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Dietro l'immagine: uno sguardo sociologico sul fotogiornalismo

La storia della fotografia, sin dalla sua nascita (che viene fatta coincidere con la “fotografia” su lastra di stagno, scattata dalla propria finestra da Joseph Nicèphore Niépce nel 1826, e con i procedimenti messi a punto da Louis Jacques Mandè Daguerre), è andata di pari passo con la storia stessa della contemporaneità: se viene difficile infatti separare la storia delle immagini – in quanto storia delle arti e della cultura - da quella della comparsa e successiva evoluzione della fotografia, lo è ancor di più separare la storia sociale, politica, militare ecc., dalle immagini irripetibili, esemplari, simboliche, che la ricordano e testimoniano.

"Ma cosa sarebbe la storia del fascismo o dello stalinismo se non
conoscessimo le immagini usate per la propaganda? Quale sarebbe il
giudizio su conflitti recenti come il Vietnam senza le testimonianze
lasciateci dai reporter di guerra? […] una fotografia o un film,
possono rappresentare “prove” storiche al pari di quelle più
tradizionali, e ci aiutano a comprendere meglio eventi e contesti a noi
vicini o lontani."

Il presente lavoro prende spunto da tali domande, alle quali si tenterà di dare delle risposte: cercando di sostenere ed illustrare la tesi dell'autore secondo cui “le immagini, proprio come i testi e le testimonianze orali, rappresentano un genere di “prova” storica di grande importanza, dal momento che costituiscono delle testimonianze oculari”; sottoponendo a verifica l'ipotesi che sia possibile “vedere la società” ed “informarla”, attraverso la documentazione figurativa (nel nostro caso le fotografie e il fotogiornalismo), in qualità di fonte/traccia storica imprescindibile; evidenziando la necessità di riconoscere le strategie retoriche del visivo, ponendosi dialetticamente critici nei confronti di certo empirismo (prevalente in ambito accademico anglosassone, nota Burke) incline a "lasciar parlare da sola" l'evidenza visiva nei processi di spiegazione e comprensione della realtà, prendendo in esame diversi esempi di non trasparenza delle immagini, contro questa prassi che tende appunto a considerare "trasparenti" le fonti figurative, guardando ad esse come una finestra aperta sul passato e sul presente.

Coscienti di muoverci all'interno di un “orizzonte teorico in fermento e denso di sviluppi possibili, nonostante risulti ancora in parte segnato da confini metodologici imprecisi (anche testi specifici oscillano tra l'estetica, la psicologia della percezione, la sociologia dell'immaginario, la critica d'arte, i media studies in genere)”, procederemo ad una panoramica storica sul fotogiornalismo, ripercorrendone lo sviluppo e l'affermazione - quando l'autenticità che caratterizzava la fotografia agli albori, le conferiva il particolare valore documentale - analizzando le poetiche dei principali autori, seguendone l'evoluzione fino ad arrivare alla situazione in cui versa attualmente in Italia, a fronte degli ingenti mutamenti culturali, tecnologici ed economici che hanno interessato e ancora interessano i media.
Analizzeremo quindi alcune “immagini simbolo”, preparando il campo per affrontare alcune delle principali problematiche che emergono ogni qualvolta si affronti l'ambito della fruizione dell'immagine, e cioè le “ipotesi della incerta rispondenza o della non rispondenza dell'immagine all'evento,” analizzando fenomeni come la manipolazione e la ricostruzione, e quindi l'uso conseguente (o precedente...) di strategie ideologiche e/o propagandistiche.
Tenteremo di capire quindi se si possa parlare di un “linguaggio fotografico”: “linguaggio a sé stante o riproduzione speculare della realtà, analogico perfetto come scrive Roland Barthes, o solamente indice, secondo la tripartizione di Peirce?”

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Fotografia, giornalismo e realtà. Seppur nati in epoche differenti, fotografia e giornalismo sono stati, sin dagli albori, accomunati dall'ambizione difficile ed eccitante allo stesso modo, di riproduzione fedele ed imprigionamento della realtà; ambizione che appare lampante quando nel leggere un articolo diciamo che “fotografa” una situazione, un problema, in maniera efficace; o altrettanto quando, guardando una fotografia, ci sembra tanto più riuscita, quanto più ci mostra nel suo oggetto ciò che vogliamo conoscere. Ma a pensarci bene, non c'è niente di assolutamente vero o di astrattamente oggettivo nel giornalismo, così come nella fotografia: ambedue hanno con la realtà un rapporto molto complesso, per niente lineare e di semplice riproduzione. Tralasciando gli aspetti tecnici (per ovvi motivi di spazio, in quanto concorrono in maniera rilevante e altrettanto importante al risultato di una foto), possiamo affermare che ogni fotografia della realtà determina una interpretazione e selezione del reale stesso; ne consegue che la fotografia della realtà è tutt'altro che un atto oggettivo, neutro, impersonale: nel voler documentare un qualsiasi fatto, influirà in maniera decisiva il nostro interesse conoscitivo, la nostra visione della realtà appunto. Tutto ciò non vuol dire che la fotografia non rappresenti il reale o ne sia la falsificazione: semplicemente non ne è la fredda e piatta rappresentazione, bensì ciò che “ci aiuta a capire la realtà quanto più e quanto meglio la interpreta con certezza, senza sottrarre elementi indispensabili della realtà alla visione del fruitore della foto.” 10 10 D.Faccioli – G.Mazzei, Fotografia tra cronaca e arte. Cedam 2004, pag. 4 7

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Parole chiave

immagini
linguaggio
giornalismo
semiotica
sociologia
walter benjamin
fotografia
manipolazione
iconografia
peirce
roland barthes
fotogiornalismo
reportage
life
visual studies
fotografia sociale
street photograpy
photojournalism
farm
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