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Il non-detto di Heidegger

Questo lavoro di tesi ha preso in esame lo scambio ermeneutico tra Heidegger e Platone sul tema dell’essere e dell’essenza della verità, nello specifico la dottrina platonica della verità rivisitata da parte di Heidegger. Heidegger pensa l’essenza della verità come struttura originariamente disvelante, ante-predicativa, aperta alla relazione. Heidegger lavora al tentativo di emancipare la comprensione della verità dalla struttura logico-linguistica, per accoglierla invece nella prospettiva ontologica. Il passaggio a Platone si struttura proprio su queste basi e sulla dimensione temporale del presente. Il trapasso da verità come svelatezza originaria, come carattere dell’essere, a verità come concordanza, correttezza dello sguardo e dell’asserzione o giudizio, quindi come carattere dell’ente comporta l’accusa heideggeriana di ontificazione e di schiacciamento dell’essere nelle idee platoniche che è il punto nevralgico intorno a cui questo lavoro ruota. Ampiamente rilevante è anche il conseguente dominio conoscitivo del soggetto sull’oggetto. Questa contrapposizione sta alla base della metafisica occidentale, la storia della dimenticanza di ciò che viene lasciato inespresso, cioè l’essere. Il rapporto tra Heidegger e Platone è uno dei campi d’indagine che ha avuto più vie d’interpretazione, io ho deciso di affrontarlo rispettando la cronologia dei fatti, degli scritti e la conseguente evoluzione dell’esegesi heideggeriana nei confronti di Platone, che vede Heidegger assumere, in un primo momento un atteggiamento di accoglienza e appropriazione di tratti fondamentali dell’ontologia platonica, soprattutto la definizione dell’essere nel Sofista e la questione dell’essere e delle idee. L’essere come dunamis è il polo di attrazione principale tra i due. L’essere platonico, definito come capacità di agire e patire, include in sé la caratteristica del movimento e si sgancia così dal veto parmenideo. Dunamis, moto è relazione pensata per la prima volta da Platone come carattere di veridicità fondante la verità dell’essere. La relazione è anche il nucleo tematico privilegiato da Heidegger nella sua ricerca ontico-fenomenologica, è quel rapportarsi all’Altro che si manifesta nel -ci dell’esserci, l’in-der-welt-sein come modo d’essere fondamentale del Dasein nel contesto di rimandi significativo quale è il mondo. Questa conquista platonica che Heidegger riscontra nella sua analitica esistenziale non toglie il fatto che Platone rappresenti il luogo del dis-velamento iniziale e dell’occultamento finale della verità dell’essere. Così passiamo al secondo momento dell’interpretazione heideggeriana del pensiero platonico, quello che si instaura a partire dagli anni ’30, dalla Kehre, per cui Heidegger si accinge per parecchie volte ad interpretare quello che lui considera il manifesto dell’ontologia platonica: il Mito della Caverna. Heidegger interpreta il mito secondo una prospettiva esclusivamente ontologica, dunque come dottrina dell’essere e non della conoscenza o dell’educazione del filosofo, attirandosi numerose critiche. L’intento di Heidegger è mostrare come la verità, l’aletheia originaria, sia diventata prigioniera dell’idea platonica, come la verità dell’essere si sia ridotta a correttezza della rappresentazione, cioè orthotes, caratteristica dell’ente proporzionale alle capacità conoscitive del soggetto che opera la conoscenza in forma di giudizio, facendo così dell’essere un ente, anche se di sommo grado, cioè l’idea di Bene, il Sole che illumina il mondo al di fuori della caverna, segnando la storia del pensiero dell’essere in senso onto-teologico e metafisico con la creazione dei due mondi. Da qui l’accusa rivolta a Platone di essere il responsabile della perdita del carattere originario dell’essere e del tragico mutamento nell’essenza della verità che ha portato il pensiero occidentale alla deriva metafisica. Heidegger fu bersaglio di numerose critiche. Se però proviamo a considerare tutto questo da una diversa prospettiva, quella della meditazione storica, ci accorgiamo che Heidegger con il suo atteggiamento nei confronti dei pensieri dei filosofi cui ha rivolto l’attenzione, ci porta a porci interrogativi anche negli ambiti più ovvi. La volontà heideggeriana è quella di riscoprire il senso dell’eccedenza velato, ma presente nel detto di un pensatore, in questo caso Platone. L’indagine rivolta al senso prevede che il pensiero interrogato venga de-localizzato e ricollocato altrove per incitare alla domanda. Heidegger non ha mai assunto un atteggiamento storiografico, poiché ciò avrebbe portato alla cristallizzazione dell’essere in una delle sue singole manifestazioni ontiche. Il suo obiettivo è mettere in relazione il pensiero per sviluppare una costellazione di significati che creano una situazione ermeneutica fertile di domande che si pongono e ri-propongono, perché ciò che importa è la domanda instancabile e non le risposte.

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INTRODUZIONE I problemi della verità e dell’essere, della verità dell’essere e dell’essenza della verità, si affacciano alla nostra considerazione con la nascita della tradizione occidentale del pensiero che imprime su di essi una fra le sue ossessioni principali: la ricerca di una definizione che ne delimiti il significato e li trasformi in concetti ossia idee incorruttibili che guidino correttamente il nostro pensare e il nostro conoscere. La domanda sull’essere è la più originaria, la più “consumata” e quella ancora mai risolta, forse perché, come sostiene Heidegger, è da sempre stata posta in maniera errata, tanto da determinare un particolare andamento successivo del pensiero, il quale è stato assunto dall’uomo occidentale come unica possibile modalità di ragionamento. Il presente lavoro mostra il decorso del rapporto ermeneutico che Heidegger instaurò con il pensiero di Platone, considerato uno dei primi filosofi - insieme ad Aristotele e dopo i presocratici - che tentò di affrontare il problema dell’essere partendo dalle sue radici logiche e ontologiche. Sotto l'aspetto cronologico, la trattazione del tema della verità comincia ad essere formulata da Heidegger sin dal corso universitario che tiene sulla lettura del Sofista nel 1924; l’indagine è ripresa poi nel 1925-26 con il corso intitolato Logik. Die Frage nach der Warheit. Nel 1928-29 Heidegger, come successore del suo maestro Husserl, tiene un corso a Friburgo, Einleitung in die Philosophie, la cui sezione iniziale è dedicata alla trattazione della verità come giudizio e adeguazione, del rapporto tra essere e verità e dell'essenza stessa della verità da intendersi come originario processo 1 di dis-velamento che assumerà rilevanza decisiva nella presupposizione di un intrinseco e iniziale rapporto con il Dasein. A partire dal 1930, gli scritti di Heidegger su questo tema subiscono un cambiamento di direzione in senso fortemente critico nei confronti di Platone che è ritenuto responsabile della deformazione metafisica del pensiero occidentale, del conseguente oblio dell'essere e del mutamento essenziale nell'essenza della verità la quale passa da svelatezza a correttezza del giudizio e dell'asserzione. Nel 1931-32 Heidegger tiene un corso intitolato Vom Wesen der Wahrheit ( L'essenza della verità) in cui espone la sua prima interpretazione del mito platonico della caverna; inoltre lo scritto Nietzsche, una raccolta di testi compresi tra il 1936 e il 1946, ha come oggetto Platone ed il platonismo, per cui il pensiero nietzschiano è presentato come realizzazione massima della metafisica occidentale; il 1942 è segnato dalla Platons Lehre von der 1 Tale carattere di dinamicità viene acquisito grazie agli studi sul Sofista e sul tentativo di definizione di essere come δύναµις.

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