, non vedo quale apporto potrei dare alla RAI-TV se fossi membro del suo Consiglio d’Amministrazione e del suo Comitato Direttivo […]. Ti ringrazio della fiducia che il tuo partito mi aveva dato, designandomi a quegli incarichi in condizione di autonomia e come professionista indipendente”.

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