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''BELLA FAVOLA: UMANI O BB-8?'' - Interazionismo radicale, robotica educativa e multiculturalismo nell'ambito della salute mentale

In questo elaborato, proverò a verificare che la teoria dell'Interazionismo Radicale di Lonnie Athens possa essere essere usata nell'ambito della salute mentale. Per farlo sfrutterò sfrutterò le trascrizioni delle registrazioni dell'attività "Bella Favola: Umani o BB-8?" realizzato presso il Centro Diurno di NPIA "Bella Storia" di Crema e i diari che gli operatori che vi hanno partecipato hanno scritto alla fine di ogni incontro.
Affronterò poi il tema della comunicazione interculturale nei servizi sociosanitari e nel suddetto progetto.

Lo scopo di questo elaborato è quindi quello di:
1. Verificare l'applicabilità dell'Interazionismo Radicale all'ambito della psichiatria;
2. Mostrare come ho applicato la robotica educativa nell'ambito della salute mentale;
3. Riflettere sul tema della comunicazione interculturale nell'ambito educativo, riabilitativo e terapeutico.

Conclusioni:
L'Interazionismo Radicale di Lonnie Athens può essere efficacemente applicato all'ambito della psichiatria e, a ben vedere, anche in tantissimi altri ambiti. Ognuno di noi ha infatti una propria cultura attraverso cui interpreta ciò che osserva. A tale interpretazione ed alla scelta di come agire, concorrono poi anche le persone significative che abbiamo incontrato ed interiorizzato nel corso della nostra esistenza. Gli insegnamenti che abbiamo avuto nel corso della nostra vita e le strategie che abbiamo interiorizzato sia attraverso le proprie esperienze che le persone che hanno avuto un impatto di noi, inevitabilmente si ripercuotono sul nostro agito e sulla lettura che daremo alle varie situazioni. A tutto questo si aggiungono poi eventuali patologie che possono influenzare le nostre interpretazioni e le nostre decisioni. In questo senso il processo di violentizzazione non è altro che un processo non automatico di risposta ad una data situazione. Nell'ambito della violenza, esso comporta un imparare ad agire violenza per risolvere le situazioni, ma lo stesso avviene anche in altri ambiti. Si potrebbe infatti dire che lo stesso percorso di cura e di riabilitazione di una persona che soffre di una patologia legata alla salute mentale comporti un processo di violentizzazione. In questo caso una persona familiarizza con l'adozione di determinate soluzioni/strategie per far fronte ai bias interpretativi derivati dalla patologia di cui soffre, oppure per gestire delle emozioni (per esempio sfruttando appositi giocattoli per sfogare l'ansia e lo stress) o per modificare delle strategie disfunzionali precedentemente interiorizzate (per esempio rinunciando ad agiti autolesionistici preferendovi l'attività fisica). Il processo di violentizzazione si verifica anche quando ci si abitua a considerare "normale" una data situazione. Quando, per esempio, viene varata una legge che legalizza un dato comportamento o una data pratica che alcuni reputano sbagliati (come, per esempio, la legalizzazione dei matrimoni tra persone omosessuali) dopo tanti anni può capitare che anche chi vi era contrario si abitui così tanto ad essi che inizia ad accettarli o comunque a non curarsene iniziando quindi ad interpretare in modo diverso una situazione. In questo senso, la consapevolezza che si ha di sé stessi aiuta a gestire tale processo. Ovviamente, ciò non toglie che possa essere molto difficile da modificare, specialmente quando legato alla propria cultura, a modelli che sono stati interiorizzati ed eventualmente ha fattori difficili da controllare quali le patologie che coinvolgono la salute mentale. Non è un caso che, nell'ambito della psichiatria, i percorsi di cura siano spesso difficili e lunghi.

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1 INTRODUZIONE L’informatica, una passione che mi caratterizza fin da quando avevo cinque anni. A quell’epoca mio padre iniziò ad insegnarmi come smontare e rimontare un computer, come cercare di migliorarne il funzionamento e come risolvere eventuali problemi che potevano presentare. Nei miei ricordi è ancora vivido il momento in cui mi portò un braccio robotico che l’azienda per cui lavorava stava buttando, come se sapesse che prima o poi avrei sfruttato tale tecnologia. Provai e riprovai a capire come funzionasse sia a livello software che a livello hardware, ma senza la possibilità di accedere ai libri e ad internet (che all’epoca ancora non esisteva in Italia) il risultato fu nullo, o meglio, non fu quello che mi aspettavo. Pochissimo tempo dopo, la prima console, un Sega Master System e con lei il piacere di immergermi in un mondo fatto di avventure che potevo plasmare a mio piacimento distogliendomi dalla realtà e iniziando a sognare facendo nascere in me la passione per i videogames. Passavano gli anni e il mondo intorno a me cambiava, si evolveva. Io cambiavo e mi evolvevo. Ciò non accadde però per il piacere che provavo nel lavorare su ogni tipo di computer e tecnologia su cui riuscivo a mettere le mani. Lo stesso valeva per i mondi e le avventure che vivevo attraverso i videogames e che spesso si rivelavano essere un aiuto per i duri periodi che stavo vivendo. Durante l’adolescenza, tuttavia, ecco arrivare il tipico fulmine a ciel sereno: iniziai a chiudermi in casa, a non voler uscire più nemmeno per andare a scuola. Sensazioni e percezioni nuove iniziarono a comparire… era l’inizio di qualcosa che mi segnò per il resto della mia vita. Passò il tempo, iniziai ad abituarmi, a capire come gestire tutto ciò. Nel frattempo, dopo aver conseguito il diploma delle scuole superiori, al pari di altri giovani, non sapevo cosa fare, non avevo ancora capito esattamente a quale lavoro avrei voluto dedicare la mia vita e le mie energie e così iniziai a sperimentarmi e a mettermi in gioco sfruttando ogni opportunità che mi si presentava. Fu per puro caso che iniziai a scrivere alcune piccole recensioni dei videogames con cui giocavo e senza rendermene conto nel 2012 iniziai a collaborare come redattore per la testata Gametime. Non solo videogames ma anche computer e tecnologia. Seguivo costantemente il suo ideatore e fondatore apprendendo tutto ciò che potevo e nel 2014 mi imbattei nei primi dev-kit di Oculus Rift, un visore per la realtà virtuale immersiva, innamorandomene all’istante. Nel frattempo, nel mio tempo libero, iniziai a far volontariato in un canile e dal nulla i suoi gestori mi proposero di occuparmi di un progetto di “terapia assistita” con delle persone affette da disabilità fisica e mentale. Fu amore a prima vista! Mai avevo sperimentato un piacere così immenso: la gioia di aiutare gli altri, specialmente se soffrivano di patologie simili alla mia. Non ci volle molto per capire che quella sarebbe stata la mia strada. Lasciai il lavoro, passai un anno intero a preparare il test

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