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Mass media e criminalizzazione dei minori migranti: il caso della banda della bandana a Treviso

Negli ultimi decenni, il ruolo svolto dai giornali come mezzi di comunicazione, ha subito delle modifiche, principalmente a causa dell’avvento delle reti televisive e di Internet come ulteriori strumenti ‘di massa’ per la diffusione di informazioni.
Il ruolo dei mass media non è mai stato solamente quello di fare informazione e semplicemente comunicare delle notizie, ma ha sempre riguardato anche, e a volte soprattutto, l’interpretazione di determinati fenomeni ed eventi che accadono, e la costruzione di opinioni e idee verso specifici temi.
Nella società occidentale moderna, poi, i mezzi d’informazione svolgono un ruolo fondamentale poiché non si limitano ad attirare l’attenzione del pubblico su determinati argomenti piuttosto che altri, ma ne costruiscono una rappresentazione che può essere poi adottata da chi legge e/o ascolta come ‘la rappresentazione, oggettiva e innegabile’. Ciò è tanto più vero per quelle persone che non hanno conoscenze personali o esperienze dirette da confrontare ed eventualmente contrapporre con quanto sostenuto dai media e che, dunque, hanno a propria disposizione unicamente quella ‘verità mediata’.
Funzione leggermente diversa spetta all’ultimo media entrato nella vita quotidiana di molte persone, e cioè Internet: il soggetto che ne usufruisce ha maggiore libertà di scelta e quindi d’interpretazione rispetto a un telegiornale o a un quotidiano. Nel caso dell’informazione via web il soggetto può immediatamente confrontare opinioni e avvenimenti, riuscendo anche a volte a recuperare le notizie dalle fonti dirette che le forniscono, senza il filtro dei giornalisti che le riportano.
Il punto critico che emerge da questa situazione, riguarda, però, la velocità con cui i mass media, e di conseguenza i loro utenti, ricevono e passano le informazioni e le notizie; rapidità che, se è semplice da gestire in alcuni casi (ad esempio per Internet e televisioni), può diventare più problematica per altri media, quali i quotidiani, che si trovano costretti ad adattarsi a ritmi di lavoro nuovi e complessi.
Questa difficoltà dei giornali, nel mantenere gli stessi tempi d’informazione di altri media, è facilmente visibile nei confronti del soggetto che, in particolare negli ultimi quindici anni, è diventato quasi fondamentale per ogni servizio giornalistico e notiziario, cioè l’immigrazione e gli stranieri.
All’inizio questo tema è stato presentato soprattutto come fenomeno di emergenza (situazione dei profughi che scappavano da Paesi in guerra), mentre, in tempi più recenti, è trattato principalmente come correlato alla questione dell’insicurezza.
Solo in rari casi si affrontano i temi dell’accoglienza, dell’integrazione e della necessità, per una società che si voglia definire democratica, di superare gli ostacoli culturali e in particolare i pregiudizi, per permettere a tutti una convivenza pacifica e civile.
Un tema che soprattutto negli ultimi anni ha attirato l’attenzione dei media è il fenomeno delle bande giovanili, in particolare quelle formate da minori e ragazzi di origini straniere.
L’allarmismo sociale creato attorno ai comportamenti criminali di tali bande (basta pensare all’enfasi posta sulle cosiddette ‘baby gang’) in realtà a volte nasconde uno scenario caratterizzato da diversi conflitti socio culturali che derivano da processi di subordinazione, emarginazione o esclusione economica e simbolica.
Il fenomeno delle bande di stranieri, e di conseguenza quello dell’immigrazione, è spesso presentato attraverso la contrapposizione fra ‘noi e loro’, mentre sono assolutamente esclusi dalla discussione i problemi che risultano, invece, essenziali (quali le difficoltà dei servizi sociali ed educativi, quelle economiche delle famiglie…) e che, al contrario, portano al confronto e all’interazione fra i diversi gruppi etnici e la popolazione autoctona.
Il caso che ho brevemente analizzato raccoglie insieme tutti questi elementi. Si fa riferimento a un insieme di episodi di ‘microcriminalità’ verificatisi in centro storico a Treviso, tra il 2004 e il 2006.
Protagonista di tali vicende è stato un gruppo di minorenni, dai tredici ai diciassette anni circa, chiamati ‘Banda della Bandana’.
Grazie all’aiuto di tre educatori che hanno lavorato e continuano a seguire alcuni di questi ragazzi, ho cercato di analizzare e capire cosa è realmente successo e come i soggetti coinvolti (ragazzi, giornalisti di due quotidiani locali, educatori, forze dell’ordine ) hanno vissuto tale situazione.
I racconti e le impressioni che ho raccolto testimoniano chiaramente la complessità delle relazioni esistenti fra diversi temi importanti quali l’immigrazione, l’adolescenza, l’educazione, il rispetto, la criminalità e la criminalizzazione.
Fondamentali e significativi risultano inoltre i ruoli, gli atteggiamenti, le idee e le aspettative messe in campo dai mass media, dalle Istituzioni (forze dell’ordine, servizi…), dai ragazzi stessi e dalla società nel suo complesso.

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16 MINORI MIGRANTI E BANDE Prima di raccontare la vicenda della Banda della Bandana, protagonista delle cronache trevigiane per circa quattro anni, è necessario cercare di spiegare cosa significa essere un giovane immigrato in Italia, e il senso che ha, per un adolescente, far parte di un gruppo. I minori e giovani che arrivano, o sono già presenti, in Italia, non possono chiaramente essere descritti in modo univoco e onnicomprensivo. Ogni nuova persona che giunge nel nostro Paese ha una propria storia e cultura di provenienza, e percorre un viaggio che è diverso anche da chi arriva con lei, poichØ il modo di vivere la stessa esperienza cambia da individuo a individuo. Anche i minori conoscono traiettorie e percorsi differenti: vi sono figli di seconda generazione, nati in Italia da genitori stranieri; minori giunti attraverso un ricongiungimento familiare; giovani entrati da soli o con le famiglie come profughi; e infine minori non accompagnati, spesso scappati da situazioni di violenza, di schiavitø e sfruttamento. L’unico elemento che accomuna le loro storie è l’esperienza, difficile e complicata, dell’emigrazione – immigrazione. Questo non significa solo abbandonare un Paese, un luogo e gli affetti, ma spostarsi per cambiare modo di vivere, quindi doversi relazionare con altre persone e con nuove culture. Qualunque sia la situazione di partenza di tali ragazzi e i motivi che li spingono a muoversi, la loro condizione di minori migranti li espone a un insieme complesso di fattori di rischio e di vulnerabilità con cui confrontarsi, in un particolare periodo loro della vita, durante il delicato momento di definizione della propria identità. L’emigrazione, o la nascita in un Paese, che non è quello d’origine dei propri genitori, infatti, complica e pone in discussione i legami di appartenenza e di affiliazione culturale, per cui i ragazzi si trovano a dover ri-definire la propria personalità all’interno di un nuovo contesto socio – culturale. L’entrare in un nuovo Paese è chiaramente un evento altamente stressante per tutta la famiglia, che deve inserirsi e adattarsi a stili e modi di vita a volte estremamente diversi a quelli cui era abituata; in caso di ricongiungimenti, poi, il ragazzo deve ri-imparare a vivere con i propri genitori, partendo da equilibri che erano stati rotti, quindi ricostruendo ruoli e relazioni.

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Informazioni tesi

  Autore: Stefania Bettiol
  Tipo: Tesi di Master
Master in Criminologia critica, prevenzione e sicurezza sociale
Anno: 2008
Docente/Relatore: Claudia Mantovan
Istituito da: Università degli Studi di Padova
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 99

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