L'ordinamento costituzionale irlandese
L’isola d’Irlanda, abitata dai Celti fin dal IV secolo a.C., precedentemente allo sbarco inglese del XII secolo ad opera di Enrico II, era assai lontana dall’unitarietà politica.
La vita si svolgeva all’interno di tribù che possedevano in comune il territorio: una situazione assai lontana rispetto all’organizzazione feudale che vigeva allora in Inghilterra.
L’Irlanda fu la prima colonia inglese: venne occupata, infatti, da Enrico II nel 1171, in seguito alla richiesta d’aiuto di un capotribù, il Re del Leinster, al sovrano inglese.
Fin dal XIII secolo fu presente un’assemblea rappresentativa: il primo parlamento irlandese sedette per la prima volta a Casterdelmont nel 1264 e nei successivi quattro secoli continuò a riunirsi irregolarmente in varie città, soprattutto Dublino.
La politica inglese si dimostrò molto discriminatoria verso gli Irlandesi come dimostrano gli Statuti di Kilkenny del 1366, con cui si vietavano ai coloni anglo-normanni i matrimoni misti con gli irlandesi e l’entrata di questi ultimi nelle città fortificate.
All’inizio del VII secolo il governo inglese sotto Giacomo I avviò la cosiddetta “Plantation” (1608-1610), cioè il sistematico trasferimento di coloni inglesi e scozzesi in varie zone dell’Irlanda (soprattutto nella parte settentrionale) allo scopo di consolidare la dominazione inglese.
All’inizio del ‘700 solo il 14% delle terre apparteneva ai cattolici e la questione della terra, unita alle sempre più pressanti rivendicazioni autonomiste, portò, nel 1641, alla prima rivolta irlandese, sedata sanguinosamente dalle forze inglesi.
Durante le campagne militari di Cromwell ¼ della popolazione irlandese fu massacrata e con l’Act of Settlement, che confiscava buona parte delle terre ai nativi, tutti gli Irlandesi ricevettero l’ordine di spostarsi oltre il fiume Shannon, pena la morte, mentre con la “Penal law” fu impedito loro di accedere alla proprietà e al potere politico. L’esistenza del Parlamento fin dall’origine della dominazione inglese mostrava la coscienza irlandese della propria specificità rispetto all’Inghilterra, di conseguenza, nell’intento di ridurre l’Irlanda a colonia, gli Inglesi tentarono di minare l’autorità del Parlamento di Dublino, negando ai cittadini cattolici l’elettorato passivo nel 1691.
Le prime richieste nazionaliste furono avanzate anche dagli irlandesi protestanti,timorosi di danni all’economia a causa delle restrizioni commerciali imposte dal dominio britannico.
Solo nel 1783 fu ottenuta con il “Renunciation Act” la rinuncia del Parlamento londinese a legiferare su questioni prettamente irlandesi (prerogativa che era stata affermata ufficialmente dal “Declaratorion Act” del 1719), che rendeva, almeno formalmente, Irlanda e Gran Bretagna separate.
Una rivolta organizzata nel 1798 dalla “Society of United Irishmen” portò il governo di Londra ad abolire il Parlamento Irlandese e ad emanare l’Union Act del 1800, con cui l’Inghilterra riottenne ufficialmente il potere di legiferare sulle questioni irlandesi. Come rappresentanza del popolo irlandese vennero accolti cento deputati irlandesi alla Camera dei Comuni e ventotto membri eletti a vita alla Camera dei Lords. Non si ebbe una parallela scomparsa dell’organo esecutivo poiché si mantenne un “governo d’Irlanda” con a capo un rappresentante della Corona che era l’effettivo responsabile dell’amministrazione degli affari irlandesi alla Camera dei Comuni.
Il padre del nazionalismo irlandese, che raggiunse il suo maggior fervore nel diciannovesimo secolo, fu Daniel O’Connell, che nel 1823 fondò la “Catholic Association”, un’organizzazione che si proponeva di ottenere l’emancipazione dei cattolici attraverso il ricorso a mezzi costituzionali.
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Informazioni tesi
Autore: | Maria Teresa Francucci |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze politiche e delle relazioni internazionali |
Relatore: | Fernanda Bruno |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 65 |
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