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Sviluppo morale e dominanza sociale

Considerate la seguente situazione:
un uomo è vicino alla morte per una rara forma di cancro. C'è una medicina che i dottori ritengono possa curarla: è una forma di radio che un farmacista ha recentemente scoperto. La medicina è costosa da preparare ed inoltre il farmacista carica 10 volte il costo di preparazione. Egli paga 200 € per il radio e chiede 2000 € per una piccola dose di medicina. La moglie dell’uomo malato va in giro a chiedere in prestito denaro, ma raccoglie soltanto 1000 €, metà del costo. Recatasi dal farmacista, la donna gli dice che suo marito sta morendo e gli chiede di pagare meno la medicina o di dare la differenza successivamente. Ma il farmacista dice: "No, io ho scoperto la medicina e ho intenzione di guadagnarci". Così la donna si dispera e comincia a pensare di penetrare nella farmacia e rubare la medicina per suo marito. A questo punto ci si domanda: “la medicina dovrebbe essere rubata?”.
Tale situazione, con ogni probabilità, spingerebbe da subito a rubarla, eppure è giusto considerare il rispetto delle regole. Il bene e il male vengono giudicati in base alle conseguenze positive o negative per il soggetto, posto di fronte al dilemma. Tale contrapposizione genera un conflitto tra un’istanza morale e le norme sociali, ovvero il soddisfacimento di alcuni bisogni umani fondamentali contrapposto al rispetto di norme socialmente accettate. A questo punto l’individuo è stimolato a superare tale conflitto attraverso modalità di ragionamento morale. A questo proposito, vi sono fattori innati che ci permettono di stabilire se un comportamento è giusto o sbagliato? In base a che cosa stabiliamo che un comportamento è morale o immorale? Che processi entrano in gioco nella formulazione di tale giudizio?
La morale non si acquisisce solo grazie alla memorizzazione di norme e di regole, per passiva condiscendenza o attraverso discussioni scolastiche astratte; noi ci sviluppiamo moralmente perché impariamo a stare con gli altri, impariamo a comportarci.
È da sottolineare che il problema dello sviluppo morale, e di conseguenza del giudizio morale, non riguarda solo l’aspetto filo-pedagogico ma anche quello psicologico e sociale. Ebbene, se si crede che lo sviluppo morale si determini tramite una continua interazione tra processi mentali e stimoli ambientali, occorre sapere quale peso specifico hanno in tale sviluppo le capacità di valutazione legate alla percezione dell’ “altro”, del “diverso”. Ed è proprio questo quello che si cerca di mettere a punto nelle pagine che seguono.
La mia tesi si pone come obiettivo quello di approfondire il tema del giudizio morale contrapposto alla dominanza sociale, partendo dall’analisi della moralità piagetiana e kohlberghiana.
Il primo capitolo, quindi, s’incentrerà sullo sviluppo della moralità in Piaget e in Kohlberg. Il primo, attraverso i sui studi, ha affrontato il processo di formazione che è alla base della formazione del giudizio morale, individuando quattro stadi che mostrano il passaggio dall’egocentrismo al decentramento. Il secondo condivide con Piaget l’interesse per i processi cognitivi e per il pensiero morale, distinguendosi nel descrivere l’evolversi del giudizio morale negli individui, dai primissimi anni di vita fino all’età adulta, attraverso una serie di stadi molto articolati. In particolare Kohlberg individua nello sviluppo morale tre livelli, ciascuno diviso in due stadi: preconvenzionale, convenzionale e postconvenzionale.
Se la formazione morale ha rappresentato gran parte del primo capitolo, il secondo è stato dedicato all’esclusione morale nelle relazioni intergruppi, prendendo come teorie interpretative quella di Tajfel e quella della dominanza sociale. Come esempio di un evidente presenza di esclusione morale ho messo la Germania nazista.
Il terzo capitolo presenta lo svolgimento della ricerca sperimentale, con i suoi obiettivi e le sue ipotesi e mette a punto la metodologia utilizzata, puntualizzando il campione preso in esame e gli strumenti.
Il quarto capitolo volge l’attenzione alla descrizione dei risultati ottenuti dalla mia ricerca, attraverso l’utilizzo dell’Analisi Componenti Principali (ACP), dell’analisi T-test, della correlazione tra le variabili, della divisione in due gruppi rispetto ai punteggi sulla scala della dominanza sociale.

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6 CAPITOLO 1 SVILUPPO MORALE 1.1 QUADRO INTRODUTTIVO Nel Medioevo l’idea di infanzia non era psicologica, ma giuridico-sociale e implicava il concetto di subordinazione (le stesse parole designavano sia i bambini che i servi); il bambino era infatti concepito come un adulto miniaturizzato (cfr. S. Tommaso in De Magistro). Questo, però, solo a partire da una certa età. Lo svezzamento avveniva molto tardivamente, anche dopo i due anni, e anche se in seguito il bambino era considerato autosufficiente e inserito nella vita comune con gli adulti, almeno fino ai sette anni, non gli era riconosciuta una vera attività mentale ed era ritenuto indifferente alla sessualità e irresponsabile (Ariès, 1960; de Mause, 1974; Wirth Marvick, 1974). Come si vede, l’infanzia veniva distinta sì dalla maturità, ma in termini di difetto piuttosto che di qualità specifiche. Il concetto psicologico di infanzia nel senso moderno, appassionatamente ed eloquentemente sostenuto da Rousseau, si fa strada nei secoli XVII e XVIII e si afferma nel secolo XIX (Ariès, 1960). Si riconosce che il bambino non solo ha specifiche esigenze, ma anche specifiche potenzialità di autorealizzazione nei tempi e nei modi propri che gli adulti debbono favorire e non soffocare con imposizioni, secondo i dettami della “pedagogia negativa”, simbolizzata dalla bella metafora del Pestalozzi dell’educatore come bravo giardiniere che si limita ad avere cura della pianta. Con il Romanticismo e il Positivismo evoluzionistico si concorre invece ad accreditare un orientamento puerocentrico, che non consiste soltanto nell’annettere grande importanza affettiva e sociale ai bambini e nel porre la massima cura nella loro educazione, ma ben di più nel riconoscere la necessità di mettersi dal punto di vista del bambino (la scoperta dell’infanzia) fino a recuperare come valore il mondo soggettivo infantile e la tipica attività infantile, il gioco, in quanto attività liberatoria e creativa. In questo senso il poeta romantico

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