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Scuola e Sistema Qualità. Un caso di studio

ll primo capitolo apre questa tesi con il tentativo, assai arduo, didefinire la qualità. Tale tentativo, in effetti, si risolve nella designazione di una qualità relativa, che, al pari di un elastico, si allarga e si restringe nell’ambito di determinate coordinate spazio-temporali e, al pari di una maschera di gomma, si adatta al viso dei diversi interlocutori, racchiusi in quelle coordinate, manifestando il loro punto di vista, l’interpretazione che essi ne danno. Ne consegue che non esiste una sola qualità, ma tanti artefatti di qualità: tanti quanti sono i contesti, in cui essa prende vita, e i volti degli interlocutori, che, traducendola e negoziandola, giorno dopo giorno, la costruiscono, sagomandola sulle peculiari caratteristiche di quei contesti cui essi appartengono. Se si pensa alla qualità in termini di artefatto, ovvero ad una cosa che viene realizzata dalle persone, che, sistematicamente, trasferendo in essa qualcosa di loro, la foggiano sulle linee architettoniche dei luoghi che abitano, non si può non pensare al Sistema di Gestione per la Qualità, cioè a quel sistema in cui essa viene operativamente agita, secondo i dettami del Total Quality Management e delle ISO 9000, che in questi stessi termini. Che cos’è, dunque, il Sistema di Gestione per la Qualità/SGQ? In apparenza, una definizione, una sigla, uno strumento per il miglioramento continuo, per la razionalizzazione dell’organizzazione, un complesso di norme e documenti. Di fatto, qualcosa di più: un abile designer o una “tegola caduta in testa”? un provvidenziale riflettore che dà visibilità o un mostruoso burocrate che ingabbia? Esso diventa vivo, diventa attivo, quando, calato in un determinato contesto, prende forma, o meglio, forme differenti, che esprimono i particolari punti di vista dei gruppi sociali rilevanti al suo interno. Se si fa riferimento ai concetti della costruzione sociale della tecnologia, lo si può considerare come un artefatto tecnologico, frutto di un processo socialmente costruito attraverso un macchinoso, quotidiano gioco di interpretazioni, attribuzioni e negoziazioni di significato, cui prendono parte, con ruoli e gradi di coinvolgimento diversi, i vari attori dei gruppi sociali rilevanti, presenti nella specifica realtà organizzativa. L’implementazione del SGQ altro non è che la traduzione in pratica dello scheletro di norme e principi, su cui lo stesso poggia, in tal caso le norme ISO 9000:2000 e i principi del TQM, la quale passa, inevitabilmente, tramite la flessibilità interpretativa, ovvero l’attribuzione di significati diversi da parte di ogni singolo gruppo, che scatena la cosiddetta controversia interpretativa; infatti, ciò che emerge, con forza, dalla ricerca empirica, è proprio il fatto che non esiste una definizione univoca di SGQ, a riprova dell’eterogeneità delle interpretazioni. Traspare, semmai, un’unica definizione, a proposito della quale, sostanzialmente, tutti i gruppi si trovano concordi, che, tuttavia, non sembra essere sufficiente a determinare la chiusura della controversia, vista la distanza che intercorre tra le due periferie (direzione e personale non direttamente coinvolto) e la debole influenza del centro, il personale direttamente coinvolto, che, tra l’altro, pare spaccarsi fra le due posizioni. Nel passaggio dall’astratto al concreto, la sigla-fortezza SGQ viene ad essere così decostruita in tangibili blocchi differenti, artefatti di qualità: la documentazione scritta, che, da un lato, formalizza e, dall’altro, burocratizza; gli strumenti di misurazione (test, questionari, ecc.) e gli indicatori, che controllano; gli organigrammi, i diagrammi, i divisori, le tabelle, i software, ecc., che razionalizzano. Come si può vedere, il processo di costruzione del SGQ avviene non senza l’apporto dei gruppi sociali rilevanti, che, nell’ambito della propria cornice tecnologica, lo interpretano e traducono in modo differente. Esso inizia a diventare artefatto, nel momento in cui gli viene attribuito un significato, che lo conduce alla realtà, quasi personificandolo. Come un boomerang, tale significato torna indietro sul gruppo, condizionando le sue percezioni circa i processi di cambiamento e apprendimento che il SGQ stesso può avviare.

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INTRODUZIONE ualità del prodotto, qualità dei servizi, marchio di qualità, Qualità Totale: sono terminologie assai diffuse e conosciute, anche se non sempre sono accompagnate da una chiara percezione di cosa, realmente, si intenda per qualità. Essa ha una natura variabile, che rimanda a concetti sfuggenti, enigmatici, i quali richiamano significati polivalenti; è difficile, infatti, se non impossibile, afferrare un concetto assoluto ed univoco a proposito della qualità, non fosse altro per il fatto che essa è fortemente legata a fattori contestuali e temporali. L’esperienza dimostra come, nel tempo, il concetto della qualità assume significati differenti, via via più ampi e astratti, evolvendosi da qualità come “grado di conformità alle specifiche” e “grado di adeguatezza all’uso” (le due definizioni più popolari, rispettivamente, di Crosby e Juran) a qualità come “capacità di soddisfare esigenze espresse e implicite” (ISO 8402), che implica il tener conto del punto di vista dei clienti, per estendersi, con l’edizione 2000 delle norme ISO 9000, nientemeno che a quello di tutte le “parti interessate” (azionisti, fornitori, personale dipendente, ecc.). Inoltre, laddove parla di “esigenze implicite”, la normativa mostra, non solo di voler soddisfare le necessità di tutte le parti interessate, appunto, ma, addirittura, di volerle anticipare (per stupire, sorprendere positivamente), per potersi quasi identificare con l’eccellenza. Come osservo nel primo capitolo, è assai improbo e complicato, sia ricostruire i tragitti della storia della qualità, sia definirne efficacemente i Q

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