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1) Introduzione
Nel gennaio del 1965, il professor Dement, un pioniere delle ricerche sul sonno, si
trovò a constatare che un suo studente, all’interno di un suo esperimento sulla
deprivazione di sonno, aveva ottenuto quello che si rivelò essere un Guinnes World
Record, dato che era riuscito a rimanere sveglio per ben 264 ore consecutive (11
giorni). Lo studente, di nome Randy, dopo essere stato sottoposto all’esperimento,
aveva dormito 14 ore e 40 minuti nel primo giorno dopo l’esperimento, 10 ore e 30
minuti il secondo, e 9 ore il terzo, al fine di recuperare l’immane quantità di sonno
perso (Dement, 1999). Questo caso dimostra benissimo come il sonno sia
fondamentale per l’organismo e debba essere recuperato quando non si ha la
possibilità di dormire. Ma il sonno non è tutto uguale, non è “un tutt’uno”, bensì è
formato da diversi stadi, in quest’ordine suddivisi:
1. lo stadio uno (occupante il 3-5% del sonno totale), caratterizzato dalla
presenza di attività theta (θ) dai 3,5 ai 7,5 Hz, che rappresenta semplicemente
una transizione tra il sonno e la veglia;
2. lo stadio due (occupante il 45-50% del sonno totale), che insorge circa dieci
minuti dopo lo stadio precedente ed è caratterizzato da un’attività EEG – cioè
rilevata mediante l’elettroencefalografia – generalmente irregolare, contenente
complessi K, periodi di attività theta e fusi del sonno (spindles). I complessi K
consistono in rapide e improvvise deflessioni verso il basso e verso l’alto che –
contrariamente ai fusi del sonno – si rilevano quasi esclusivamente durante lo
stadio due; insorgono spontaneamente, alla velocità di un minuto circa, ma
possono essere indotti dai rumori – specie da quelli improvvisi – e
probabilmente rappresentano un meccanismo inibitorio che protegge il
dormiente dal risveglio, come rilevato da uno studio di risonanza magnetica
funzionale (fMRI) (Czisch et al., 2004). I complessi K potrebbero essere
considerati anche i precursori delle onde delta (δ) che fanno la loro comparsa
nei livelli più profondi del sonno (De Gennaro, Ferrara e Bestini, 2000). I fusi
del sonno, invece, consistono in brevi salve di onde di 12-14 Hz che si
verificano da due a cinque volte al minuto durante gli stadi 1-4 del sonno;
probabilmente rappresentano l’attività di un meccanismo implicato nel
mantenere la persona addormentata (Bowersox, Kaitin e Dement, 1985;
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Nicolas et al., 2001; Steriade, 1992), tant’è che risultano meno numerosi nella
terza e quarta età (le cui popolazioni vanno incontro a più risvegli);
3. lo stadio tre (occupante insieme allo stadio quattro il 20-25% del sonno totale),
caratterizzato dal prodursi di attività delta (dal 20 al 50%) avente un’ampiezza
elevata e una frequenza inferiore ai 3,5 Hz;
4. lo stadio quattro (occupante insieme allo stadio tre il 20-25% del sonno totale),
caratterizzato dal sonno più profondo, molto simile allo stadio tre, ma –
differentemente da esso – con la presenza di più del 50% di attvità delta;
5. lo stadio REM (occupante il 20-25% del sonno totale), che insorge circa
quarantacinque minuti dopo l’inizio dello stadio quattro e novanta minuti dopo
l’addormentamento dell’individuo, caratterizzato da attività theta (θ), al pari
dello stadio uno, e descritto più dettagliatamente in seguito insieme ai sogni (il
cui studio è indispensabile per sapere cosa il cervello fa durante il sonno
REM) (Hobson, 2009).
Gli stadi uno, due, tre e quattro sono definiti “sonno NREM” e, di questi, gli stadi tre e
quattro “sonno ad onde lente” (a causa della presenza delle onde delta). Il sonno ad
onde lente (SWS) predomina nella prima parte della notte, viceversa nelle ultime ore
del sonno predominano i periodi di sonno REM e lo stadio due; la distribuzione dei
periodi di sonno lento e di sonno REM varia anche nel corso del giorno, oltre che
della notte: il sonno REM tende a preponderare negli eventuali sonnellini
antimeridiani, mentre il sonno ad onde lente predomina nei sonnellini pomeridiani.
Sia il sonno NREM sia il sonno REM sono indispensabili per la vita: infatti se si
deprivano dei topini del sonno in generale o del sonno REM in particolare, essi
terminano la loro esistenza (Rechtschaffen et al., 1989). Per la psicologia, però, lo
stadio del sonno più importante è il sonno REM, che è stato davvero indagato
moltissimo dall’inizio del novecento sino ad oggi: esistono infatti innumerevoli teorie
che indagano le funzioni del sonno REM (Dallett, 1973), ma nessuna di tutte queste
è stata – fino a oggi – completamente accettata (Zepelin, Siegel e Tobler, 2005);
d’altronde, non bisogna dimenticare che il sonno è sempre stato uno dei più grandi
misteri della natura e una delle maggiori questioni ancora senza risposta in biologia
(Bennington e Heller, 1995; Frank, 2006). Comunque tutte queste teorie si possono
riassumere in tre macroteorie (Westen, 2002):
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1. la teoria psicodinamica, basata sull’opera di autori storici quali Freud, Jung e
Adler e avente per oggetto lo studio di fenomeni astratti come l’inconscio, i
simboli o gli archetipi (oggi è stata largamente confutata);
2. la teoria psicobiologica, avente come obiettivo l’indagine del sonno REM in
modo più descrittivo che interpretativo, evidenziando per esempio quali sono
le struttre cerebrali maggiormente attive e quali i neurotrsemttitori
maggiormente presenti in questa fase del sonno;
3. la teoria cognitiva, avente per oggetto lo studio dei processi cognitivi degli
esseri umani nel corso del sonno REM (in primis la memoria, ma anche altri
come il problem-solving o la percezione).
Queste tre teorie presentano delle interpretazioni assai diverse dell’attività onirica:
concependola, per esempio, come frutto dell’azione dell’inconscio, o come fenomeno
adattivo in supporto alla veglia, o come un’attività totalmente inutile e senza uno
scopo preciso. Tale pluralità di opinioni ci dimostra come lo studio del sonno REM sia
arduo e complesso; ma è da tenere presente anche che nella scienza psicologica
non si tratta, come nella fisica, di indagare cose in grado di suscitare solo un freddo
interesse scientifico (Freud, 1940), ma di poter fare scoperte interessanti ed anche
sensazionali su inaspettati aspetti della nostra vita interiore: ciò quindi ci permette di
constatare quanto lo studio dell’attività onirica possa considerarsi fruttuoso una volta
superati i suoi ostacoli. Da sempre, infatti, questa strana attività dell’organismo ha
goduto di una centralità particolare tra tutti i fenomeni psichici umani, e ciò è anche
confermato, in primis, dai numerosi tentativi interpretativi proposti sin dalle prime
civiltà umane. Oggi possiamo notare come lo studio della fase REM sia passato da
un iniziale tentativo interpretativo di tipo magico, per poi passare ad uno filosofico ed
approdare infine solo nel secolo scorso a quello di tipo scientifico. Ma allo sviluppo
della ricerca sul sonno REM ha contribuito molto anche l'idea che questo fosse
l'equivalente fisiologico del sogno e perciò base per una psicofisiologia del sogno di
comune interesse per la psicologia, la psicoanalisi e la neurofisiologia. Se prima
pertanto i sogni, definibili quindi come il tipo di attività psichica più caratteristica e
prototipica del sonno, presenti soprattutto nella fase REM, erano considerati delle
immagini sovrannaturali inviate dagli dei agli uomini e poi dei fenomeni astratti senza
un riferimento alla persona sognante, oggi sono spesso considerati come un
fenomeno utile per la mente, una volta che l’individuo addormentato sarà tornato
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sveglio. I sogni, sono serviti inoltre per approfondire la conoscenza di molte branche
del sapere: ad esempio sono stati utilizzati per inferire le caratteristiche del contesto
sociale in cui si trova chi sogna (Tedlock, 1992; Urbina e Grey, 1975) e sono serviti
per indagare i cambiamenti socioculturali avvenuti nel corso degli anni (Kramer,
Kinney e Scharf, 1983; Lortie-Lussier, Schwab e De Konnick, 1985; Trenholme,
Cartwright e Greenberg, 1984).
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2) Antiche teorie del sonno REM
In questo paragrafo sarà brevemente descritto – per lasciare spazio a teorie più
recenti – come le antiche civiltà e i filosofi del passato hanno descritto e interpretato il
sonno REM, che però non conoscevano come tale: la loro conoscenza era infatti
limitata al fenomeno di interesse principale che avviene in questo stadio del sonno,
ovvero il sogno. L’interpretazione dei sogni è un fenomeno che gode come pochi di
una così lunga tradizione in grado di affondare le sue radici nella cultura di
numerosissime tra le prime civiltà da noi conosciute: fra queste forse le più importanti
sono quella greca e quella egiziana. Quest’ultima teoria è stata tra l’altro quella su
cui si basò Sigmund Freud per sviluppare l’interpretazione psicodinamica dell’attività
onirica ed è qui descritta sulla base delle opere di Bresciani (2005) e Partini (1996).
Gli egiziani credevano che durante il sonno le divinità consegnassero loro un
messaggio magico che permettesse all'uomo di conoscere meglio il suo mondo,
aiutandolo a risolvere i problemi quotidiani o prendere decisioni, inoltre le visioni
notturne potevano anche rivelare eventi futuri o fornire rimedi medicamentosi per
curare alcune malattie, quindi, fra gli egiziani, il confine tra sogni, magia e medicina
era molto sottile. L'attenzione che fu prestata ai sogni ebbe a seconda dei periodi un
ruolo diverso, infatti la prima concezione delle visioni oniriche era negativa perché si
pensava che durante il sonno l'uomo viaggiasse in luoghi pericolosi entrando in
contatto con spiriti maligni che gli potevano recare solo danno, per questo venivano
formulati specifici riti magici ed erano fabbricati appositi amuleti che si riteneva
fossero in grado di proteggere l'uomo dai sogni maligni. In seguito, l'interpretazione
dei sogni continuava ad acquisire sempre più importanza, tanto da diventare
talmente importante che ogni egiziano, sia di umili estrazioni, sia della classe d'élite
(compreso il faraone) consultava un sacerdote o un indovino per comprendere il
significato di un sogno. Sia gli indovini o oracoli che i sacerdoti interpretavano le
visioni notturne, cercando nel sogno la verità e fornendo informazioni su qualsiasi
evento della vita come l'amore, il lavoro, la salute o problemi di carattere politico. Più
nello specifico, gli egiziani erano convinti che alla base dell'interpretazione dei sogni
ci fosse l'idea dell'opposto: ad esempio, se durante il riposo notturno si vedeva la
propria morte significava l'esatto contrario – cioè una vita durevole – invece se si
sognava di essere felici, ciò veniva interpretato come segno dell'arrivo di imminenti
problemi ed infelicità. Tra le prime fonti scritte riguardanti i sogni dell'antico Egitto si