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INTRODUZIONE
L’informatica, una passione che mi caratterizza fin da quando avevo cinque anni. A quell’epoca mio
padre iniziò ad insegnarmi come smontare e rimontare un computer, come cercare di migliorarne il
funzionamento e come risolvere eventuali problemi che potevano presentare. Nei miei ricordi è
ancora vivido il momento in cui mi portò un braccio robotico che l’azienda per cui lavorava stava
buttando, come se sapesse che prima o poi avrei sfruttato tale tecnologia. Provai e riprovai a capire
come funzionasse sia a livello software che a livello hardware, ma senza la possibilità di accedere ai
libri e ad internet (che all’epoca ancora non esisteva in Italia) il risultato fu nullo, o meglio, non fu
quello che mi aspettavo. Pochissimo tempo dopo, la prima console, un Sega Master System e con lei
il piacere di immergermi in un mondo fatto di avventure che potevo plasmare a mio piacimento
distogliendomi dalla realtà e iniziando a sognare facendo nascere in me la passione per i videogames.
Passavano gli anni e il mondo intorno a me cambiava, si evolveva. Io cambiavo e mi evolvevo. Ciò
non accadde però per il piacere che provavo nel lavorare su ogni tipo di computer e tecnologia su cui
riuscivo a mettere le mani. Lo stesso valeva per i mondi e le avventure che vivevo attraverso i
videogames e che spesso si rivelavano essere un aiuto per i duri periodi che stavo vivendo. Durante
l’adolescenza, tuttavia, ecco arrivare il tipico fulmine a ciel sereno: iniziai a chiudermi in casa, a non
voler uscire più nemmeno per andare a scuola. Sensazioni e percezioni nuove iniziarono a
comparire… era l’inizio di qualcosa che mi segnò per il resto della mia vita.
Passò il tempo, iniziai ad abituarmi, a capire come gestire tutto ciò. Nel frattempo, dopo aver
conseguito il diploma delle scuole superiori, al pari di altri giovani, non sapevo cosa fare, non avevo
ancora capito esattamente a quale lavoro avrei voluto dedicare la mia vita e le mie energie e così
iniziai a sperimentarmi e a mettermi in gioco sfruttando ogni opportunità che mi si presentava. Fu per
puro caso che iniziai a scrivere alcune piccole recensioni dei videogames con cui giocavo e senza
rendermene conto nel 2012 iniziai a collaborare come redattore per la testata Gametime. Non solo
videogames ma anche computer e tecnologia. Seguivo costantemente il suo ideatore e fondatore
apprendendo tutto ciò che potevo e nel 2014 mi imbattei nei primi dev-kit di Oculus Rift, un visore
per la realtà virtuale immersiva, innamorandomene all’istante.
Nel frattempo, nel mio tempo libero, iniziai a far volontariato in un canile e dal nulla i suoi gestori
mi proposero di occuparmi di un progetto di “terapia assistita” con delle persone affette da disabilità
fisica e mentale. Fu amore a prima vista! Mai avevo sperimentato un piacere così immenso: la gioia
di aiutare gli altri, specialmente se soffrivano di patologie simili alla mia. Non ci volle molto per
capire che quella sarebbe stata la mia strada. Lasciai il lavoro, passai un anno intero a preparare il test
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di ingresso per la facoltà universitaria di Educazione Professionale presso l’Università degli Studi di
Milano e riuscii ad accedervi. Nel frattempo, le mie passioni erano sempre lì e con loro il naturale
desiderio di trovare il modo di sfruttarle in quello che sarebbe stato il mio lavoro.
Sempre il fato, un giorno mi fece imbattere in un articolo in cui un gruppo di ricercatori
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riportava di
aver sottoposto dei pazienti che soffrivano di schizofrenia ad un trattamento che prevedeva il ricreare
in un ambiente virtuale le allucinazioni che frequentemente vivevano, permettendo loro di allenarsi
nell’ignorarle. Il risultato di tale esperimento era una significativa diminuzione nella frequenza di tali
allucinazioni e di conseguenza un miglioramento della qualità della vita di questi soggetti. La ricerca
di come avrei potuto riunire la passione per i videogames, per l’informatica e il desiderio di aiutare
gli altri si era appena conclusa. La mia Tesi di Laurea della triennale si concretizzò infatti con un
progetto diretto a studiare l’uso della realtà virtuale nell’ambito della psichiatria e della disabilità
fisica e cognitiva presso il Centro Diurno Disabili – Progetto Ufficio del Centro I.R.C.C.S. Santa
Maria Nascente della Fondazione Don Carlo Gnocchi ed il Centro Diurno Psichiatrico che all’epoca
era situato a Milano in Via Settembrini 32. Fu un successo, soprattutto per quanto concerne la risposta
degli utenti.
Un anno dopo aver conseguito il titolo di Dottore in Educazione Professionale presso l’Università
degli Studi di Milano, mi iscrissi al Corso di Laurea in Programmazione e Gestione delle Politiche e
dei Servizi Sociali dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. Lo feci più che altro per la semplice
passione per lo studio, per la curiosità e la volontà di approfondire temi quali: la tutela dei diritti
umani, il diritto degli stranieri, i sistemi di welfare, la sociologia della famiglia, le teorie della
democrazia e del populismo, la sociologia della violenza, le politiche attinenti alla sicurezza urbana,
la police brutality e la comunicazione interculturale. Durante il primo anno di università mi imbattei
nell’insegnamento “Sociology of Violence”, incuriosito iniziai a frequentarlo. Studiai la teoria
dell’Interazionismo Radicale di Lonnie Athens che mi colpì così tanto che provai ad utilizzarla per
spiegare sia come ogni giorno scelgo di agire pur condizionato dai limiti posti dalle patologie
psichiatriche di cui soffro, sia le strategie che adotto per gestire i limiti da esse derivate. Mi si aprì un
mondo di riflessioni.
Agli inizi del 2022 scoprii l’esistenza dell’insegnamento “Educational Robotics” che si teneva presso
il Corso di Laurea in Scienze Pedagogiche dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. Fu
l’ennesimo amore a prima vista! Appresi infatti come applicare la robotica all’ambito educativo,
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Potvin S., Lipp O., Dellazizzo L., Laurelli M., Breton R., Lalonde P., Phraxayavong K., O'Connor K., Pelletier JF.,
Boukhalfi T., Renaud P., Dumais A., “Virtual reality therapy for refractory auditory verbal hallucinations in
schizophrenia: A pilot clinical trial”, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29486956
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riabilitativo e terapeutico espandendo le mie competenze. A differenza della realtà virtuale immersiva
non si trattava di uno strumento terapeutico in senso stretto, quanto di uno mezzo per aiutare le
persone a capire come ragionano e risolvono i problemi. Per la seconda volta in vita mia, senza quasi
rendermene conto, la Tesi di Laurea era impostata!
In questo elaborato, spiegherò la teoria dell’Interazionismo Radicale di Lonnie Athens e come
secondo me può essere applicata all’ambito della psichiatria. Riassumerò le basi teoriche su cui ho
basato il progetto “Bella Favola: Umani o BB-8?” da me realizzato presso il Centro Diurno di NPIA
“Bella Storia” di Crema. Descriverò il suddetto servizio e illustrerò dettagliatamente il progetto di
robotica educativa su cui è basata questa Tesi di Laurea. Successivamente sfrutterò le trascrizioni
delle registrazioni dell’attività e i diari che gli operatori che vi hanno partecipato hanno scritto alla
fine di ogni incontro per verificare che effettivamente la teoria dell’Interazionismo Radicale di Lonnie
Athens può essere usata nell’ambito della salute mentale. Infine, essendo il lavoro dell’Educatore
Professionale Sociosanitario fortemente basato sulla relazione con persone aventi una cultura diversa,
e di conseguenza essendolo anche il progetto “Bella Favola: Umani o BB-8?”, affronterò il tema della
comunicazione interculturale nei servizi sociosanitari e nel suddetto progetto.
Lo scopo di questo elaborato è quindi quello di:
1. Verificare l’applicabilità dell’Interazionismo Radicale all’ambito della psichiatria;
2. Mostrare come ho applicato la robotica educativa nell’ambito della salute mentale;
3. Riflettere sul tema della comunicazione interculturale nell’ambito educativo, riabilitativo e
terapeutico.
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CAPITOLO 1
L'interazionismo radicale di Lonnie Athens, il concetto di
cosmologia e di narrazione
“A volte mi chiedo se la realtà esiste davvero, se c’è veramente una natura delle cose, obiettiva e
intatta. O se tutto ciò che ci accade è già modificato in anticipo dalla nostra immaginazione. Se
sognando qualcosa gli diamo vita.”
Questa frase della poetessa Chitra Banerjee Divakaruni
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potrebbe sintetizzare ciò che sta alla base
della teoria dell’Interazionismo Radicale sviluppata dall’accademico statunitense Lonnie Athens.
La realtà che ognuno di noi osserva viene sistematicamente letta, filtrata ed interpretata attraverso
i nostri valori, le nostre esperienze e, come spiegherò nelle prossime pagine, anche eventuali
patologie che condizionano il nostro modo di vedere il mondo.
In questo capitolo illustrerò la teoria dell’Interazionismo Radicale, teoria che si fonda sull’idea che
ognuno di noi, in base alla propria cultura, alle proprie idee, ai propri valori e alle persone che
hanno lasciato un segno della nostra vita interpreti quello che vede ed in base a ciò decida come
agire rifacendosi alle soluzioni che ha appreso nel corso della propria vita. Ciò ben si sposa con
quanto avviene nella mente di una persona affetta da una patologia legata alla salute mentale. Essa,
infatti, vede il mondo esterno e la sua interpretazione è influenzata sia dagli elementi prima citati
che dalla malattia. Riuscire ad escludere quest’ultima dal processo decisionale è un’operazione
tutt’altro che semplice che richiede sia la capacità di riconoscere tale influenza, sia di poterla
isolare al fine di arginare i bias cognitivi che comporta.
Quando mostrerò l’applicazione dell’Interazionismo Radicale all’ambito della psichiatria,
sfrutterò esempi pratici derivati dalla mia esperienza personale sia di persona affetta da diverse
patologie di questo tipo che di Educatore Professionale Sociosanitario usandomi come “caso
studio”.
2
Chitra Banerjee Divakaruni (Calcutta, 1956) è una scrittrice, poetessa, saggista, giornalista ed attivista indiana
naturalizzata statunitense.
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1.1 – L’INTERAZIONISMO RADICALE DI LONNIE ATHENS
Lonnie Athens
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è un accademico statunitense che, essendo stato vittima di violenza in molti
contesti, ha deciso di affrontare questo tema con lo scopo di riuscire a spiegarsi come mai una
persona, per quanto acculturata, a modo e priva di qualsivoglia patologia che possa influire sulla
sua capacità di giudizio, possa compiere atti violenti.
Le teorie sviluppate fino agli anni ‘60 e ’70 ritenevano che chi compiva un gesto violento fosse
soggetto a sofferenza mentale. Ciò, tuttavia, ad Athens non sembrava corretto in quanto suo padre
era una persona normalissima e, nella violenza che agiva, era possibile riscontrare una logica, una
razionalità che mal si conciliavano con l’idea che fosse semplicemente “mentalmente instabile”.
Durante la sua ricerca Athens studiò svariate teorie/approcci che tuttavia non risposero alle sue
domande. La svolta giunse quando conobbe l’Interazionismo Simbolico. Si trattava di una teoria
sviluppata da George Herbert Mead che metteva al centro di tutto un’azione tra differenti attori,
ossia l’interazione nella scena sociale, focalizzandosi sui simboli presenti in essa. Tale teoria si
concentrava sui simboli che ogni attore interpreta sulla base del proprio bagaglio sociale. Athens
decise di applicare l’interazionismo simbolico nel contesto violento. Iniziò di conseguenza a
svolgere una serie di studi, anche in carcere (compresi le carceri di massima sicurezza),
raccogliendo moltissime interviste. Il suo scopo era quello di farsi raccontare dalle persone le
motivazioni che le avevano spinte ad agire violenza e quindi cosa avesse scatenato in loro la
decisione di compiere tale gesto.
Athens capì quanto sono cruciali le emozioni (tutte le emozioni, non solo la paura, la rabbia e
l’odio) e che l’atto violento è semplicemente l’ultimo passaggio di un processo di socializzazione
alla violenza da lui definito processo di violentizzazione
4
. Athens intuì inoltre che a spingere un
soggetto ad agire violenza, non sono né i dati di contesto o della situazione, né un impulso interno,
bensì come i dati di contesto vengono da lui interpretati in relazione alle proprie esperienze di vita.
In modo particolare, secondo Athens, chi ha imparato ad agire violenza ed ha percorso tutti gli
3
Selton Hall University, “Lonnie Athens, D.Crim.”, https://www.shu.edu/profiles/lonnieathens.cfm
4
Cfr. Athens, L. (2007a), Radical interactionism. Going beyond Mead, In Journal for the Theory of Social Behaviour,
37, 2, pp.137-165.
Sul tema si vedano anche:
Ceretti A, Natali L (2009). Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Milano: Cortina, pagina 225.
Blumer, H. (1962), Society as symbolic interaction, In Rose, A. (a cura di), Human Behavior and Social Processes.
Houghton Mifflin, Boston.
Blumer, H. (1969a), La metodologia dell’interazionismo simbolico, Tr. it. Armando, Roma 2006.
Ciacci, M. (1983) (a cura di), Interazionismo simbolico, il Mulino, Bologna.
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stadi del processo di violentizzazione è colui che agirà violenza per risolvere le situazioni vedendo
in essa l’unica soluzione praticabile in quel dato momento.
Athens intuì quindi che le azioni violente e non violente sono sempre l’esito di interpretazioni
individuali e che le esperienze passate, sebbene influenzino tali interpretazioni, non sono mai
determinanti. L’atto violento è situato infatti in una situazione e prevede un ruolo attivo dell’attore
violento che interpreta la realtà sulla base della sua esperienza.
Athens fece quindi emergere quindi l’esistenza di una riflessività nell’attore violento e di
un'attribuzione di significato all'interazione con l’altro.
Athens introdusse poi il concetto di comunità fantasma
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che può essere descritta come quel
parlamento interiore, rappresentato dalle persone significative che ognuno di noi ha incontrato nel
corso della propria esistenza, che nei Self
6
di coloro che pongono in essere gesti violenti, è
composto da interlocutori interiori che sostengono l’utilizzo della violenza per la risoluzione dei
conflitti e/o della situazione in cui si trovano.
In pratica, secondo Athens, l’interpretazione e la scelta dell’azione da intraprendere deriva da un
processo che vede l’individuo parlare con la propria comunità fantasma al fine di decidere quale
sia l’interpretazione più corretta da dare ad una data situazione e quale sia l’azione più giusta da
intraprendere.
In questo senso, volendo andare oltre l’ambito specifico della violenza, ogni decisione che
prendiamo non è solo legata ad un confronto tra ciò che vorremmo e le aspettative altrui, quanto
piuttosto una votazione istantanea di un piccolo parlamento interiore composto da persone
interiorizzate che ci giudicano e con cui ci confrontiamo istante per istante. Il tutto, ovviamente,
influenzato anche (anche, non solo) dalle nostre esperienze in quanto esse fanno parte di noi e
caratterizzano / influenzano le interpretazioni che diamo agli elementi di ogni scena.
5
Cfr. Athens, L. (2007a), Radical interactionism. Going beyond Mead, In Journal for the Theory of Social Behaviour,
37, 2, pp.137-165.
Sul tema si vedano anche:
Ceretti A, Natali L (2009). Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Milano: Cortina, pagina 335.
Athens, L. (1974), The Self and the violent criminal act, In Urban Life and Culture, 3, pp. 98-112.
Benjamin, W. (1936), Il narratore. Considerazioni sull'opera di Nicola Leskov, Tr. it. in Benjamin, W. (1955),
Angelus Novus. Saggi e frammenti. Einaudi, Torino 1995.
Blumer, H. (1962), Society as symbolic interaction, In Rose, A. (a cura di), Human Behavior and Social Processes.
Houghton Mifflin, Boston.
6
In psicologia viene definito come una struttura centrale di ogni individuo che racchiude una serie di componenti
personali, che consentono di auto definirle.
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Attraverso la propria ricerca Athens definì quattro tipologie di interpretazioni che una persona può
dare ad una situazione e che possono spingerla a vedere la violenza come l’unica soluzione
possibile:
1. Interpretazione fisicamente difensiva
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: la persona percepisce un attacco in corso o
imminente da parte di qualcuno e vede nella violenza l’unico modo per prevenire
quell’attacco o per difendersi. Ritenendo quindi di star ricevendo un’offesa, decide che
l’unica soluzione possibile sia quella di rispondere a propria volta con altrettanta violenza;
2. Interpretazione frustativa
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: l’attore ritiene che chi ha davanti resisterà (o sta resistendo) al
suo agito ed in modo particolare alla violenza che subirà. L’attore, quindi, vuole
raggiungere un dato risultato ma, mettendosi nel punto di vista dell’altro, intuisce che esso
vi resisterà e per tale motivo decide che, se vuole raggiungerlo, deve utilizzare ulteriore
violenza. A tal proposito Athens sottolinea quanto quello che conti sia il modo in cui il
desiderio o il bisogno viene incanalato;
3. Interpretazione malefica
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: il soggetto ritenendo che chi ha davanti lo stia deridendo,
sminuendo o umiliando e che quindi gli voglia far del male, decide di reagire con la
violenza. La violenza, in questo caso, viene messa in atto con il preciso scopo di far
smettere chi lo sta infastidendo;
4. Interpretazione frustrativa-malefica
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: si tratta di un mix tra l’interpretazione frustativa e
l’interpretazione malefica. L’attore ritiene che chi ha di fronte resisterà all’azione cui sarà
sottoposto e che lo farà con il preciso scopo di sminuirlo, deriderlo ed umiliarlo. L’altra
persona, quindi, non sarà vista solamente come un ostacolo ma anche come una persona
maliziosa.
7
Cfr. Athens, L. (2007a), Radical interactionism. Going beyond Mead, In Journal for the Theory of Social Behaviour,
37, 2, pp.137-165.
Sul tema si veda anche:
Ceretti A, Natali L (2009). Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Milano: Cortina, pagina 193.
8
Cfr. Athens, L. (2007a), Radical interactionism. Going beyond Mead, In Journal for the Theory of Social Behaviour,
37, 2, pp.137-165.
Sul tema si veda anche:
Ceretti A, Natali L (2009). Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Milano: Cortina, pagina 199.
9
Cfr. Athens, L. (2007a), Radical interactionism. Going beyond Mead, In Journal for the Theory of Social Behaviour,
37, 2, pp.137-165.
Sul tema si veda anche:
Ceretti A, Natali L (2009). Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Milano: Cortina, pagina 201.
10
Cfr. Athens, L. (2007a), Radical interactionism. Going beyond Mead, In Journal for the Theory of Social Behaviour,
37, 2, pp.137-165.
Sul tema si veda anche:
Ceretti A, Natali L (2009). Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Milano: Cortina, pagina 204.
8
Per ultimo, gli studi di Athens lo portano a porsi la seguente domanda: “Come mai, se anche si ha
interpretato un’azione secondo una delle quattro tipologie da me trovate, capita che l’azione
violenta non venga attuata?”. Athens intuì che tra l’interpretazione di una situazione e la messa in
atto di una data azione vi fosse un ulteriore passaggio che potesse eventualmente spingere una
persona a rivedere la propria decisione.
Identificò tre possibili processi che seguono la decisione di come agire e che possono allontanarla
o confermarla:
• Linea fissa di indicazione o visione a tunnel
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: una volta stabilito che l’unica azione
possibile sia quella di agire violenza, la persona entra in una sorta di tunnel che la porta ad
escludere eventuali elementi che possono esser sopraggiunti o eventuali altre ipotesi. In
pratica, si arriva all’atto violento perché alla persona non interessa nient’altro;
• Restrizione di contenimento
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: in questo caso può accadere quello che Athens chiama
giudizio di contenimento, ossia un giudizio che contiene l’idea iniziale di agire violenza.
Intervengono quindi dei fattori (che possono essere di vario genere) che la persona vede,
che immette nel proprio processo interpretativo (per esempio, un cambio di atteggiamento
da parte dell’altra persona) e che lo portano a rivedere la propria decisione;
• Giudizio di overriding (sovrapposizione o annullamento)
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: la persona, dopo aver
contenuto la decisione di agire violenza escludendo tale soluzione, decide di recuperare
l’intento iniziale.
I due processi che poteranno alla violenza saranno la linea fissa di indicazione e il giudizio di
overridding. La restrizione di contenimento invece non poterà alla violenza. A tal proposito Athens
sottolineò l’importanza dell’immagine che ogni persona ha di sé stessa. Il vedersi come persone
violente aumenta infatti la possibilità di decidere di agire in modo violento. Il self viene quindi
11
Cfr. Athens, L. (2007a), Radical interactionism. Going beyond Mead, In Journal for the Theory of Social Behaviour,
37, 2, pp.137-165.
Sul tema si veda anche:
Ceretti A, Natali L (2009). Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Milano: Cortina, pagina 210.
12
Cfr. Athens, L. (2007a), Radical interactionism. Going beyond Mead, In Journal for the Theory of Social Behaviour,
37, 2, pp.137-165.
Sul tema si veda anche:
Ceretti A, Natali L (2009). Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Milano: Cortina, pagina 213.
13
Cfr. Athens, L. (2007a), Radical interactionism. Going beyond Mead, In Journal for the Theory of Social Behaviour,
37, 2, pp.137-165.
Sul tema si vedano anche:
Ceretti A, Natali L (2009). Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Milano: Cortina, pagina 220.
Ciacci, M. (1983) (a cura di), Interazionismo simbolico, il Mulino, Bologna.
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visto come un motore interno dell’immagine di sé e dell’interpretazione della situazione all’origine
di atti violenti.
1.2 – IL CONCETTO DI COSMOLOGIA
Il concetto di Cosmologia è stato elaborato da Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali come tentativo di
sintesi dell’Interazionismo Radicale integrandolo con altre teorie criminologiche. Esso ritiene che
ogni atto violento implichi una cosmologia personale, ossia un insieme organizzato di prospettive
con cui si guarda e si interpreta il mondo e mediante le quali ci si posiziona al suo interno. In
pratica, a partire dal caos sociale in cui si è immersi, composto dai più svariati significati e dalle
più svariate interpretazioni, ogni persona cerca di trovare un ordine nel proprio mondo culturale
ed etico attraverso le pratiche quotidiane. Tale concetto permette di comprendere anche l’atto più
brutale vedendolo come dotato di senso. Accedendo alla cosmologia di una persona sarebbe infatti
possibile rilevare l’insieme di prospettive con cui guarda e interpreta il mondo.
Per accedere alla cosmologia di una persona (nel caso specifico, dell’attore violento), secondo
Ceretti e Natali bisogna far uso della narrazione (o, nell’ambito della criminologia, della narrative
criminology) ossia delle narrazioni personali delle persone. Esse permettono di spiegare sia il
modo in cui si interpreta il mondo, sia il modo in cui si dialoga con sé stessi orientando le proprie
azioni (nel caso specifico, delle azioni violente
14
).
Qualora si stia trattando l’argomento della violenza, bisogna quindi concentrarsi sul senso che essa
assume per la cosmologia di una persona.
Il concetto appena descritto, secondo me, può esser facilmente traslato su tutte le azioni che
compiamo, comprese quelle più abitudinarie e/o ritualizzate.
A questo proposito, ai fini del discorso generale dell’elaborato, è bene riportare due collegamenti
pratici con l’ambito della psichiatria:
Il primo “ordine” che mi è stato dato dalla psichiatra che mi ha avuto in carico è stato il seguente:
“Devi esprimere le tue emozioni. Non puoi tenerle dentro di te. Il tenerle dentro, il non
manifestarle, il non elaborarle ti ha caratterizzato da quando eri piccolo e ha contribuito
14
Cfr. Athens, L. (2007a), Radical interactionism. Going beyond Mead, In Journal for the Theory of Social Behaviour,
37, 2, pp.137-165.
Sul tema si vedano anche:
Ceretti A., Natali L. (2022), Io volevo ucciderla. Per la criminologia dell’incontro, Milano, Cortina Raffaello.
Ceretti, A., Cornelli, R. (2013), Oltre la paura. Cinque riflessioni sulla criminalità. Società e politica, Feltrinelli,
Milano.