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INTRODUZIONE
La parola “lottizzazione” viene da “lotto” (fr. lot, da un’antica voce franca, col significato di
“eredità, sorte, bottino, parte assegnata”) e ha una connotazione di tipo edilizio-urbanistico. In
tempi recenti, però, il termine è stato sempre piø riferito all’ambito politico, ad indicare la
spartizione concordata di cariche dirigenziali in aziende ed enti pubblici tra i diversi partiti
politici o fazioni, ai fini di distribuire tali cariche a guisa di benefit per i sostenitori di quelle
parti politiche stesse. Il vocabolo lottizzazione fu applicato per la prima volta alla Rai (in
un’accezione fortemente polemica) dal giornalista e scrittore Alberto Ronchey, in una lettera
inviata a Ugo La Malfa il 14 ottobre 1968
1
, ma si può dire, senza timore di essere smentiti,
che la televisione è, in Italia, il mass media che piø di ogni altro ha subìto l’influenza della
politica nel corso del tempo. Prima dell’affermazione di Ronchey, la Rai era già sotto uno
stretto controllo politico, piø precisamente del Governo, all’epoca monopolizzato già da venti
anni dal partito della Democrazia Cristiana. La situazione cambia con la Riforma del 1975,
che pone le premesse per l’istituzionalizzazione della spartizione partitica della Rai: sotto la
bandiera del pluralismo, la concessionaria del servizio pubblico viene messa a disposizione
del Parlamento, non piø del Governo. Ciò porterà ad una progressiva lottizzazione delle reti e
dei rispettivi telegiornali a favore dei partiti piø forti nell’emicerchio, ovvero la solita
Democrazia Cristiana (che si accaparra l’intera Raiuno), il Partito Socialista Italiano (a cui va
Raidue) e il Partito Comunista Italiano (che si impossesserà di Raitre). Questo quadro verrà
ribaltato da Tangentopoli: i partiti storici si dissolvono e vengono sostituiti da nuove forze
politiche (Forza Italia, Lega Nord, Partito Democratico della Sinistra, Centro Cristiano
Democratico) ma la lottizzazione sarà un fenomeno che sopravviverà e, al contrario,
prospererà nella cosiddetta Seconda Repubblica, venendo coadiuvato da un principio nuovo,
la par condicio. Detto questo, la domanda sorge spontanea: perchØ la televisione italiana è
sempre parsa un’appendice della politica, uno strumento asservito al potere e ai partiti? E fino
a che punto tale percezione ha corrisposto alla realtà dei fatti e quanto, invece, vi è stato di
strumentalizzazioni polemiche?
Questo lavoro cercherà di dare una risposta a tale quesito, suddividendosi in due parti. La
prima riguarda le vicende storiche del servizio pubblico che, nel nostro Paese, è incarnato
nella Rai, con un focus particolare sui meccanismi di nomina dirigenziale e sull’influenza che
il potere politico ha ed ha avuto su di essa. La seconda si presenta come un breve confronto,
1
Il segretario repubblicano aveva chiesto a Ronchey di accettare, da “indipendente” ma su designazione del suo
partito, una nomina nel Comitato Direttivo e nel Consiglio d’Amministrazione dell’azienda. Ronchey però
rifiuta. A questa prima lettera ne seguirono altre due, datate rispettivamente 21 ottobre e 14 novembre dello
stesso anno. E in tutte e tre compare, in questo nuovo significato televisivo, la parola “lottizzazione”.
Nella prima lettera Ronchey ne denuncia l’imminente pericolo; nella seconda rafforza la sua analisi; nella terza
rifiuta definitivamente la proposta. Ecco una selezione delle tre lettere:
1. “Caro La Malfa, un’improvvisa spartizione del potere, concordata fra democristiani e socialisti senza chiedere
altri consigli e a quanto pare senza ripensamenti, sta per sconvolgere il Telegiornale e i Servizi giornalistici della
televisione. […] Si direbbe che i partiti perseguano in questo delicato servizio pubblico un puro profitto di potere
-così come altrove il mondo della pubblicità e degli affari piega le televisioni commerciali a fini di puro profitto
economico- senza riguardo per la qualità dell’informazione e per l’opinione pubblica, con grande sperpero di
risorse tecniche e culturali. Ai lottizzatori della tv basta che ogni redazione abbia un direttore democristiano e un
vicedirettore socialista. […]”
2. “[…] Esempi: Telegiornale, Servizi collaterali, programmi culturali-educativi. Questa lottizzazione non può
essere funzionale per l’azienda nØ utile dal punto di vista dell’interesse pubblico; è semplicemente meccanica
[…] e per assurdo un socialista è nei migliore dei casi un “vice” per definizione”.
3. “Non ho avuto sufficienti garanzie contro la prospettiva che la RAI-TV sia gestita in base a un rigido accordo
fra due partiti, scavalcando il Comitato Direttivo dell’azienda […]. In tali circostanze, non vedo quale apporto
potrei dare alla RAI-TV se fossi membro del suo Consiglio d’Amministrazione e del suo Comitato Direttivo
[…]. Ti ringrazio della fiducia che il tuo partito mi aveva dato, designandomi a quegli incarichi in condizione di
autonomia e come professionista indipendente”.
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tenendo fermi i parametri di comparazione, tra le emittenti di servizio pubblico di Italia, Gran
Bretagna, Francia e Germania. Dopo la conclusione, un’appendice riporta gli elenchi dei
presidenti, dei direttori generali e degli amministratori delegati della Rai, oltre a due interviste
dedicate al parere di due esperti, a loro modo diversi, sull’attuale condizione della
Radiotelevisione Italiana.
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CAPITOLO 1 – LE VICENDE STORICHE
Gli inizi: dal fascismo al dopoguerra
Sa come si costruisce un potere personale in
un’azienda?
Ma semplicemente così: il potente mette i suoi amici nei
posti chiave e fa sempre sentir loro che, se stanno seduti
dove stanno seduti, lo devono a lui. Essi devono capire
bene anche questo: che in quattro e quattr’otto, se il
potente lo volesse, potrebbe rispedirli a casa.
(Ettore Bernabei)
La specificità della gestione fortemente politicizzata della televisione in Italia emerge già in
modo inequivocabile dal quadro in cui il servizio pubblico venne a crearsi, durante il
Ventennio fascista. Il 27 agosto 1924, grazie all’impegno del ministro delle Comunicazioni
Costanzo Ciano, nacque l’Unione Radiofonica Italiana (URI), la prima società concessionaria
della radiodiffusione
2
. L’URI era di proprietà privata, partecipata da aziende come General
Electric, Società Idroelettrica Piemontese (SIP) e FIAT
3
. Nel 1927 il Governo ne assunse il
controllo azionario e la trasformò in un ente pubblico, l’Ente Italiano per le Audizioni
Radiofoniche (EIAR)
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. L’EIAR si configurò quindi come uno straordinario mezzo di
propaganda a disposizione dell’establishment politico al potere e per oltre quindici anni svolse
il compito di coagulare consenso attorno all’ideologia totalitaria di Mussolini. A seguito della
caduta del regime fascista, l’EIAR cambiò denominazione e diventò RAI (Radio Audizioni
Italiane) il 26 ottobre 1944, con il decreto legislativo luogotenenziale n. 457
5
. Sotto la
supervisione degli Alleati e con l’instaurazione della repubblica
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, nel 1947 venne delineato il
nuovo quadro legislativo, a dir la verità piuttosto carente (ma prontamente sfruttato dal partito
che avrebbe egemonizzato la vita politica dei decenni successivi, la Democrazia Cristiana),
che avrebbe regolato le trasmissioni radiofoniche della RAI
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: così non fu toccato il diritto
dell’esecutivo alla gestione esclusiva del servizio pubblico di radiodiffusione (tramite il
Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni che, tra le altre cose, controllava
l’approvazione dello statuto aziendale e provvedeva alla nomina del presidente e
dell’amministratore delegato dell’ente concessionario) e vennero creati due organi nuovi, il
Comitato per la determinazione delle direttive di massima culturali, artistiche ed educative
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e
la Commissione parlamentare di vigilanza
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. Entrambe le figure collegiali saranno sempre
poco considerate, specialmente la seconda avrà un impatto pari allo zero per ciò che riguarda
2
Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia, 2001 (IV edizione), pag.
19.
3
“La Radiotelefonia in Italia: dalla SIRAC alla RAI”. http://www.cisi.unito.it/marconi/rai.html
4
F. Monteleone, Storia della radio e della televisione, cit., pag. 47.
5
Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Milano, Garzanti, 2004, pag. 5.
6
Che il popolo italiano aveva scelto nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946.
7
Decreto legislativo n. 428 del 3 aprile 1947, “Nuove norme in materia di vigilanza e controllo sulle
radiodiffusioni circolari”.
http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:1947-04-03;428$art5
8
Era un organo tecnico chiamato a sovrintendere alla programmazione; nella prassi, tuttavia, si trovò ad
occuparsi solo di aspetti culturali e d’intrattenimento. Era composto da personalità del mondo della cultura, delle
arti, di associazioni di categoria. Il presidente era nominato dal Consiglio dei Ministri. Cfr. decreto legislativo n.
428 del 3 aprile 1947, artt. 8, 9 e 10.
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Ivi, artt. 11, 12, 13 e 14. La Commissione era composta da 17 rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari,
portati nel 1949 a 30, e aveva “il compito di vigilare affinchØ [fosse] assicurata l’indipendenza politica e
l’obiettività informativa”. Tuttavia, sia l’indeterminatezza dei suoi compiti che la facoltà di intervenire ex post e
non ex ante, penalizzò enormemente fin dall’inizio l’azione della Commissione.