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Le teorie della cognizione nel sonno REM

Le teorie aventi per oggetto la descrizione e l’interpretazione del sonno REM – e quindi dei sogni – saranno trattate lungo un continuum storico che va dalle prime civiltà umane alle moderne teorie cognitive e psicobiologiche, con una particolare trattazione assegnata al periodo compreso tra l’inizio del novecento (con la pubblicazione del libro “L’interpretazione dei sogni”) ed i nostri giorni. Saranno descritti anche i principali teorici di tali teorie, oltre alle eventuali critiche ed applicazioni terapeutiche conseguenti alle medesime. Inoltre non saranno trascurate le basi psicobiologiche dell’attività REM, con particolare riferimento ai neurotrasmettitori e alle strutture cerebrali implicati. Infine si darà spazio alle differenze interindividuali caratterizzanti questa fase del sonno e si ipotizzeranno le possibili continuazioni della ricerca e della pratica clinica aventi per oggetto lo stadio REM e i sogni.

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2 1) Introduzione Nel gennaio del 1965, il professor Dement, un pioniere delle ricerche sul sonno, si trovò a constatare che un suo studente, all’interno di un suo esperimento sulla deprivazione di sonno, aveva ottenuto quello che si rivelò essere un Guinnes World Record, dato che era riuscito a rimanere sveglio per ben 264 ore consecutive (11 giorni). Lo studente, di nome Randy, dopo essere stato sottoposto all’esperimento, aveva dormito 14 ore e 40 minuti nel primo giorno dopo l’esperimento, 10 ore e 30 minuti il secondo, e 9 ore il terzo, al fine di recuperare l’immane quantità di sonno perso (Dement, 1999). Questo caso dimostra benissimo come il sonno sia fondamentale per l’organismo e debba essere recuperato quando non si ha la possibilità di dormire. Ma il sonno non è tutto uguale, non è “un tutt’uno”, bensì è formato da diversi stadi, in quest’ordine suddivisi: 1. lo stadio uno (occupante il 3-5% del sonno totale), caratterizzato dalla presenza di attività theta (θ) dai 3,5 ai 7,5 Hz, che rappresenta semplicemente una transizione tra il sonno e la veglia; 2. lo stadio due (occupante il 45-50% del sonno totale), che insorge circa dieci minuti dopo lo stadio precedente ed è caratterizzato da un’attività EEG – cioè rilevata mediante l’elettroencefalografia – generalmente irregolare, contenente complessi K, periodi di attività theta e fusi del sonno (spindles). I complessi K consistono in rapide e improvvise deflessioni verso il basso e verso l’alto che – contrariamente ai fusi del sonno – si rilevano quasi esclusivamente durante lo stadio due; insorgono spontaneamente, alla velocità di un minuto circa, ma possono essere indotti dai rumori – specie da quelli improvvisi – e probabilmente rappresentano un meccanismo inibitorio che protegge il dormiente dal risveglio, come rilevato da uno studio di risonanza magnetica funzionale (fMRI) (Czisch et al., 2004). I complessi K potrebbero essere considerati anche i precursori delle onde delta (δ) che fanno la loro comparsa nei livelli più profondi del sonno (De Gennaro, Ferrara e Bestini, 2000). I fusi del sonno, invece, consistono in brevi salve di onde di 12-14 Hz che si verificano da due a cinque volte al minuto durante gli stadi 1-4 del sonno; probabilmente rappresentano l’attività di un meccanismo implicato nel mantenere la persona addormentata (Bowersox, Kaitin e Dement, 1985;

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Parole chiave

coscienza
sogni
neuroscienze
terapia cognitiva
sonno
neurotrasmettitori
teoria psicodinamica
teoria cognitiva
simbolismo onirico
psicobiologia

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