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Gli approcci psicosociali alla rilevazione delle forme ''moderne'' di pregiudizio

Il pregiudizio viene inteso come un atteggiamento, una tendenza a pensare, percepire, giudicare ed agire in maniera favorevole o sfavorevole nei confronti di gruppi diversi dal proprio.
In questo lavoro si è scelto di studiare il pregiudizio in senso negativo, per le sue più gravi conseguenze, almeno potenziali.
Negli ultimi decenni gli psicologi sociali hanno delineato numerose teorizzazioni utili per la comprensione delle cause e del funzionamento del fenomeno del pregiudizio che possono essere ricondotte a modelli e prospettive diverse.
Basandosi sui modelli psicodinamici, un primo approccio pone l’accento sulla relazione tra pregiudizio e caratteristiche di personalità che renderebbero alcuni individui più inclini a giudicare in modo rigido e distorto gli outgroup.
Il pregiudizio può essere anche analizzato come il risultato dei normali processi della mente umana e del bisogno che gli individui hanno di sistematizzare e organizzare la realtà sociale. Secondo questa visione, il pregiudizio chiama in causa le relazioni interpersonali e mette in gioco l’identità sociale delle persone appartenenti ai diversi gruppi coinvolti nelle relazioni stesse.
Un’altra prospettiva psico-sociale considera il pregiudizio come un fenomeno derivante dai rapporti intergruppi.
Il concetto di pregiudizio si collega a quello di stereotipo, inteso come il nucleo cognitivo del primo, ossia l’insieme degli elementi di informazione e delle credenze circa una certa categoria di oggetti, rielaborati in un’immagine coerente e tendenzialmente stabile, in grado di sostenere e riprodurre il pregiudizio nei loro confronti.
Gli stereotipi sono quindi definiti come generalizzazioni diventate patrimonio degli individui, derivati dal processo di categorizzazione; essi diventano sociali quando sono condivisi da un gran numero di persone.
Da alcuni anni l’espressione manifesta del pregiudizio nelle culture occidentali è diventata sempre meno diffusa, tanto che ai nostri giorni è difficile trovarsi di fronte a forme conclamate di pregiudizio sociale. Con il mutare delle norme sociali, tese a sanzionare ogni forma di discriminazione, la tendenza delle persone è diventata quella di presentarsi democratici, “politicamente e socialmente corretti”, il che renderebbe più rare le espressioni aperte di pregiudizi e atteggiamenti negativi nelle situazioni pubbliche. Ciononostante, nella vita intima e privata, persisterebbero credenze pregiudiziali.
Accanto alle più plateali, dirette e manifeste espressioni di pregiudizio si insidierebbero quindi delle forme nascoste, sottili e indirette che permetterebbero di mantenere un'immagine di sé come persona priva di pregiudizio, coerente con le norme sociali ed incline al rispetto dei valori umanitari.
Numerose ricerche hanno focalizzato l’attenzione sulle forme più indirette di pregiudizio, forme che sono state riscontrate principalmente negli Stati Uniti, ma anche in numerose nazioni europee, Italia inclusa.
Sono diverse le definizioni date a questa forma di pregiudizio: “razzismo simbolico”, “razzismo moderno”, “razzismo di avversione” e “pregiudizio sottile”. L’elemento che accomuna queste etichette è che esse fanno riferimento a forme di pregiudizio latenti, nascoste o sottili, che si aggiungono o sostituiscono le classiche forme pregiudiziali espresse in maniera più diretta e aperta nei confronti dei gruppi sociali stigmatizzati.
Un contributo fondamentale per la comprensione delle modalità di espressione di queste due forme di pregiudizio è stato dato in Europa da Pettigrew e Meertens.
Secondo gli autori, le forme esplicite di pregiudizio, che corrispondono a quello tradizionale, si esprimono attraverso un rifiuto diretto e aperto e si articolano attorno a due nuclei concettuali: l’idea che l’outgroup costituisca una minaccia per il proprio gruppo e l’idea che occorra evitare qualsiasi contatto con i membri dell’outgroup (anti-intimità).
Le forme sottili si manifestano invece attraverso comportamenti ed espressioni che, in quanto normativi, sono considerati accettabili nelle società occidentali: l’accentuazione delle differenze culturali, la difesa dei valori tradizionali ed il rifiuto di provare emozioni positive nei confronti dell’outgroup costituiscono le dimensioni su cui tale forma di pregiudizio si fonda.
La scala del pregiudizio sottile e manifesto messa a punto da Pettigrew e Meertens nel 1995 è stata validata in Italia da Arcuri e Boca e successivamente da Manganelli Rattazzi e Volpato. Entrambe le ricerche hanno confermato le proprietà psicometriche dello strumento e la sua applicabilità al contesto italiano.

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3 INTRODUZIONE Il pregiudizio viene inteso come un atteggiamento, una tendenza a pensare, percepire, giudicare ed agire in maniera favorevole o sfavorevole nei confronti di gruppi diversi dal proprio (Mazzara, 1997). In questo lavoro si è scelto di studiare il pregiudizio in senso negativo, per le sue più gravi conseguenze, almeno potenziali. Negli ultimi decenni gli psicologi sociali hanno delineato numerose teorizzazioni utili per la comprensione delle cause e del funzionamento del fenomeno del pregiudizio che possono essere ricondotte a modelli e prospettive diverse. Basandosi sui modelli psicodinamici, un primo approccio pone l’accento sulla relazione tra pregiudizio e caratteristiche di personalità che renderebbero alcuni individui più inclini a giudicare in modo rigido e distorto gli outgroup (Adorno, Frenkel-Brunswik, Levinson e Sanford, 1950). Il pregiudizio può essere anche analizzato come il risultato dei normali processi della mente umana e del bisogno che gli individui hanno di sistematizzare e organizzare la realtà sociale (Allport, 1954; Tajfel 1981). Secondo questa visione, il pregiudizio chiama in causa le relazioni interpersonali e mette in gioco l’identità sociale delle persone appartenenti ai diversi gruppi coinvolti nelle relazioni stesse. Un’altra prospettiva psico-sociale considera il pregiudizio come un fenomeno derivante dai rapporti intergruppi. Rupert Brown (1995), tenendo conto dell’importante contributo dato da Tajfel (1981), oltre ad evidenziare gli aspetti cognitivi del pregiudizio, ne sottolinea le componenti emotive e le possibili espressioni comportamentali del fenomeno. Inoltre approfondisce il tema del pregiudizio come “fenomeno fondato nel gruppo” e allo stesso tempo come “cognizione, emozione e comportamento individuale”. Il pregiudizio viene così definito come “il mantenimento di atteggiamenti sociali e credenze cognitive squalificanti, l’espressione di emozioni negative o la messa in atto di

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