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La democrazia del Profeta: per un confronto tra concetto occidentale e concetto islamico di democrazia.

In questo lavoro, tenendo conto delle difficoltà teoriche e pratiche nel misurarsi con questo tema, ci si interroga sulla possibilità che gli schemi, i modelli e le categorie della democrazia, così come si sono sviluppati in Occidente, siano adeguati ad interpretare le esigenze di governo dei paesi arabo-musulmani; risultato che data la complessità che caratterizza il “fenomeno Islam” difficilmente potrà ottenersi con l’uso indiscriminato della forza militare.
Si crede piuttosto che questo “scontro tra civiltà” debba essere combattuto con armi culturali e, innanzitutto, con la politica, quale strumento di mediazione non militare dei conflitti, grande assente nella scena internazionale di oggi. Da qui la necessità di una distinzione tra i due Occidenti; quello europeo, e di influenza europea, e quello statunitense, e di influenza statunitense, alleati, uniti da una storia comune, ma distinti nelle identità e diversi in alcuni valori fondamentali e negli stili di vita.
Prima ancora di sostenere la tesi di una democrazia da “esportare” ed eventualmente di trovare una soluzione alternativa al “dissolvimento” della cultura islamica in quella occidentale, bisogna infatti stabilire se l’Islam, secondo la sua concezione classica, possa ammettere, in linea di principio, il concetto occidentale di democrazia.
Più che indicare una risposta alla tragica vicenda di cui al giorno d’oggi siamo involontariamente testimoni, abbiamo voluto evidenziare qui che senza un’adeguata conoscenza delle peculiarità di questa confessione religiosa, di questa orgogliosa civiltà, non è possibile da un lato elaborare soluzioni soddisfacenti e, dall’altro, eliminare il pregiudizio che rischia di trasformare il XXI secolo in un secolo di scontri, scontri per l’appunto prodotti anche dall’ignoranza.

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3 Introduzione. Conosciamo l’Islam prevalentemente attraverso le notizie e le informazioni che provengono dai mezzi di comunicazione. Sui giornali e sugli schermi l’Islam appare in genere aggressivo, intransigente, una religione i cui fedeli non esitano a ricorrere alla violenza in difesa delle proprie convinzioni e per imporre la propria volontà. Di qui l’enfatizzazione delle norme della shari‘a, fino a giungere all’orrore di decapitazioni, lapidazioni, oppressione e inferiorità giuridica della donna. Di qui la paura e il terrore che nascono da questa immagine “mediatica”, quella appunto di un Islam militante e fondamentalista che al grido di “Allah akbar” colpisce indiscriminatamente e con tanta ferocia vite innocenti e che, pertanto, costituisce una minaccia per l’ordine mondiale. Ma la spirale di violenza che proietta questo Islam sui mass media è in contrasto con quella grande maggioranza dei musulmani che vive invece in silenzio e con profonda pietà la propria fede, con un sincero senso di umanità nel cuore, che condanna e non capisce le fiammate di violenza dei fondamentalisti e che anzi le subisce. Bisogna infatti convenire sul fatto che il terribile evento del settembre 2001, gli eventi bellici successivi e la recrudescenza degli attentati e degli atti terroristici non hanno certamente giovato alla causa della comprensione e della distensione tra l’Occidente e l’Oriente. Tuttavia, se da una parte hanno promosso una politica di scontro basata sull’infelice teorizzazione riassunta nella formula di “guerra preventiva” contro gli “Stati canaglia” appartenenti all’“asse del male”, tanto da far (ri)parlare di “scontro tra civiltà”, dall’altra hanno provocato una necessaria presa di coscienza all’interno dell’Islam, di una più marcata e netta distinzione tra un’opzione pacifica e di convivenza integrata ed un’opzione di lotta a tutto campo, di “jihad” nei confronti dell’Occidente. L’Islam, diversamente da quanto a volte si legge e si sente, non è infatti una realtà compatta e monolitica. All’interno di una visione unitaria che si muove intorno ad alcuni principi irrinunciabili, l’Islam è caratterizzato da una certa flessibilità. E’ incontrovertibile il fatto che l’Islam dell’ayatollah al-Sistani, giusto per citare qualche esempio dei giorni nostri, è lontano da quello dell’imam al-Sadr, e che quest’ultimo differisca a sua volta anche da quello del terrorista al-Zarqaui che, secondo una interessante classificazione fatta da Hamadi Redissi, docente di Scienze Politiche all’Università di Tunisi, apparterebbe ad un fondamentalismo di terzo tipo 1 . Proprio per favorire il dialogo e per affrontare con successo la sfida della convivenza, senza cadere erroneamente in questo tipo di generalizzazioni e di falsi ideologici, è indispensabile distinguere tra chi vuole una convivenza multireligiosa e multiculturale e chi invece abbraccia il mito del fondamentalismo e dello scontro; tra chi vive la fede religiosa come uno strumento e un momento di comunicazione, di convivenza con gli altri che professano anche altre fedi religiose, e chi invece strumentalizza la religione per legittimare violenze del tutto prive di razionalità politica disprezzando il “formalismo democratico”, dimenticando che è 1 Cfr. H. REDISSI, Verso un fondamentalismo del terzo tipo?, in «Diritto & questioni pubbliche», n. 2, agosto 2002, pp. 187-194.

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