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riflessa anomala rispetto all’inibizione normalmente esercitata dai centri superiori del SNC.
Essa si rivolge, quindi, principalmente alla problematica della postura e delle sue variazioni
ed alla coordinazione del movimento in quanto attività riflessa.
Nell’ambito delle tecniche di rieducazione, una certa importanza assume, per la sua
diffusione, anche la “metodica Kabat”. I principi di base si possono trovare, da un lato, sui
meccanismi riflessi che regolano l’attività spinale e, dall’altro, nell’acuta analisi delle
catene cinetiche messe in atto durante l’esecuzione di pratiche sportive. L’insieme di tali
premesse ha condotto Knott e Voss (1974) alla pubblicazione di un testo dove sono
dimostrate le varie catene cinetiche usate nelle traiettorie di movimento prese in esame e le
modalità con le quali il terapista può indurre la contrazione e/o l’aumento di forza nei
muscoli sollecitati.
Un approccio riabilitativo (applicato con sempre maggior convinzione negli ultimi anni)
che si colloca all’interno di una teoria cognitiva della riabilitazione, è quello proposto dal
Prof. C. Perfetti. Tale teoria sostiene che l’entità ed il livello del recupero, sia spontaneo sia
guidato dall’intervento riabilitativo, sono determinati dal tipo dei processi cognitivi attivati
e dalla modalità della loro attivazione (cap. 6).
Ma che valore può avere mettere in evidenza gli errori che facevano Bobath o Kabat negli
anni ’50? E’ comprensibile, secondo quello che conosciamo ora, che ne facessero (alla luce
delle conoscenze neurofisiologiche del 1950 probabilmente le loro proposte erano
sostanzialmente corrette). Errore può essere nel 1999 continuare ad accettare
pedissequamente quelle proposte o eseguire certi esercizi senza porsi domande.
L’opportunità di procedere per una via piuttosto che per un’altra deve derivare
essenzialmente dalla conoscenza dei meccanismi che stanno alla base del recupero, infatti,
il riabilitatore, che spesso si ricollega allo sviluppo di altre scienze (ad esempio la
neurofisiologia e la neuropsicologia), non può esimersi dall’affrontare un insieme
eterogeneo di informazioni, studi e nuove ipotesi che devono essere accuratamente
interpretate. Invece “...l’Italia riabilitativa è pronta a duelli all’ultimo sangue perché la
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metodica X appaia migliore di quella Y, magari senza sforzarsi di comprendere i perché
delle proposte X e Y”(64).
Per il riabilitatore risulta fondamentale la conoscenza del significato che il movimento
assume per il SNC; per ottenere ciò può essere utile ripercorrere alcune tappe della ricerca
scientifica, ma soprattutto interpretare gli ultimi studi in tale direzione, per capire le
modalità di una riorganizzazione funzionale dopo un danno cerebrale e in che modo
possiamo “evocarla, migliorarla e guidarla”: la sfida sta proprio nello scoprire modi e
mezzi per influenzare tale rimodellamento (e quindi il recupero).
Il progresso tecnico ha reso possibile uno studio più approfondito del cervello impiegando
un vasto apparato di elettrodi, grazie ai quali è possibile registrare simultaneamente
l’attività neuronale e le sue alterazioni, provocando una rivoluzione sulle conoscenze del
cervello adulto e della sua plasticità.
La proposta di un esercizio terapeutico, quindi, non deve essere un frutto della più o meno
fortunata invenzione del singolo, ma di un processo legato alle conoscenze dell’uomo sul
funzionamento del SNC.
Senza un sapere cui fare riferimento non potrà mai essere strutturato un modello anziché un
altro. E’ necessario, quindi, un sapere strutturato dinamicamente, in pratica tale da poter
essere costantemente accresciuto e riorganizzato attraverso l’apporto di nuove acquisizioni
provenienti dalle sperimentazioni effettuate; ma oltre ad approfondire lo studio sul
recupero funzionale risulta fondamentale aumentare esperienze cliniche rigidamente
controllate, omogeneizzando le metodologie di studio.
In assenza di una conoscenza di questo tipo è evidente che anche la raccolta dei diversi dati
non è possibile a causa della carenza di una struttura appropriata all’interno della quale
inserirli e che la configurazione stessa dei dati derivanti dalla sperimentazione clinica non
può raggiungere la coerenza e l’uniformità necessarie.
Lo scopo di questo scritto è la comprensione dei meccanismi di recupero che occorrono
dopo un danno cerebrale, in modo da capire su quali di essi è possibile agire e soprattutto
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come: la corretta interpretazione delle recenti ricerche sul rimodellamento corticale
probabilmente è la “chiave” per proporre nuovi approcci riabilitativi o in ogni modo
avvalorare quelli già in uso.
Un buon fisioterapista, quindi, non si può limitare a conoscere le varie metodiche
riabilitative, ma deve conoscere il quadro clinico, funzionale e anatomico del paziente che
ha di fronte.
Nella I parte di questo lavoro vengono rivisti alcuni concetti fondamentali per la
riabilitazione considerando i recenti studi; la II parte evidenzia i meccanismi di recupero
biologici più o meno probabili; e l’ultima parte rileva che questi studi, visti sotto un’ottica
riabilitativa, hanno dei punti in comune, punti dai quali non può prescindere il trattamento
riabilitativo di un paziente cerebroleso.
Le conclusioni avvalorano l’impostazione dell’ “Esercizio terapeutico conoscitivo”,
evidenziando quei dati obiettivi scarsamente definiti in passato, e descrivono un nuovo
trattamento in sperimentazione al Center Hospital di Cassino: il “Progetto C.A.S.S.I.N.O.”.
La riorganizzazione corticale nel cerebroleso indotta da un training riabilitativo
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1. LA CORTECCIA CEREBRALE
1.1 Struttura
Il cervello è una struttura composta da tre strati evolutivamente sovrapposti: uno più
arcaico (che presiede agli istinti primitivi di sopravvivenza), uno intermedio sviluppatosi in
epoche successive (che presiede alle emozioni e alla sfera dell’affettività) e uno più recente
(particolarmente sviluppato nella specie umana, anche se già presente negli animali
superiori): la corteccia.
La corteccia cerebrale (circa 2 mm di spessore) è costituita dalla superficie degli
emisferi cerebrali, la quale è notevolmente irregolare per la presenza di un considerevole
numero di pliche. La sua forma deriva dalla particolare evoluzione del cervello dei primati,
nel corso della quale il volume della corteccia cerebrale è aumentato più rapidamente del
volume del cranio. A causa di questa disparità di sviluppo sulla superficie corticale si sono
formati moltissimi solchi, che l’hanno suddivisa in circonvoluzioni, e tutta la corteccia si è
ripiegata su se stessa.
La corteccia può essere divisa, dal punto di vista filogenetico, in base alle sue
caratteristiche morfologiche e funzionali, in due territori ineguali. L’“archipallium” (che
comprende l’“archicortex” e il “paleocortex”, corrispondenti al lobo limbico),
filogeneticamente più antico, è relativamente poco sviluppato nell’uomo e preposto alla
funzione olfattiva e alla regolazione del comportamento emotivo-istintivo. Il “neopallium”
o “neocortex”, molto più esteso, costituisce l’area d'arrivo di quasi tutte le vie sensoriali e
sensitive, l’area da cui partono tutte le vie motrici volontarie, la sede delle più importanti
vie associative e di alcune attività riflesse.
Le cellule corticali sono disposte in sei strati, riconoscibili soprattutto dalla grandezza e
dal tipo delle cellule: 1) strato molecolare; 2) strato granulare esterno; 3) strato piramidale
esterno; 4) strato granulare interno; 5) strato interno delle grandi cellule piramidali; 6)
strato fusiforme (fig.1).
Sul piano funzionale si possono individuare due tipi di cellule: a) le “cellule grandi
piramidali” (V strato), che proiettano a distanza dalla corteccia e hanno collaterali
ricorrenti che eccitano interneuroni a funzione inibitoria generando un meccanismo di
controllo a feedback; b) le cellule degli strati I-II-III-IV-VI, che agiscono come
interneuroni, i cui assoni terminano nelle immediate vicinanze del corpo cellulare, oppure
orizzontalmente nello stesso strato, o verticalmente coinvolgendo più strati.
La riorganizzazione corticale nel cerebroleso indotta da un training riabilitativo
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Un importante aspetto del flusso d'informazioni mediato dai neuroni corticali è che esso
si attua soprattutto in direzione verticale attraverso i sei strati della corteccia. Con
eccezione delle cellule orizzontali del I strato, esistono veramente pochi neuroni corticali
in grado di avviare informazioni in senso laterale per una distanza significativa (gli assoni
orientati orizzontalmente forniscono collegamenti tra colonne diverse e hanno spesso
azione inibitoria).
I dendriti e gli assoni verticali delle cellule sono disposti all’interno della corteccia
cerebrale in colonne di neuroni che hanno proprietà similari. Tali colonne sono lunghe
approssimativamente da 0,5 a 1 mm e si estendono per tutti i sei strati della corteccia
cerebrale.
In sintesi gli strati II e IV sono i livelli di ricezione (lo strato II riceve segnali
provenienti da altre zone della corteccia, con connessioni brevissime; lo strato IV riceve
messaggi provenienti da regioni più lontane, in particolare dal talamo), gli strati III e V
rappresentano i livelli di emissione di messaggi (lo strato III invia messaggi intercorticali,
La riorganizzazione corticale nel cerebroleso indotta da un training riabilitativo
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in pratica a tragitto breve; lo strato V invia messaggi alle strutture sottocorticali, tronco
cerebrale e midollo spinale compresi), lo strato I assicura le connessioni tra superficie
corticale e piani sottostanti, lo strato VI è in gran parte efferente, provvedendo a
connessioni col talamo e a comunicazioni interemisferiche, attraverso le commessure.
Il processo nervoso alla base di ogni comportamento può essere suddiviso in
meccanismi distinti costituito dall’ingresso sensitivo, dall’uscita motoria e da alcuni
passaggi intermedi, ma la maggior parte dei neuroni, siano essi motoneuroni o interneuroni
o neuroni sensitivi, non differiscono sostanzialmente per ciò che riguarda le loro proprietà
elettriche. Neuroni con proprietà analoghe svolgono funzioni diverse per via delle diverse
connessioni che stabiliscono nel SN. Inoltre sia che si tratti di una corteccia sensitiva sia
che si tratti di una corteccia motoria, l’alternanza di cellule associative e piramidali è
sempre conservata; ovviamente in una corteccia motoria gli assoni delle cellule piramidali
saranno più lunghi per raggiungere i vari distretti.
Ogni neurone può eseguire compiti complessi di discriminazione, perché le sue
connessioni con gli altri neuroni sono molteplici e complesse, e rispondono nel contempo
alla logica di un modello organizzativo. Perciò, il fatto che popolazioni di neuroni
cerebrali approssimativamente uguali, riescono a dotare ciascuno di noi di una
personalità ben diversa e definita, è una proprietà che nasce sia dalle piccole differenze
nelle connessioni neurali che si stabiliscono in ciascuno di noi, sia dalla capacità che
hanno i processi d'apprendimento di modificarle.
1.2 La corteccia somatosensitiva
La corteccia somatosensitiva, che occupa le parti contigue dei lobi frontale e parietale
(fig. 2), è deputata alla ricezione delle sensazioni primarie del corpo.
Nel tentativo di semplificare e di offrire una sistematizzazione utile sul piano clinico-
semeiotico la sensibilità può essere distinta in:
a) “sensibilità superficiale”, che comprende la sensibilità tattile, termica e dolorifica;
b) “sensibilità profonda”, che comprende la sensibilità di posizione (o “batiestesia”), di
movimento (o “chinestesia”), vibratoria (o “pallestesia”) e la sensibilità alla pressione (o
“barestesia”);
c) “sensibilità discriminativa” o “combinata” (che implica l’intervento delle sensibilità
superficiali e profonde), in pratica la discriminazione tattile, la localizzazione del punto
d'applicazione dello stimolo (o “topoagnosia”), il riconoscimento di un segno sulla cute (o
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“grafestesia”), la possibilità di riconoscere la forma e le caratteristiche fisiche di un
oggetto (o “stereognosia”).
Dal talamo il III neurone sensitivo invia impulsi alla corteccia somatosensitiva primaria,
situata nella circonvoluzione parietale ascendente. Quest’area viene a sua volta suddivisa
in quattro aree citoarchitettoniche: le così dette aree 1, 2, 3a e 3b di Brodmann. La
corteccia deve molto esattamente registrare sensazioni semplici e separate. A loro volta, le
informazioni inviate alle aree sensitive primarie devono raggiungere varie aree sensitive di
associazione e anche altre parti del cervello. In queste sedi, le informazioni sensitive
vengono confrontate e valutate. In tal modo la corteccia integra separati pezzi
d'informazione in una percezione unitaria.
L’esame dei campi recettivi dei neuroni appartenenti alla corteccia somatosensitiva ha
messo in evidenza l’esistenza di una dettagliata rappresentazione della superficie somatica
a livello della superficie corticale (homunculus sensitivo). L’esplorazione di una zona
circoscritta del giro postcentrale utilizzando tecniche con scarso potere di risoluzione,
spiega perché si è giunti alla conclusione che nella corteccia vi fosse una singola
rappresentazione della superficie corporea. E’ veramente riduttivo, infatti, parlare di
organizzazione somatotopica ed è necessario sottolineare che all’interno della corteccia
sensitiva ci sono colonne che rispondono a stimoli differenti (quindi, per esempio, la
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colonna che risponde al contatto sarà diversa dalla colonna che risponde ad una
stimolazione muscolare propriocettiva, oppure i neuroni che mediano la sensazione tattile
rispondono a stimoli tattili superficiali e non vengono attivati da stimoli pressori).
I neuroni che rispondono agli stimoli superficiali presentano ulteriori specializzazioni:
alcuni rispondono al movimento dei peli, mentre altri sono attivati da infossamenti
stazionari della cute.
1
A livello delle varie stazioni sinaptiche del sistema somatosensitivo le cellule che
rispondono ad una submodalità tendono a raggrupparsi tra loro. In una serie di studi
Mountcastle esaminò per primo la distribuzione delle afferenze alla corteccia cerebrale
provenienti dai vari recettori. Egli scoprì che i neuroni di tutti e sei gli strati cellulari di una
colonna o striscia di corteccia che va dalla superficie corticale alla sostanza bianca sono
attivati da una sola classe di recettori. Le cellule di alcune colonne sono attivate da
recettori cutanei di Meissner (a rapido adattamento), quelle di altre colonne da recettori
cutanei di Merkel (a lento adattamento) o da recettori sensibili al movimento dei peli e
quelle di altre colonne, infine, da recettori sottocutanei del Pacini (a rapido adattamento).
Oltre a proiettare alla corteccia motrice, le aree somatosensitive proiettano anche alla
corteccia parietale posteriore (aree 5 e 6 di Brodmann), le cui cellule presentano proprietà
molto complesse (ricevono afferenze di varia modalità e spesso svolgono funzioni
motorie). A questo livello le informazioni di natura tattile e quelle concernenti il senso di
posizione vengono integrate con informazioni visive e con informazioni provenienti dai
sistemi del tronco dell’encefalo, del talamo e del lobo temporale implicati nel processo
dell’attenzione.
I neuroni di una colonna costituiscono quindi un modulo funzionale elementare della
corteccia e l’organizzazione colonnare costituisce un principio strutturale di base di tutta la
corteccia cerebrale.
Oltre ad essere organizzata per modalità, la corteccia somatosensitiva primaria può
essere ulteriormente suddivisa sulla base delle modalità rappresentate. Per esempio,
nell’area 3b di Brodmann la mappa nervosa dei recettori cutanei di ciascun dito è suddivisa
in due colonne, una che riceve afferenze dai recettori a rapido adattamento e l’altra da
quelli a lento adattamento (fig. 3).
Quindi, in ciascuna delle quattro aree della corteccia somatosensitiva primaria vi sono
numerose mappe della superficie corporea a modalità specifiche tra di loro correlate (ogni
strato cellulare stabilisce connessioni con regioni cerebrali diverse).
Attualmente è presa in considerazione una teoria della funzione cerebrale in termini di
elaborazione dell’informazione. La teoria è fondata sulla tesi che l’organismo umano possa
essere identificato come un complesso sistema autoregolante, in grado di trasformare
continuamente l’input in regole, codici o rappresentazioni centrali dell’atto. Tale teoria
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considera, dunque, una rappresentazione interna o centrale dell’atto motorio, e il
comportamento motorio è regolato sulla base di queste rappresentazioni.
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1.3 La corteccia motoria
La prima dimostrazione sperimentale diretta che aree distinte del cervello controllano i
movimenti della metà controlaterale risalgono al 1870, grazie a Fritsh e Hitzig.
Successivamente, Leyton e Sherrington scoprirono che nel primate gli effetti motori a più
breve latenza si ottengono per stimolazione del giro precentrale. Questa regione
corrisponde all’area 4 di Brodmann e adesso viene denominata “corteccia motoria
primaria”. Studi di Penfield e Woolsey hanno permesso di scoprire che la corteccia motoria
primaria contiene, al pari della corteccia sensitiva primaria, una mappa motoria del corpo
(homunculus motorio). Anche in questo caso, come per la rappresentazione
somatosensitiva, è indispensabile abbandonare la visione classica di homunculus per
riferirsi, invece, a concetti più recenti, i quali tengono conto di una rappresentazione
corticale del movimento combinato alla posizione del braccio nello spazio e non del
singolo muscolo (vedi § 2.4 e 2.6).
Strick e Preston nel 1982 hanno dimostrato come nell’area motoria primaria (area 4)
esistano diverse rappresentazioni dei movimenti della mano e ne hanno isolato una
anteriore, sulla quale proiettano specificamente afferenze cinestesiche, e una caudale, sulla
quale proiettano afferenze cutanee a partenza dalle stesse regioni periferiche. Questi Autori
hanno osservato che, mentre le contrazioni evocate dall’area di proiezione cinestesica sono
in diretto rapporto con il tipo e la sede di stimolazione (ad esempio i motoneuroni che
rispondono ad una stimolazione flessoria determinano per lo più contrazione dei flessori
delle dita), la stimolazione dei neuroni dell’area cutanea produce risultati non costanti in
quanto ai rapporti con l’area stimolata. gli Autori ipotizzano che il fatto possa essere in
rapporto alle attività che il soggetto intende svolgere.
La stimolazione di entrambe le aree comunque è in grado di determinare la contrazione
dei medesimi muscoli della mano.
L’ipotesi conclusiva è che le due aree servano a due diversi tipi di controllo in rapporto
a differenti componenti del comportamento.
E’ stato anche visto, inoltre, che la stimolazione dell’area 6 di Brodmann, disposta
anteriormente alla corteccia motoria primaria, provoca la comparsa di effetti motori. Alle
aree che fanno parte di questa suddivisione citoarchitettonica è stato dato il nome di “aree
premotorie”. Gli assoni dei neuroni delle aree premotorie, oltre che a strutture
sottocorticali e al midollo spinale, proiettano anche alla corteccia motoria primaria.
Si distinguono due principali aree premotorie: l’“area motoria supplementare” ( o “area
motoria secondaria”), disposta in corrispondenza della parte superiore e mediale
dell’emisfero, e la “corteccia premotoria”, disposta sulla superficie laterale dell’emisfero
2
.
I movimenti prodotti dalla stimolazione dell’area motoria supplementare e della corteccia
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premotoria sono più complessi di quelli evocati dalla stimolazione della corteccia motoria
primaria e compaiono a seguito di stimoli elettrici più intensi. In genere la stimolazione
delle aree premotorie evoca contrazioni coordinate di muscoli che agiscono su articolazioni
diverse e nel caso dell’area motoria supplementare, di muscoli di entrambi i lati del corpo.
Anche l’area motoria supplementare e le aree premotorie sono organizzate in maniera
somatotopica.
L’organizzazione citoarchitettonica delle tre aree corticali motorie è diversa da quelle
delle aree sensitive: il IV strato è assente nelle aree motorie e il V strato della corteccia
motrice primaria contiene una popolazione caratteristica di neuroni piramidali giganti,
dette “cellule di Betz”. Si ritiene classicamente che il fascio piramidale prenda origine dai
pirenofori di queste cellule
3
.
1.4 Le aree associative
Quando un’area corticale viene attivata da uno stimolo, anche le altre aree rispondono.
Questo è possibile grazie ad una rapida attività di un gran numero di vie di associazione
organizzate in modo preciso e reciprocamente agenti.
Oltre alle aree primarie, secondarie e terziarie la corteccia cerebrale presenta tre vaste
regioni dette “aree associative”. Nei primati le aree associative costituiscono le aree di
gran lunga più ampie della corteccia cerebrale. La loro principale funzione è quella di
integrare informazioni di diversa natura necessarie per l’esecuzione di azioni dirette verso
scopi specifici, partecipando in varia misura al controllo delle tre principali funzioni del
SNC: la percezione, il movimento e la motivazione.
La “corteccia associativa temporo-parieto-occipitale” occupa la zona di confine tra i
lobi da cui prende il nome. Essa è implicata nelle funzioni percettive superiori che sono in
rapporto con le sensazioni somatiche, l’udito e la visione, sensazioni che vengono
elaborate da questi tre lobi sulla base delle afferenze sensoriali primarie che ricevono. Le
informazioni concernenti tali modalità sensoriali vengono integrate tra di loro a livello
della corteccia associativa e danno origine a percezioni più complesse. La “corteccia
associativa prefrontale” occupa la maggior parte del lobo frontale. Una delle funzioni più
importanti di quest’area consiste nell’elaborazione del piano del movimento volontario.
La “corteccia associativa limbica” è devoluta principalmente alle funzioni connesse con
la motivazione, la memoria e l’emozione.
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In sintesi, le aree sensoriali primarie della corteccia cerebrale sono devolute alla
ricezione ed all’elaborazione iniziale delle informazioni sensoriali. Le aree primarie
proiettano alle sensoriali superiori, che elaborano ulteriormente le informazioni che
ricevono. Le aree di ordine superiore sono connesse con le aree associative; queste
costituiscono il legame tra sensazione ed azione e stabiliscono connessioni con le aree con
le aree motrici di ordine superiore. Queste ultime, a loro volta, proiettano alla corteccia
motrice primaria, che esercita un controllo diretto sui motoneuroni.
La corteccia cerebrale sembra un giardino e i neuroni alberi. Opportunamente coltivati
amplificano i loro rami e affondano le radici nel terreno, per dare fiori e frutti
meravigliosi. (Raymon y Cajal)
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2. IL MOVIMENTO
Contro una rigorosa dottrina di localizzazione cerebrale, si è verificata una graduale
considerazione di un paradigma più spostato verso una veduta integrata del cervello. Tali
prospettive suggeriscono che le risposte motorie riflettono il funzionamento interattivo di
diverse regioni corticali le quali sono collegate da una intrigata rete di fibre. L’attivazione
di queste fibre dipende da un delicato e costante cambiamento dell’equilibrio di impulsi
inibitori e eccitatori.
2.1 Il movimento volontario
Di indubbia importanza risulta sia la conoscenza delle principali strutture che
intervengono nell’esecuzione del movimento, sia come queste si inseriscono in un sistema
globale. E’, quindi, necessario delineare bene i compiti delle diverse aree non cadendo,
però, nell’errore di ridurre qualsiasi funzione, più o meno complessa, ad una «semplice
attivazione di aree».
Affinchè si verifichi un movimento (risultante dalla rottura dell’equilibrio tra forza
esterna e forza interna) ci sono alcune condizioni da soddisfare.
Tutti i movimenti volontari hanno inizio nella corteccia motoria e i segnali vengono
trasmessi al midollo spinale e ai muscoli effettori tramite fasci nervosi.
Il controllo del movimento è basato su informazioni fornite dai recettori dei nervi
sensoriali. Il campionamento sensoriale investe diversi strati di recettori sensoriali e,
ovviamente, lo stato di attivazione dei muscoli. La funzione dell’ippocampo, come
struttura fissa di memoria, permette il confronto tra l’esperienza del momento con le
esperienze precedenti. In questo le aree parietali e frontali esercitano una influenza e sono
influenzate allo stesso tempo. Anche la corteccia motoria riceve influenze dalle aree
parietali e frontali, ma contemporaneamente le influenza. Così come è influenzata e
influenza lo stato del cervelletto. Da queste interazioni c’è, poi, un segnale di uscita dalla
corteccia motoria che va ai muscoli, i quali si contraggono dando luogo, insieme alle forze
esterne, al movimento.
Quindi il giusto funzionamento della “componente afferente” consente di fare quella
“sintesi” necessaria all’organizzazione del movimento stesso (vedi § 2.4), infatti il corretto
campionamento permette l’utilizzo ottimale delle “aree associative” (vedi § 1.4), deputate
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alla programmazione di quelle strategie attraverso le quali l’ “effettore motore” può
eseguire l’azione.
Risulta, inoltre, importante sottolineare sia le componenti che provengono dall’ambiente
esterno, sia quelle che provengono dall’ “interno” (cioè la cognizione di Noi nello spazio e
dello spazio intorno a Noi).
Sotto certi aspetti queste concezioni rispecchiano quegli aspetti tradizionali del
funzionamento motorio i quali supportano l’impronta della prospettiva localizzazionista, la
quale è emersa nelle neuroscienze durante le decadi finali del 1880. Secondo questa
visione, il cervello umano adulto è composto di gruppi discreti di neuroni che controllano
particolari risposte comportamentali, cognitive e affettive e sulla base di questa
concezione, i ricercatori e i clinici hanno sviluppato un modello gerarchico di sistema
motorio cerebrale. Questo modello suppone che esista una fondamentale distinzione tra
movimenti volontari e involontari. I primi sono visti come un prodotto dell’area esecutiva
del cervello (cioè i lobi frontali) che genera e trasmette i programmi per i comportamenti
motori. Tali programmi sono trasmessi alle cortecce premotoria e motoria primaria, che a
turno influenzano le vie discendenti che decorrono attraverso le piramidi midollari. Invece
i movimenti involontari sono considerati come un prodotto delle regioni corticali
posteriori e di varie strutture sottocorticali come i gangli della base.
Dovuto al parere che le connessioni funzionali fra strutture corticali e sottocorticali
siano essenzialmente fortemente fissate e statiche, è stato supposto che lesioni in particolari
parti del cervello potrebbe risultare in una permanente perdita di funzione.