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La linea di politica estera del M.S.I. dal dopoguerra alla fine della prima legislatura

La linea di politica estera del M.S.I. dal dopoguerra alla fine della prima legislatura
Il mio lavoro intende inserirsi nell’ambito di quel tentativo, recentemente diffusosi tra gli studiosi, di conferire “cittadinanza storiografica” anche a quel settore del panorama politico italiano che, richiamandosi esplicitamente all’eredità fascista, era stato per anni ignorato e considerato intellettualmente infrequentabile. La ricerca si basa, in particolar modo, sui presupposti teorici ed organizzativi che consentirono al Movimento Sociale Italiano di impostare una sua linea di politica internazionale, parallela, anche se comprensibilmente funzionale e dipendente, rispetto a quella di politica interna.
Ben conscio dell’alone di leggende, pregiudizi e rappresentazioni quasi folcloristiche che avvolgevano, come in una sorta di cortina fumogena, il panorama nostalgico, ho cercato di attenermi, per quanto possibile, alla sola documentazione ufficiale riguardante il partito. Ciò che vien fuori è quindi frutto di un’assidua e certosina opera di ricerca e vaglio critico della documentazione contenuta nell’archivio della fondazione Ugo Spirito, che, grazie alle donazioni di eminenti figure del partito missino, costituisce la fonte storica più corposa ed attendibile. Oltre al suddetto archivio, interessanti e utili sono risultate le frequenti visite all’Archivio Centrale dello Stato, della cui documentazione, fatta soprattutto di rapporti inviati sull’argomento dalle varie Questure italiane alla direzione di PS del Ministero degli Interni, mi sono avvalso per la ricostruzione delle vicende in oggetto. Ad arricchire ulteriormente la scientificità della ricerca hanno contribuito anche gli inediti particolari scaturiti da una serie di interviste-dialogo (riportate nei loro tratti più salienti nel corso della trattazione), tenute con eminenti esponenti del panorama nostalgico: Giulio Caradonna (il “mazziere Fascista”), Oddone Talpo e Mario Cassiano (gli unici fondatori del partito ancora in vita), Vittorio Campobassi (“non cooperatore” e quindi prigioniero nel “criminal fascist camp” di Hereford), Enzo Erra (ideologo dell’ala evoliana del M.S.I. e indagato per i suoi presunti coinvolgimenti nelle “trame nere” della prima Repubblica) e Giano Accame (uno dei più illustri intellettuali del panorama delle Destra).
Pur con i limiti derivanti dalle sue divisioni interne e con tutti quelli determinati dalla sua ovvia situazione di precarietà in campo politico, economico-finanziario ed istituzionale, l’organizzazione del settore esteri del M.S.I. raggiunse comunque livelli di sviluppo notevoli. Questo il partito ottenne sia grazie alla fede ed alle capacità organizzative dei suoi dirigenti, sia grazie alla trama di connivenze e “simpateticità” (la cui fitta matassa abbiamo pazientemente cercato di dipanare ed analizzare) su cui il partito poteva ancora contare presso molta parte della popolazione italiana emigrata all’estero, presso alcuni enti e istituzioni straniere e, qualche volta, persino presso le rappresentanze italiane d’oltre-frontiera. L’impressione complessivamente deducibile sulla linea di politica estera seguita dal partito è che comunque essa, seguendo un cliché comune anche alla linea della diplomazia italiana in generale, si dibatté sempre tra “opportunismo e profezia”.
In ultima analisi, il quadro che emerge risulta abbastanza distante dalle ricostruzioni di comodo fornite sull’argomento dagli stessi rappresentanti del partito e divergente in qualche punto anche dalle analisi di eminenti studiosi del partito (per es. Roberto Chiarini). E quest’ultima circostanza ci permette di provare quel piacevole senso di appagamento che il ricercatore sente nel portare alla luce qualche verità nascosta o contraffatta o semplicemente non considerata in tutta la sua portata.

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3 PREMESSA “DA POCA FAVILLA GRAN FIAMMA SECONDA” Cenni sulla composizione antropologica del partito dei “fascisti dopo Mussolini” In un articolo apparso recentemente su «Area» Giano Accame così ricorda la fase incipiente del Movimento Sociale Italiano: «nei suoi primi anni di vita il M.S.I. si caratterizzava essenzialmente come partito di reduci e di ragazzi che non avevano fatto a tempo ad esserlo, partito dalle scelte antiopportunistiche, fedele al sogno dell’Impero perduto contro voltagabbana e traditori, partito di chi “in piedi fra le rovine” non si rendeva conto di appartenere ad un mondo finito ed irripetibile». 1 Ed ancora il M.S.I. era il partito degli “stranieri interni”, ghettizzati e banditi non solo dalla società politica (nell’accezione che il noto studioso di scienza della politica, Paolo Farneti, dà del termine),ma anche dalla società civile. Nell’ambito della società civile, infatti, costoro, “i duri e puri”, albergavano tra mille ostacoli di natura pratica (necessità di nascondersi dalle rappresaglie ma, ad un tempo, di scoprirsi per chiedere un lavoro per il sostentamento) ed insieme psicologica (il complesso «dell’orfano del littorio» sotto i cui auspici avevano incarnato, o meglio creduto di incarnare, la volontà ed i destini della nazione, quella stessa nazione che ora li additava addirittura come traditori al servizio dell’invasore). 1 GIANO ACCAME, Proscritti in Patria, in «Area», dicembre 1996, pag. 50.

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adalberto baldoni
giorgio almirante
giulio caradonna
politica estera
roberto chiarini
storia dei partiti politici
movimento sociale italiano
msi
neofascismo

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