6
Introduzione
Riprendiamo in questo lavoro un tema già affrontato in sede di tesi triennale
1
: la vicenda
(svoltasi a Biella nel tardo autunno del 1944) di radio Baita, emittente radiofonica ideata dall’SS-
Obersturmführer Hans Schuh, comandante del locale presidio Sipo-Sd, con il concorso decisivo di
un fascista “dissidente”, Franco Boggio, e del sacerdote don Giuseppe Vernetti, ex cappellano della
Marina durante la campagna d’Etiopia, all’epoca direttore dell’ufficio amministrativo diocesano. Lo
scopo del progetto, che rientrava in una strategia di più ampia portata messa a punto dai tedeschi
nell’autunno-inverno ‘44/’45 in tutta l’Italia settentrionale, prevedeva di diffondere una propaganda
ostile alla Repubblica sociale italiana e aprire così la strada ad un possibile accordo di tregua tra le
formazioni partigiane operanti nella zona e il comando germanico; in questo modo i tedeschi
puntavano a limitare il rischio di ulteriori perdite in termini di vite umane e di materiali e a garantire
l’integrità del sistema industriale biellese, vitale per la produzione bellica germanica. Vittime
predestinate dell’accordo sarebbero stati i fascisti repubblicani, che i tedeschi erano disposti a
sacrificare a loro vantaggio.
La prospettiva con cui abbiamo nuovamente affrontato l’argomento è stata quella volta ad
indagare le motivazioni che possono aver indotto un esponente di primo piano della Curia biellese
(don Vernetti era anche professore di Lettere italiane e di Storia dell’Arte presso il Seminario,
membro della Commissione d’Arte Sacra, segretario del Comitato Permanente Diocesano per i
Congressi e le manifestazioni Eucaristiche, vice-assistente diocesano della Gioventù maschile di
Azione Cattolica, nonché dal 1940 Regio Ispettore alle antichità e all’arte del territorio biellese) a
collaborare ad un progetto che poteva seriamente compromettere la sua credibilità di sacerdote e
che lo esponeva non solo al rischio di sanzioni da parte dell’autorità vescovile ma anche a quello di
mettere in pericolo la sua stessa vita. La documentazione disponibile (i memoriali redatti da don
Vernetti al termine della guerra per difendersi dall’accusa di collaborazionismo, i verbali della
commissione provinciale fascista per i provvedimenti di polizia, davanti alla quale don Vernetti e
Boggio comparvero nel gennaio ’45 con l’accusa di “attività antinazionale e antifascista”, gli atti
del processo istruito a carico dei due per collaborazionismo presso la Corte straordinaria di Assise
di Biella nell’agosto ’45, le testimonianze rese da vari personaggi della vita pubblica biellese in
difesa dell’ex cappellano della Marina), pur consentendo una ricostruzione abbastanza precisa dello
svolgimento della vicenda, lascia comunque in ombra alcuni aspetti che forse meriterebbero
1
Cfr. Rolando Magliola, Collaborazionismo nel Biellese: il caso radio Baita, Università degli Studi di Torino, Facoltà
di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Società e culture d’Europa, a.a. 2007-08, relatore prof. Gian Carlo Jocteau
7
maggior attenzione: la mancanza di provvedimenti presi dal vescovo di Biella, mons. Carlo Rossi, a
carico di don Vernetti; la coincidenza tra i temi di carattere sociale discussi dal presule biellese e
quelli contenuti nei discorsi trasmessi da radio Baita; il sostegno dato dallo stesso mons. Rossi e da
autorevoli esponenti della Curia alla linea difensiva assunta dall’ex direttore dell’ufficio
amministrativo diocesano dopo la Liberazione. Partendo da questi elementi abbiamo cercato di
verificare l’ipotesi che l’impunità di cui godette don Vernetti dopo la fine della guerra fosse dovuta
ad una possibile intesa con il vescovo, il quale, oltre che giudicare positivamente il raggiungimento
nel Biellese di un accordo di tregua volto a tutelare la popolazione civile, poteva aver intravisto in
radio Baita anche un potenziale strumento da utilizzare ai fini di una propaganda tesa a sostenere
(seppur velatamente) la posizione della Chiesa in materia di “questione sociale” e a contrastare la
diffusione dell’ideologia comunista nelle fabbriche della zona. La nostra attenzione si è soffermata
anche sui dubbi e le indecisioni che caratterizzarono l’atteggiamento iniziale del comando
garibaldino biellese nei confronti della proposta di tregua avanzata dai tedeschi; anche in questo
caso, però, le lacune nella documentazione impediscono di chiarire completamente il quadro della
vicenda.
Il lavoro è strutturato in cinque capitoli. I primi due hanno lo scopo di dare al lettore alcuni
cenni storici sulla diocesi di Biella e di presentare il quadro della situazione religiosa che si venne a
creare nel Biellese tra la fine dell’Ottocento e i primi due decenni del Novecento (con particolare
attenzione al fenomeno della “scristianizzazione”), insistendo poi maggiormente sull’atteggiamento
della Chiesa biellese nei confronti del fascismo (fase conflittuale, normalizzazione, consenso) fino
allo scoppio della 2ª guerra mondiale. Il terzo capitolo è dedicato alla ricostruzione della figura di
don Giuseppe Vernetti, dagli anni della giovinezza fino all’assunzione di importanti incarichi
all’interno della Curia. Il quarto, dopo una rapida analisi della situazione politico – militare venutasi
a creare nel Biellese dopo la caduta del fascismo, affronta lo specifico tema di radio Baita,
ricostruendone le varie fasi attraverso la testimonianza diretta di don Vernetti e proponendo l’analisi
di ampi brani dei discorsi trasmessi dall’emittente radiofonica. Il quinto capitolo, infine, passa in
rassegna le vicissitudini affrontate dal sacerdote biellese dopo la sua estromissione dal progetto
(l’ammonizione da parte fascista, l’arresto per mano delle SS, l’accusa di collaborazionismo, la
latitanza, l’amnistia, il ritorno a Biella) e si conclude appunto con la formulazione dell’ipotesi di cui
sopra.
8
Capitolo primo
ASPETTI RELIGIOSI, SOCIALI E POLITICI DELLA DIOCESI DI BIELLA
FI O ALLA CO CILIAZIO E
La nascita della diocesi
Il 1 giugno 1772 fu emessa dal pontefice Clemente XIV la Bolla Pontificia che autorizzava
l’erezione della Diocesi di Biella. La nascita della diocesi era giustificata dall’esistenza della
provincia di Biella fin dal 1622, da una popolazione che ammontava a circa 90.000 abitanti (di cui
7.000 in città), dalla difficile situazione delle vie di collegamento tra Vercelli e Biella e dalla
presenza di un Seminario, di chiese, monasteri e confraternite di disciplinati e di tre grandi Santuari
(Oropa, Graglia e San Giovanni di Andorno); della nuova diocesi facevano parte 79 comuni ma le
parrocchie superavano tale numero
1
. Nello stesso 1772, iniziarono i lavori di sistemazione della
Cattedrale di Santa Maria Maggiore (il Duomo). Data l’assenza in città di una sede vescovile, il
comune offrì 600 lire a mons. Giulio Cesare Viancini, primo vescovo di Biella, per affittare
un’abitazione da adibire a tale scopo
2
; nel 1776 Vittorio Amedeo III acquistò Palazzo Sapellani e lo
donò alla Curia
3
.
L’istituzione della nuova diocesi di Biella arrivò dopo una lunga serie di tentativi fatti nel
corso dei secoli dai biellesi per affrancarsi da Vercelli. Il territorio biellese era stato infatti
sottoposto fino agli inizi del Quattrocento al potere temporale e spirituale (dopo la dedizione di
Biella al conte Amedeo VI nel 1379, solo spirituale) del vescovo di Vercelli, che esercitava il suo
controllo sulla zona attraverso il vicario vescovile. Le insistenti richieste biellesi trovarono il
sostegno della corte sabauda: nel 1622, con l’istituzione della provincia di Biella, il duca Carlo
Emanuele I perorò la causa biellese, ambendo al maggior prestigio che il suo regno avrebbe ricavato
presso le altre corti europee dall’aumento del numero delle province e delle diocesi. Molteplici
erano gli interessi in gioco e non solo religiosi: se il Capitolo di Santo Stefano ambiva a diventare,
da Capitolo di Collegiata, Capitolo di Cattedrale, il comune di Biella puntava a ricavare maggior
1
Delmo Lebole, Storia della Chiesa biellese – La Pieve di Biella, vol. II, Tip. Lib. “Unione Biellese”, Biella 1985, pp.
67-68
2
Ivi, pag. 84
3
Ivi, pag. 86
9
indipendenza
4
. Si dovette comunque attendere il 1769 prima che la Santa Sede prendesse in
considerazione l’ipotesi di istituire la nuova diocesi: in quell’anno furono inviate a Roma due
relazioni che sottolineavano come la popolazione di Biella fosse superiore a quella di altre realtà in
cui era già presente un vescovado, come i confini della diocesi di Vercelli non coincidessero con
quelli della provincia e come la distanza tra Vercelli e Biella incidesse sulla conoscenza che il
vescovo di Vercelli poteva avere della situazione del clero e degli Ordini religiosi biellesi
5
. A
seguito della riorganizzazione delle province e delle diocesi del regno sabaudo operata da Carlo
Emanuele III nel 1771, furono inviate nuove proposte per un generale riassetto delle diocesi
piemontesi e nel dicembre dello stesso anno, nonostante le riserve del vescovo di Vercelli, la Santa
Sede avviò le pratiche per la costituzione della diocesi di Biella
6
. L’unico problema era
rappresentato dal fatto che la diocesi di Vercelli (pur facendo parte del regno sabaudo) era
suffraganea dell’Arcivescovo di Milano, città sottoposta all’epoca al dominio austriaco: si rese
quindi necessario richiedere alla corte viennese il benestare al passaggio delle diocesi di Biella e
Vercelli sotto la giurisdizione metropolitana di Torino, richiesta che fu accolta
7
.
Non erano estranei alla volontà di istituire la nuova diocesi anche i timori legati alla
diffusione delle dottrine gianseniste, come ha ricordato Angelo Stefano Bessone:
[…] la vicinanza del Biellese con la Savoia e la Svizzera e la conseguente facilità di assorbire di là,
tramite i libri, la cultura francese nel bene e nel male, è una delle ragioni che furono portate a Roma
nel 1771 per ottenere l’erezione a Biella di un vescovado: «essere questa provincia contermine ai
Grigioni e Valdesi che vi entrano per ragioni di commercio … s’incominciano a vedere li perniciosi
effetti di tale vicinanza e nei libri, che s’introducono e nelle massime che s’incominciano a spargere»
In realtà la diffusione del giansenismo sul territorio biellese si ebbe proprio con l’erezione
del vescovado, quando furono chiamati a occupare posti di responsabilità all’interno delle
istituzioni diocesane quei sacerdoti che avevano frequentato l’Università di Torino ed erano
appunto entrati in contatto con il pensiero giansenista
8
:
4
Ivi, pag. 39
5
Ivi, pag. 43
6
Ivi, pag. 46
7
Ivi, pag. 57
8
Angelo Stefano Bessone, Il Giansenismo nel Biellese, Centro Studi Biellesi, Biella 1976, pp. 1-3. L’abate Francesco
Ludovico Berta, bibliotecario dell’Università di Torino, fu il più attivo diffusore di libri giansenisti in Piemonte ed ebbe
al suo fianco dal 1770 al 1782 il sacerdote biellese Antonio Francesco Gerbini (ivi, pag. 3); segretario del cardinale
Giovanni Bona, “sempre citato con ammirazione dai giansenisti”, fu l’abate biellese Giovanni Battista Carpano, dottore
in teologia (ivi, pag. 5); il canonico Giuseppe Antonio Gromo, rettore del seminario di Biella dal 1770 al 1804, si ispirò
al movimento giansenista per la ricostruzione morale e spirituale del seminario (ivi, pp. 17-26).
10
se nella prima metà del ‘700 – continua Bessone - non si ravvisano nel Biellese episodi che possano
far pensare propriamente al giansenismo, ma solo condizioni favorevoli al suo sviluppo, questo sarà
invece inequivocabilmente presente negli ultimi trent’anni del secolo”
9
.
La diocesi biellese durò circa trent’anni: nel 1803, infatti, in ottemperanza alle leggi
napoleoniche fu soppressa e tornò a far parte della diocesi di Vercelli
10
. Il vescovo allora in carica,
mons. Giovanni Battista Canaveri, diventò prima amministratore e poi vescovo di Vercelli, pur
mantenendo uno stretto legame con il territorio biellese; la soppressione di tutti gli Ordini religiosi
privò Biella di numerosi conventi, i cui religiosi passarono tra le fila del clero regolare. Nel 1817,
con la Bolla “Beati Petri”, Pio VII autorizzò la ricostituzione della diocesi biellese, elevando
contemporaneamente quella di Vercelli a sede arcivescovile (suffraganee della metropolitana
vercellese, oltre a Biella, divennero anche Alessandria, Casale, Novara e Vigevano)
11
. Con la
nomina di mons. Bernardino Bollati a vescovo nel dicembre 1818 si apriva il nuovo corso della
diocesi di Biella.
I vescovi biellesi dal 1820 alla prima guerra mondiale
Durante l’episcopato di mons. Bollati (1819-1828) fu risolto anche nel Biellese il problema
economico delle parrocchie: la corte sabauda si impegnò infatti a versare un assegno di congrua a
sostegno dei parroci
12
.
Il suo successore, mons. Placido Maria Tadini (1829-1833), rilevò una serie di
trasformazioni nella pratica religiosa (la più allarmante era il venir meno all’obbligo di
santificazione delle feste) ed ebbe rapporti tesi con la Congregazione del Santuario di Oropa
13
.
Nel luglio 1832 mons. Tadini fu nominato Arcivescovo di Genova e a succedergli fu
designato mons. Pietro Losana (1834-1873) il quale riorganizzò i vicariati della diocesi in modo più
razionale e promosse nuove iniziative in campo sociale, patrocinando l’apertura dell’Ospedaletto,
istituzione simile al Cottolengo, e l’istituzione delle Scuole di Agricoltura e di Arti e Mestieri
14
.
Allo scopo di aiutare i poveri e prevenire l’accattonaggio, il vescovo Losana fondò nel 1856 la
Cassa di Risparmio, il cui regolamento prevedeva la nomina da parte del consiglio comunale della
maggioranza degli amministratori, “onde ispirare più fiducia nei depositanti ed assicurare il buon
9
Ivi, pag. 9
10
D. Lebole, op. cit., pag. 87
11
Ivi, pp. 90-91
12
Ivi, pag. 149
13
Ivi, pp. 160-162
14
Ivi, pp.179-180
11
regime della cassa”
15
. Nel periodo in cui Biella vedeva la sua prima linea ferroviaria (che la
collegava a Santhià), mons. Losana, definito all’epoca non senza sospetto “vescovo liberale”, non
lesinò critiche al ceto medio, che a suo giudizio si stava allontanando dalla Chiesa, e rilevò anche il
pericolo rappresentato dal protestantesimo evangelico, sottolineando i rapporti tra emigrati biellesi e
protestanti
16
. Durante la sua permanenza a Biella assistette all’arrivo degli austriaci nel maggio
1859 e al passaggio di Garibaldi in città poco dopo
17
; morì a Torino nel 1873.
L’episcopato di mons. Basilio Leto (1873-1886) coincise in parte con lo sviluppo del
mazzinianesimo e la nascita del socialismo nel Biellese
18
. La lotta laica contro il clero assunse
caratteri molto aspri e si arrivò persino alla deposizione del vescovo da presidente
dell’Amministrazione del Santuario di Oropa, al cui interno la presenza dei canonici si ridusse a due
soli amministratori a fronte di cinque laici
19
. La diocesi biellese comprendeva allora 112 parrocchie
e contava una popolazione di 120.000 anime. Nel 1878 nacque il Comitato diocesano biellese
dell’Opera dei Congressi e nel 1882 si svolse in città il 1° Congresso diocesano
20
; in quello stesso
anno vide la luce il primo giornale cattolico locale Il Biellese, fondato e diretto da don Giuseppe
Perino. Nel 1883 il Biellese fu sostituito da L’Osservatore Cattolico, diretto dal canonico E. Maja, e
l’anno successivo nacque L’Oropa/Corriere di Biella e Circondario (direttore il geometra Lorenzo
Selva) organo ufficiale dell’Opera dei Congressi, la cui linea era ultramontana, antiliberale e
intransigente
21
. Tra il 1882 e il 1885 sorsero a Biella le prime associazioni cattoliche: il Comitato
parrocchiale della Cattedrale di S. Stefano, la Società operaia di mutuo soccorso di S. Stefano, la
Società operaia di Sant’Anna del Piazzo. Il vescovo intrattenne rapporti tesi con i canonici della
Cattedrale e nella relazione del settembre 1885 inviata a Roma sottolineò il progressivo distacco del
mondo operaio dalla Chiesa
22
. Dimessosi nel 1886, morì a Torino due anni dopo.
Successore del vescovo Leto fu mons. Domenico Cumino. I quindici anni del suo episcopato
(1886-1901) furono contraddistinti da un’opera di riorganizzazione delle istituzioni religiose
biellesi: sotto la sua supervisione furono riordinati gli studi del Seminario e l’amministrazione
diocesana, vi fu una particolare cura della formazione e della disciplina del clero e dei fedeli, fu
intentata una causa contro il comune allo scopo di ottenere il riconoscimento legale del carattere
15
Ivi, pag. 182. Alla figura di mons. Losana Angelo Stefano Bessone ha dedicato una monumentale biografia in cui
sono più dettagliatamente descritte le opere in campo sociale del vescovo biellese. Per quanto riguarda la Cassa di
Risparmio da lui fondata nel 1856, cfr. A. S. Bessone, Giovanni Pietro Losana (1793-1873), Fondazione Cassa di
Risparmio di Biella, Biella 2006, pp. 424-438
16
Ivi, pp.189-193
17
Ivi, pp. 197-200
18
Ivi, pag. 247
19
Ivi, pag. 246
20
Ivi, pag. 251
21
Ivi, pag. 252. Sulla diffusione della stampa cattolica nel Biellese cfr. anche Angelo Stefano Bessone, Uomini, tempi e
ambienti operai che hanno preparato don Oreste Fontanella, (S.n.) stampa, Biella 1985, pag. 411
22
D. Lebole, cit., pp. 255-256
12
sacro del Santuario di Oropa e il ristabilimento dell’amministrazione secondo gli antichi
Stabilimenti Regi
23
.
Lo sviluppo industriale del Biellese, legato soprattutto alla lavorazione della lana, aveva
portato ad un incremento sensibile della presenza operaia tra la popolazione. Erano numerose le
società operaie sorte in quegli anni i cui principi ispirativi si rifacevano alla massoneria e al
socialismo e ciò era motivo di contrasti con la Chiesa: poche erano infatti le società di mutuo
soccorso di ispirazione cattolica presenti nella diocesi biellese. L’anticlericalismo cominciava a
manifestarsi attraverso le lotte contro i maestri-sacerdoti, contro l’insegnamento della religione
nelle scuole e contro il crocifisso nelle aule
24
. Anche la presenza di protestanti era in aumento: nel
1887 la popolazione di Piedicavallo passò alla Chiesa Valdese, inaugurando nel 1895 il primo
tempio e la prima scuola (l’anno prima era stato aperto un locale a Biella, dove l’attività valdese era
sostenuta dal giornale anticlericale La Tribuna Biellese); proseliti protestanti erano presenti anche
nei comuni di Vigliano, Zumaglia e Tollegno
25
.
La nascita di giornali anticlericali come il Pietro Micca (1890) e La Tribuna Biellese (1891)
e socialisti (Risveglio operaio e Corriere Biellese) contribuì all’intensificazione della lotta contro le
istituzioni religiose. Nel 1897-98 i socialisti ottennero successi elettorali in diversi comuni del
Biellese, conquistando anche Cossato: le autorità civili si mostrarono sempre più sospettose e
attente nei confronti delle attività politiche del clero e delle associazioni cattoliche
26
.
Mons. Cumino si impegnò anche nell’azione sociale: promosse l’apertura del Segretariato
del Popolo, diede sostegno alla Società di Santo Stefano (la quale contribuì alla nascita del Circolo
Operaio, della Cassa Operaia e della Società di mutuo soccorso femminile), si prodigò per la
costituzione della Lega cattolica del lavoro
27
; nel 1887 iniziò le pubblicazioni il giornale Biella
Cattolica e nel 1900 il propagandista murriano don Delfino Guelpa fondò La Vita Biellese (che
peraltro cessò le pubblicazioni l’anno successivo)
28
.
A mons. Cumino, morto nel giugno 1901, subentrò nel dicembre dello stesso anno mons.
Giuseppe Gamba. Durante l’episcopato del vescovo Gamba (1901-1906) il socialismo “si manifestò
con tutte le sue forze nella lotta contro il clero e la religione”
29
. Nelle risposte date al questionario
inviato ai titolari delle parrocchie biellesi si intravede la situazione religiosa della diocesi nei primi
anni del Novecento, caratterizzata da un evidente processo di scristianizzazione: la diffusione del
socialismo aveva portato ad una sostanziale indifferenza per la religione, i giornali cattolici
23
Ivi, pag. 264
24
Ivi, pag. 270
25
Ivi, pp. 272-274
26
Ivi, pp. 277-278
27
Ivi, pp. 283-284
28
Ivi, pag. 279
29
Ivi, pag. 298
13
registravano cali nelle vendite a scapito di quelli socialisti e liberali (come Il Secolo, La Stampa, La
Gazzetta del Popolo, l’Avanti!) e non mancava neppure un atteggiamento indolente e remissivo da
parte di alcuni parroci. Le conclusioni generali tratte dai questionari evidenziavano una situazione
difficile per la Chiesa biellese: la partecipazione alle funzioni e ai sacramenti era in calo (addirittura
totalmente assente in alcune parrocchie), si manifestava il rifiuto della predicazione, la pratica della
bestemmia e il turpiloquio erano in aumento non solo tra gli uomini ma anche tra la popolazione
femminile; in ambito famigliare era diffuso il divieto imposto dai genitori ai figli di frequentare le
scuole di catechismo, mentre in ambito lavorativo l’obbligo di lavorare fino al mezzogiorno della
domenica (imposto dai padroni agli operai) dava luogo all’impossibilità di partecipare alla messa
festiva. Le cause di questo processo di scristianizzazione andavano ricondotte da un lato
all’emigrazione (fenomeno antico) e dall’altro alla diffusione del socialismo. Il vescovo Gamba si
adoperò quindi per favorire l’istituzione di leghe cattoliche e di comitati parrocchiali (nacquero
anche i primi oratori per ragazzi); per ovviare alle resistenze opposte dalle amministrazioni civili
alla presenza dell’insegnamento religioso a scuola, si pensò di affidare a personale scelto della
parrocchia il compito di impartire lezioni al di fuori dell’orario scolastico
30
. L’attenzione principale
del vescovo era rivolta alle Missioni al popolo e all’educazione dei giovani: egli ospitò in
Vescovado il primo Circolo Giovanile Cattolico di Biella e riuscì a portare in città il Congresso
Giovanile Cattolico del Piemonte nell’agosto del 1906
31
. Nelle relazioni inviate a Roma, mons.
Gamba indicò i provvedimenti a suo giudizio necessari per combattere la scristianizzazione diffusa
nel Biellese: richiedere più zelo da parte del clero, garantire una maggiore istruzione religiosa e una
predicazione più incisiva, promuovere la diffusione della stampa cattolica
32
.
Nominato vescovo di Novara, nel 1906 mons. Gamba fu sostituito alla guida della diocesi
biellese da mons. Giovanni Andrea Masera. Durante la permanenza a Biella del vescovo Masera
proseguirono i contrasti tra Chiesa e socialismo: in particolare, vi fu un aumento delle nascite, dei
matrimoni e dei funerali “socialisti” (celebrati senza i sacramenti religiosi), l’inaugurazione di un
monumento dedicato all’eretico fra’ Dolcino sulle montagne di Trivero, un inasprimento della lotta
per l’abolizione del crocifisso nelle aule e dell’insegnamento religioso nelle scuole
33
. Mons. Masera
fu definito il “vescovo di Oropa” perché nel 1909 riuscì ad ottenere dalla Santa Sede che “la
Madonna di Oropa fosse ufficialmente dichiarata, con S. Stefano, patrona della città e della
diocesi
34
.
30
Ivi, pp. 315-316
31
Ivi, pag. 319
32
Ivi, pag. 324
33
Ivi, pag. 339
34
Marco Neiretti, L’identità negata, S.M. Rosso editore stampatore, Biella 1986, pag. 18