Crisi, egemonia e partito tra guerra di posizione e guerra di manovra: un parallelismo tra A. Gramsci e V. I. Lenin
Scopo di questa tesi è quello di mostrare come sia Gramsci sia Lenin si trovino ad affrontare nel primo trentennio del XX secolo fasi differenti di guerra manovrata e di guerra di posizione. Essi di conseguenza analizzano sia gli apparati egemonici del potere capitalistico borghese nelle sue varie forme (è il caso soprattutto dei Quaderni gramsciani), sia l’organizzazione del partito comunista, necessaria nella lotta per l’egemonia (in particolare nella saggistica leniniana), in modo simile tra loro, assegnando alle masse proletarie e alle forze d’avanguardia la medesima funzione storica.
Nel dettaglio, nella prima parte dell’elaborato esporrò le fondamenta teoriche che sono alla base dell’impianto politico gramsciano e leninista: l’irriducibile diversità del marxismo rispetto alle filosofie e alle ideologie precedenti viene sviscerata innanzitutto proponendo un parallelo tra due maestri del materialismo storico, vale a dire Friedrich Engels e Antonio Labriola.
L’apporto di Gramsci – che da giovane fu crociano, come lo stesso Benedetto Croce fu a sua volta inizialmente marxista e allievo di Labriola – è stato quello di riprendere il materialismo labrioliano, continuando e approfondendo la definizione e l’attuazione del marxismo come storicismo assoluto e come unità inscindibile di teoria e prassi, e in questo come primo esempio storico di superamento totale del mero pensiero filosofico.
Nella seconda parte, nucleo della tesi, analizzerò il pensiero di Gramsci, attraverso l’uso prevalente dei Quaderni del carcere, riguardo alle diverse forme dell’egemonia sia dal lato della classe dominante, sia da quello delle classi subalterne e rivoluzionarie. Nel primo caso, centrale risulta l’innovativo concetto di “apparato egemonico”, che sta ad indicare le diverse forme materiali che assume l’egemonia; forme che – e questa è la particolarità e la ricchezza di questo tipo di analisi – si scoprono onnipresenti, mostrandosi cioè ad ogni livello ed in ogni sfera del sociale, del politico, dell’economico e del culturale: gli esempi del fascismo e del fordismo sono a riguardo emblematici.
Essi in particolare sono risposte diverse ma entrambe necessarie al sistema capitalistico per superare la fase di crisi organica nella quale periodicamente esso si trova, e dal quale non può uscirne se non riorganizzando le proprie basi produttive e i propri presupposti ideologici. Per Fabio Frosini, infatti, la crisi “segna storicamente la saturazione della classe borghese e l’avvio della sua regressione corporativa” , e dunque per non perire essa deve necessariamente reinventarsi, raffinando le proprie armi.
In ogni caso, essenza di ogni strategia egemonica è l’analisi leniniana della direzione politica dell’avanguardia comunista sulle classi e i partiti alleati, attraverso la loro “conquista”, e di dominio sulle forze avversarie attraverso la dura lotta per la conquista delle loro trincee e fortificazioni.
Nella terza e ultima parte vedremo dunque come in Lenin nel conflitto per l’egemonia sia prioritario ed essenziale innanzitutto la lotta contro ogni forma di deviazionismo politico-organizzativo e culturale, come a dire che risulta impossibile “attaccare” o minare le casematte nemiche senza una preliminare opera di rafforzamento, disciplinamento e chiarimento all’interno del partito comunista. Non stupisce quindi che Gramsci descriva Lenin come
il più grande teorico moderno della filosofia della praxis [in quanto] ha in opposizione alle diverse tendenze «economistiche» rivalutato il fronte di lotta culturale e costruito la dottrina dell’egemonia come complemento della teoria dello Stato-forza e come forma attuale della dottrina quarantottesca della «rivoluzione permanente» .
Infine, nelle conclusioni ho ritenuto importante anche accennare allo sviluppo del pensiero sovietico nella figura di Stalin; nonostante le difficoltà e i limiti che logicamente porta uno stato di reclusione, penso che l’analisi gramsciana della fase storica post-‘21 coincida con quella staliniana del “socialismo in un solo paese”, entrambe opposte alle diverse forme di massimalismo permanentista (Trotzky e Bordiga) presenti all’interno del movimento comunista internazionale. Così all’inizio degli anni ‘30 Gramsci, in perfetta sintonia con Stalin, definisce il carattere non-nazionale (quindi non leninista) del trotzkismo:
le debolezze teoriche di questa forma moderna del vecchio meccanicismo sono mascherate dalla teoria generale della rivoluzione permanente che non è altro che una previsione generica presentata come dogma e che si distrugge da sé, per il fatto che non si manifesta effettualmente .
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Informazioni tesi
Autore: | Andrea Musacci |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Ferrara |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Storia della filosofia |
Relatore: | Giuliano Sansonetti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 143 |
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