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Governare è decidere e comunicare. Una sfida per il manager pubblico.

Alla luce dell’approvazione del D.lgs. n. 150/2009 che introduce, in attuazione alla legge delega 15/2009, misure in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, il presente lavoro fornisce un quadro di sintesi della cosiddetta “riforma Brunetta”, distinta per materie d’intervento, evidenziando gli aspetti innovativi, nonché le problematiche e le criticità emerse, inserendo anche una analisi comparata di esperienze europee per orientare la riforma non tanto come contenuti, quanto come processo.
I principi fondamentali della riforma sono: la semplificazione, la trasparenza, l’innovazione, la meritocrazia, la valutazione e la performance. La nuova disciplina del pubblico impiego poggia su alcuni capisaldi: la definizione degli obiettivi dell’Amministrazione Pubblica, coerenti con gli obiettivi strategici dettati dalla politica; l’allocazione delle risorse idonee al raggiungimento degli obiettivi; il monitoraggio in itinere del processo; la valutazione dell’organizzazione e delle performance individuali; l’implementazione di sistemi premianti; la rendicontazione e la trasparenza.
Dallo studio dell’OCSE Performance-related Pay Policies for Government Employees del 2005 si evidenziano le principali linee di tendenza sull’evoluzione dei sistemi di retribuzione collegati ai risultati nelle pubbliche amministrazioni (PRP) dei diversi paesi che ne fanno parte, al fine di trarre alcuni insegnamenti dalle loro esperienze. Si tratta di tendenze a livello macro che necessariamente semplificano e sintetizzano le situazioni oggetto di analisi, ma che sono utili per comprendere le linee evolutive a livello internazionale e per collocare l’esperienza di ogni Paese, specialmente quello italiano, all’interno di percorsi comuni.
Il nuovo piano di riordino della dirigenza aumenta le responsabilità e i poteri dei dirigenti pubblici, rendendoli più trasparenti. A tal fine si è scelto di intervistare (la metodologia utilizzata è quella dell’intervista in profondità) una tipologia di dirigenza pubblica, quella dell’Ufficio Centrale di Bilancio del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca come modello di burocrazia efficace, utilizzando la metafora della macchina (Morgan, 1999) per riferire un sistema ordinato e circoscritto di componenti che funzionano in modo routinizzato, affidabile e prevedibile.
Il ruolo che dovranno svolgere i manager pubblici e la sfida che dovranno affrontare, li obbliga ad un approccio culturale multidisciplinare: cultura della misurazione e del confronto; pianificazione e monitoraggio delle performance; gestione delle risorse umane; sistemi di qualità; sistemi informativi di supporto alla gestione; comunicazione, informazione e rendicontazione; audit civico; performance auditing; risk management; sociologia delle organizzazioni; etica pubblica; meritocrazia. L’intento è quello di realizzare un concreto processo di trasformazione della P.A. che rappresenta una vera e propria “rivoluzione culturale.” La risposta all’attacco mediatico di un settore pubblico “inutile e che spreca le risorse” è proprio quello di governare e prendere decisioni, ma la cornice giuridica rimane solo una cornice se i contenuti non vengono comunicati per essere condivisi dai 3.650.000 dipendenti pubblici.
Infine, alla luce della recente manovra finanziaria 2010, varata col D.L. 78/2010, l’elaborato termina con alcune riflessioni sull’innovazione, sulla valutazione e sulla comunicazione pubblica e sul fatto che gli elementi che occorre tenere in considerazione per realizzare il vero cambiamento sono: la comunicazione, le tecnologie e le persone.

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14 Capitolo primo La riforma del settore pubblico in Italia 1.1 Breve excursus storico Il rapporto di lavoro con lo Stato e gli altri enti pubblici2 fino alla fine dell’Ottocento era considerato di natura privata o più precisamente di diritto civile speciale, poiché caratterizzato da alcuni aspetti distintivi per la disciplina della carriera, delle aspettative e delle assunzioni. In seguito, le differenze tra il lavoro pubblico e privato si accentuarono e, per gran parte del Novecento, si attribuì al pubblico impiego uno status particolare3, prevedendo una disciplina esclusivamente pubblicistica (con leggi, provvedimenti amministrativi, ecc.) al fine di garantire una maggiore tutela all’attività amministrativa e, quindi, agli interessi della collettività. Con il passare degli anni, la disciplina pubblicistica del lavoro all’interno della P.A. e le relative tutele furono considerate come uno dei fattori base della scarsa efficienza, dei costi eccessivi e dell’elevata burocratizzazione della macchina amministrativa. Nel corso degli anni ottanta, il crescente debito pubblico e la necessità di fare fronte a livelli sempre più elevati di spesa per interessi, imposero una sostanziale rivisitazione delle attività di spesa della Pubblica Amministrazione. Gli obiettivi prioritari furono quelli di recuperare produttività, ridurre il debito e le inefficienze, razionalizzare i costi della Pubblica Amministrazione e offrire servizi 2 Usualmente definito nell’ambito del diritto amministrativo “pubblico impiego”, con la recente riforma definito, invece, “lavoro pubblico” per evidenziarne il radicale cambiamento e l’abbandono di concezioni prevalentemente pubblicistiche ritenute ora superate. 3 Il pubblico impiegato non era più considerato una parte contrattuale in quanto prestatore di attività lavorative, ma lavoratore preposto ad un ufficio e titolare di pubbliche podestà.

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