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La riorganizzazione corticale nel cerebroleso indotta da un training riabilitativo

L’approccio riabilitativo al paziente cerebroleso non sempre è stato supportato da un chiaro modello teorico di recupero. Per ovviare a tale inconveniente è necessario sottoporre le conoscenze della scienza di base ad un’elaborazione che permetta il trasferimento del dato neuroscientifico in ambito riabilitativo.
In questo articolo vengono presi in esame alcuni studi la cui conoscenza è indispensabile per l’impostazione di una corretta strategia riabilitativa.
Con la dimostrazione che dopo un ictus o altre forme di danno cerebrale può avvenire una riorganizzazione plastica (responsabile di alcuni dei recuperi funzionali che avvengono in queste situazioni) è naturale chiedersi quale può essere il fattore che promuove e facilita tali cambiamenti.
Le conclusioni non possono non evidenziare la necessità di impostare un intervento riabilitativo tenendo presente i meccanismi di apprendimento, avvalorando così le modalità di intervento dell’ETC e del progetto CASSINO: tali approcci risultano i più indicati in quanto supportati da maggiori basi scientifiche.

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VI Introduzione Negli ultimi anni svariati autori hanno proposto e descritto numerose tecniche riguardo alla riabilitazione del paziente cerebroleso, ma al fiorire dei diversi approcci terapeutici è corrisposta una difficoltà ad orientarsi in questo turbinio di metodiche. Per quanto possano essere numerosi i progressi compiuti dalla neurologia negli ultimi decenni, la scelta dell’approccio terapeutico sul paziente rimane fondamentale per l’ottenimento di risultati positivi: ciò è lasciato alla sensibilità dell’operatore che, in questo modo, effettua già gran parte della sua opera. A tale proposito risulta indispensabile che la scelta della strategia riabilitativa finalizzata al recupero della funzione sia supportata dalla conoscenza sui meccanismi del cervello umano responsabili del recupero della funzione stessa. Programmare un esercizio, infatti, vuol dire partire da certe premesse teoriche sul processo di recupero e su come funziona il SNC dell’uomo in situazioni normali ed in situazioni patologiche. L’abbattimento delle barriere culturali, probabilmente, è indispensabile per far si che il riabilitatore scelga l’approccio più indicato per “quella” determinata situazione. Non esiste, infatti, “la metodica” in grado di recuperare una funzione, ma diverse possibilità d’ intervento più o meno indicate per le diverse circostanze (la fiducia di avere in mano “la metodica” dà certezze, ma ...di tante certezze è lastricata la via dell’insuccesso riabilitativo) (68). Per quanto concerne la riabilitazione neurologica, attualmente vengono eseguite differenti modalità di approccio. La “metodica Bobath” (sviluppata empiricamente dalla dottoressa Bobath durante gli anni ‘50) rappresenta il trattamento più diffuso soprattutto nei centri di rieducazione motoria di cultura anglosassone. Tale metodica basa i suoi presupposti teorici sui principi neurofisiologici enunciati da Sherrington, Magnus e de Klejn, i quali pongono in rilievo che il deficit motorio del paziente sia dovuto ad una liberazione di patterns di attività

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Parole chiave

riabilitazione
riorganizzazione corticale
danno cerebrale
pazienti cerebrolesi
cerebrolesioni

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