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MINORI MIGRANTI E BANDE
Prima di raccontare la vicenda della Banda della Bandana, protagonista delle cronache
trevigiane per circa quattro anni, è necessario cercare di spiegare cosa significa essere un
giovane immigrato in Italia, e il senso che ha, per un adolescente, far parte di un gruppo.
I minori e giovani che arrivano, o sono già presenti, in Italia, non possono chiaramente essere
descritti in modo univoco e onnicomprensivo.
Ogni nuova persona che giunge nel nostro Paese ha una propria storia e cultura di provenienza,
e percorre un viaggio che è diverso anche da chi arriva con lei, poichØ il modo di vivere la
stessa esperienza cambia da individuo a individuo.
Anche i minori conoscono traiettorie e percorsi differenti: vi sono figli di seconda generazione,
nati in Italia da genitori stranieri; minori giunti attraverso un ricongiungimento familiare;
giovani entrati da soli o con le famiglie come profughi; e infine minori non accompagnati,
spesso scappati da situazioni di violenza, di schiavitø e sfruttamento.
L’unico elemento che accomuna le loro storie è l’esperienza, difficile e complicata,
dell’emigrazione – immigrazione. Questo non significa solo abbandonare un Paese, un luogo e
gli affetti, ma spostarsi per cambiare modo di vivere, quindi doversi relazionare con altre
persone e con nuove culture.
Qualunque sia la situazione di partenza di tali ragazzi e i motivi che li spingono a muoversi, la
loro condizione di minori migranti li espone a un insieme complesso di fattori di rischio e di
vulnerabilità con cui confrontarsi, in un particolare periodo loro della vita, durante il delicato
momento di definizione della propria identità.
L’emigrazione, o la nascita in un Paese, che non è quello d’origine dei propri genitori, infatti,
complica e pone in discussione i legami di appartenenza e di affiliazione culturale, per cui i
ragazzi si trovano a dover ri-definire la propria personalità all’interno di un nuovo contesto
socio – culturale.
L’entrare in un nuovo Paese è chiaramente un evento altamente stressante per tutta la famiglia,
che deve inserirsi e adattarsi a stili e modi di vita a volte estremamente diversi a quelli cui era
abituata; in caso di ricongiungimenti, poi, il ragazzo deve ri-imparare a vivere con i propri
genitori, partendo da equilibri che erano stati rotti, quindi ricostruendo ruoli e relazioni.
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Nelle situazioni di minori non accompagnati, invece, il ragazzo si trova spesso completamente
solo, senza figure adulte di riferimento che lo possano guidare e accompagnare nel percorso di
inserimento in una realtà nuova, spesso ostacolante e avversa.
Nello specifico, la letteratura sociologia e criminologica prevalente
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è concorde nel sostenere
che saranno i minori delle cosiddette ‘seconde generazioni’
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a dover affrontare le difficoltà
maggiori, per tentare una pacifica e serena integrazione. Con un’eccessiva enfasi negativa sul
tema, spesso si parla di un passaggio delle seconde generazioni dalla condizione di bambini da
accogliere ad adolescenti da temere.
Tale generazione di minori è quindi piø a rischio per quanto riguarda la possibilità di entrare in
contatto con circuiti criminali o comunque devianti, proprio perchØ in una condizione estrema di
vulnerabilità e variabilità personale. Spesso i minori migranti, e a volte anche le loro famiglie,
non sono a conoscenza dei diritti che acquisiscono nella nuova società in cui si trovano a vivere,
quindi non riescono a farli valere.
Secondo Thorsten Sellin
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, il sociologo americano che alla fine degli anni ‘30 ha proposto la
teoria dei conflitti culturali, in ogni società vi è un sistema di valori e di norme di condotta, che
indicano il comportamento da tenere a coloro che si trovano in determinate situazioni e che
vengono trasmesse di generazione in generazione. La capacità di interiorizzare i valori e le
norme dipende, quindi, dal grado di omogeneità culturale della società in cui esse operano: nelle
società semplici, le norme di condotta diventano leggi e godono di un consenso generale; nelle
società moderne, piø complesse, è possibile che si generino conflitti tra sistemi culturali
contigui.
I conflitti culturali che Sellin definisce come primari sono quelli determinati dall’attrito diretto
tra differenti culture. Questi si verificano quando i diversi sistemi culturali si sovrappongono,
per cui, fino a quando non sia intervenuta una piena integrazione, il persistere dei valori
culturali del Paese d’origine crea conflitto con i nuovi valori del Paese di arrivo. Questo
determina un indebolimento dei primi senza pervenire ancora all’assimilazione dei secondi, e
può generare una situazione d’incertezza nell’individuo e un conseguente indebolimento dei
sistemi individuali di controllo della condotta.
In un’età in cui s’iniziano a fissare dei limiti alla propria individualità per relazionarsi in
maniera adeguata e consapevole agli altri, la condizione del minore migrante, sradicato dalla
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Queirolo Palmas L. - Torre T. A. (a cura di), Il fantasma delle bande. Genova e i latinos, Genova, Fratelli Frilli
Editori, 2005
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Per immigrati di seconda generazione s’intendono quei minori che sono nati, o arrivati in tenera età, in Italia, per
cui hanno compiuto il loro percorso di socializzazione primaria nel nostro Paese.
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T. Sellin, Culture Conflict and Crime, New York, Social Science Research Council, 1938
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sua cultura d’origine e ‘trapiantato’ in un contesto che egli fatica a riconoscere come proprio,
rende tale socializzazione secondaria (legata alle norme sociali, al territorio, alle istituzioni)
notevolmente complessa e problematica.
Quale fattore predisponente, l’età costituisce un amplificatore delle motivazioni sociali,
psicologiche e individuali della devianza. Così che, la tensione psichica provocata dalla mancata
soddisfazione di determinati bisogni, il complesso d’inferiorità, la squalificazione sociale,
trovano, nella giovane età, un piø agevole canale di sbocco in comportamenti variamente
devianti. Questo ancor di piø per i giovani immigrati, che vivono spesso situazioni di
marginalità, di precarietà e di frustrazione dovute a una reciproca tensione tra la propria cultura
e quella del Paese di accoglienza.
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Le risposte a tale condizione d’instabilità e difficoltà possono essere le piø diverse, ma sono
probabili forme di ‘socializzazione alternativa’, alimentata dalle particolari condizioni di disagio
(anche economico) in cui i ragazzi vivono.
Spesso, in particolare per i ragazzi giunti come profughi, o non accompagnati, i mercati
marginali (piccolo spaccio, traffici di strada, furti nei supermercati…) sono spesso la sola forma
di sopravvivenza e quindi di accesso alla nostra società.
Aspetto fondamentale è che i giovani migranti non manifestano nostalgia per la cultura di
provenienza, che spesso non hanno neppure conosciuto; i loro desideri, sogni, aspirazioni, sono
identici a quelli dei loro coetanei italiani.
La preadolescenza e l’adolescenza sono per definizione periodi critici, di cambiamento,
costituzione e ridefinizione dell’identità personale e sociale di un individuo; è un’età facilmente
influenzabile, in continuo movimento ed evoluzione. Per permettere che tale cammino porti alla
costituzione di un’identità stabile, c’è bisogno del sostegno di figure di riferimento, di punti
fermi che sappiano accompagnare gli adolescenti nelle difficoltà, guidandoli nell’acquisizione
di una positiva concezione di sØ e delle proprie capacità.
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Chiaramente le figure piø vicine
possono essere i genitori, ma è importante che siano i ragazzi stessi a riconoscerle come adatte
ad accompagnarli in tale percorso, quindi si può trattare anche di insegnanti, educatori,
allenatori sportivi; chiunque sia in grado di ascoltare i ragazzi, con i loro dubbi e bisogni, e di
sostenerli nella definizione della propria identità.
Tale percorso di accompagnamento è già complesso nei confronti dei ragazzi italiani, poichØ
acquistare la loro fiducia, attraverso l’accoglienza e l’ascolto, è un processo lento e complicato.
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Di Bello M., La devianza degli immigrati: il ruolo delle organizzazioni criminali, in www.altrodiritto.unifi.it
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Bertolini P. - Baronia L., Ragazzi difficili: pedagogia interpretativa e linee di intervento, Firenze, La Nuova
Italia, 1993
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A maggior ragione, avvicinare gli adolescenti stranieri può essere ancora piø difficile. Ci
possono essere incomprensioni a livello culturale (ad esempio incontrare le ragazzine straniere è
quasi impossibile, poichØ tendono a passare tutte le loro giornate in casa); altri ragazzi non
vogliono essere aiutati per non sentirsi diversi dai coetanei italiani; trovare e sostenere i minori
non accompagnati è molto complicato poichØ hanno paura di essere espulsi o inseriti in qualche
comunità. Chiaro quindi che lo status di straniero aggiunge difficoltà e imprevisti alla
condizione d’indeterminatezza propria dell’età adolescenziale.
Caratteristica comunque fondamentale degli adolescenti, siano essi italiani o stranieri, è
l’importanza data al gruppo dei pari.
L’aggregazione tra pari e coetanei rappresenta il cardine della vita dei ragazzi dai tredici anni: il
gruppo è il luogo di appartenenza, in cui si condividono gioie e dolori, ci si sperimenta, si
testano le proprie capacità e limiti, si imparano la fiducia e il rispetto reciproci, si sperimentano
la solidarietà, il confronto, lo scontro e le delusioni. Per l’adolescente nulla ha piø valore e
significato del gruppo dei pari, siano essi compagni di scuola, di squadra, o semplicemente di
tempo libero.
Per i ragazzi migranti, poi, molto spesso il gruppo dei pari assume un’importanza maggiore:
riempie un vuoto che si viene a creare dalle difficoltà relazionali con la famiglia (o a volte
dall’assenza fisica stessa della famiglia, ad esempio per i minori non accompagnati) e si carica
di significati che vanno ben oltre. Il gruppo di amici non è solo il luogo in cui stare insieme ma
anche, e soprattutto, una risorsa da cui attingere modelli di comportamento, sostegno emotivo,
conferma della propria identità e talvolta anche aiuti e benefici materiali.
I gruppi di aggregazione informale di ragazzi stranieri rendono evidente inoltre una mancanza
strutturale di integrazione sociale: pochissimi adolescenti migranti appartengono a gruppi
sportivi, parrocchiali, o di altro genere. Tale condizione di differenza marcata, di esclusione e
separazione, spesso sofferta, ma che raramente è esplicitata, può diventare preludio di situazioni
di marginalità e devianza.
Luogo privilegiato di ritrovo per i ragazzi migranti è la strada, lo spazio pubblico, in quando
accessibile a tutti, in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo. Questi ragazzi avvertono
l’esigenza di ritrovarsi nei luoghi pubblici, sentendoli e agendoli come propri, per mantenere e
rimarcare l’esistenza di un ‘noi’, come meccanismo di difesa verso la nuova società che appare
sconosciuta, e a volte anche ostile.
I bisogni che i ragazzi stranieri condividono con i coetanei italiani, riguardano la partecipazione
alla vita e alle risorse sociali, il sentirsi parte e membri di un’entità piø grande e accogliente che
dovrebbe essere la comunità di cittadini in cui vivono quotidianamente. Come tutti gli
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adolescenti, i ragazzi migranti non vogliono sentirsi ed essere considerati diversi, ma
manifestano ed esprimono bisogni di attenzione, considerazione e comunicazione.
Il problema, invece, è che troppo spesso i ragazzi stranieri entrano in contatto con le realtà
istituzionali del territorio in cui vivono solo nel momento in cui sono considerati devianti e
pericolosi. Gli adolescenti sono incontrati e conosciuti per la loro pericolosità, per difendere la
società ‘normale’, e non per andare incontro e dare risposta ai loro bisogni.
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In particolare i migranti diventano ‘interessanti e visibili’ nel momento in cui mettono la società
di fronte a difficoltà e a problemi complessi da gestire, altrimenti passano inosservati, da un lato
perchØ sono come tutti gli altri adolescenti, quindi sfuggenti, e dall’altro poichØ come immigrati
tendono a nascondersi e a essere ignorati in misura maggiore.
Nel caso in cui, però, tali gruppi creino situazioni di novità o di confusione all’interno di una
comunità, un quartiere o una zona, vengono sovra-rappresentati perchØ ritenuti un pericolo e un
problema, da affrontare e ‘eliminare’.
Tale immagine in negativo dei gruppi di adolescenti ha una doppia valenza, sia sulla percezione
degli immigrati che la società ‘ospite’ si crea, sia sull’auto-percezione, in particolare proprio dei
soggetti piø giovani, che non si sentono percepiti e accettati in un contesto positivo, ma solo di
problematicità e scontro.
Questa diversità nell’auto-percezione, e di conseguenza nell’immagine di sØ, è maggiormente
vissuta nel momento in cui tali ragazzi incontrano le istituzioni, come la scuola, la questura e le
forze dell’ordine (anche per semplici controlli sulla regolarità dei documenti), il tribunale, ma
anche nei confronti di educatori e operatori sociali. L’estraneità che essi sperimentano quasi
quotidianamente rispetto a tali soggetti, visti principalmente come organi di controllo e di
repressione, rischia ovviamente di creare una controcultura oppositiva.
Tale cultura avversativa, in realtà, fa parte di un ribellismo sostanziale che è tradizionale e
connaturato all’età adolescenziale: i conflitti tra gruppi diversi, i diverbi con gli adulti
(commercianti, passanti, anche forze dell’ordine), sono caratteristiche proprie di ragazzi in fase
di crescita e definizione della propria identità, attraverso l’incontro/scontro con quella degli
altri.
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Altro elemento fondamentale per la costruzione della propria personalità riguarda gli
atteggiamenti e i comportamenti dei ragazzi: l’abbigliamento, solitamente uguale tra i membri
dello stesso gruppo, la musica che ascoltano o che producono, i luoghi che frequentano,
diventano simboli che servono a identificare i propri simili, e ad allontanare chi è diverso e
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De Leo G., La criminalità e i giovani, Roma, Editori Riuniti, 1978
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ostile. I colori e i soprannomi usati, i tatuaggi, le collane e gli altri oggetti indossati, e tutte le
azioni che il gruppo mette in atto, oltre a caratterizzare l’immaginario giovanile, costituiscono il
sostegno simbolico per la costruzione di identità differenziate e specifiche.
Tali processi, infatti, costituiscono, per il gruppo, meccanismi d’identificazione e
riconoscimento che producono visibilità e vivibilità allo stesso tempo. “Nel non vedere e non
essere visto il soggetto si percepisce come ignorato: si può comprendere almeno in parte il
significato del perchØ una persona rubi un cellulare, come segno di visibilità e accessibilità, del
riconoscimento e dell’accettazione”.
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Coloro che però non conoscono o non capiscono il significato e l’importanza di tali gesti e
comportamenti, tendono a leggerli solo attraverso l’ottica della discriminazione, della
marginalità e della devianza, creando e alimentando pregiudizi e stereotipi.
La stigmatizzazione, se protratta a lungo, diffusa in un contesto ampio e condivisa da diversi
attori sociali, può innescare meccanismi di predizione nel destino dei ragazzi, non solo
limitandone sogni e desideri, ma anche bloccando prospettive di sviluppo personale positive e
degne di sforzo e impegno.
I ragazzi che sono travolti da tali processi di etichettamento, riformulano la propria identità e le
proprie aspettative rispecchiando quelle che la società gli rimanda, riproducendo per se stessi le
categorizzazioni subite, arrivando anche a mettere in atto azioni di autoesclusione ed
emarginazione.
Questo è il maggiore rischio che arriva in particolare dai mass media, e nello specifico quando
essi trattano il tema dei giovani migranti: possibili forme di etichettamento e di categorizzazione
sociale, che diventano cruciali nella definizione del sØ.
L’adolescente migrante, infatti, è sicuramente piø esposto alle agenzie del controllo sociale,
perchØ vive quasi esclusivamente all’aperto, negli spazi pubblici; è certamente piø visibile, e ha,
quindi, piø probabilità di essere individuato, segnalato e denunciato come deviante, a volte
quasi definito e stigmatizzato come pericoloso disadattato.
¨ innegabile, dall’altro lato, il meccanismo di selettività messo in atto oramai costantemente
dalle forze dell’ordine nei confronti dei minori stranieri incontrati per strada; il fatto che questi
ragazzi siano spesso in contatto con le agenzie di controllo ha un forte influsso sia nel processo
di criminalizzazione attuato nei loro confronti, sia nell’auto- rafforzamento di un’immagine di
sØ negativa e stereotipata.
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De Leo G., La criminalità e i giovani, Roma, Editori Riuniti, 1978
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Slavoj Z., La violencia entre ficcion y fantasma. Hacia una teoria lacaniana de la ideologia, Conferencia
pronunciada en la seccion clinica de Lille, Francia, 1995