Medioevo esotico: citazioni dal mondo orientale nella pittura italiana del Due e Trecento
Il tema sviluppato è volto a evidenziare gli esiti in campo artistico, in particolare nel contesto della pittura italiana ed europea, dei contatti fra Oriente mongolo e Occidente nel corso del Duecento e del Trecento.
Il Duecento e il Trecento segnarono una svolta di una portata senza precedenti nella storia dei rapporti fra Oriente e Occidente. A seguito dell’espansione mongola in tutta l’Eurasia, per la prima volta l’Estremo Oriente si affacciò direttamente sull’Occidente: dopo un primo momento di terrore, in cui i mongoli furono scambiati per demoni a causa del violento impatto con essi e della paura di ciò che era ignoto alla memoria occidentale, si instaurò infine un intenso dialogo fra l’Europa e il mondo sino-mongolico. In questo dialogo fu soprattutto la penisola italiana, con le sue città marinare, i suoi mercanti, i suoi inviati papali e i suoi missionari a svolgere un ruolo di primo piano.
Si è cercato di far luce sulle tracce di questi scambi, individuabili nelle opere italiane dell’epoca, che restituiscono ancora oggi il sapore esotico che l’Europa ha conosciuto nel corso del Duecento e del Trecento.
Si puó affermare infatti che nella pittura italiana dell'epoca sono diffusamente presenti temi e motivi provenienti dall’area islamica e da quella araba mediterranea, nonché una serie di temi e motivi provenienti dall’area sino-mongolica.
I personaggi e i costumi ‘alla turchesca’, o gli elementi decorativi e ornamentali di derivazione islamica risultano più facilmente individuabili poiché ricorrono con maggiore frequenza e per un periodo di tempo che si estende ben oltre il Medioevo, grazie anche all’appartenenza all’area mediterranea, e quindi alla vicinanza geografica e culturale dei contesti da cui provengono.
In effetti, a differenza di queste presenze esotiche riconducibili all’area islamica e, soprattutto dal Quattrocento in poi, turca, sulle quali esiste un’ampia letteratura, le citazioni dal mondo orientale mongolo-sinizzante nella pittura italiana del Duecento e del Trecento sono state poco e non sufficientemente studiate, rimanendo trascurate nella quasi totalità dei libri di storia dell’arte occidentale.
In realtà, queste presenze esotiche mongolo-sinizzanti sollevano problemi non facilmente trascurabili: come si avrà modo di vedere, essi rivelano come gli artisti che vollero inserirle nei propri dipinti spesso conoscessero da quale contesto derivavano; ma soprattutto tali presenze richiedono un’analisi iconologica allo scopo di sviscerare i significati che esse sottendono, il senso loro assegnato da ogni artista, al fine di comprenderne il valore all’interno dei dipinti in cui vennero inserite. Infatti, la ricorrenza dei motivi esotici di questo tipo non è sempre la stessa, ma varia di volta in volta secondo gli artisti e i contesti, assumendo diversa valenza e rivelando in tal modo una volontà da parte degli autori di caricare un elemento estraneo alla composizione di significati simbolici precisi. A questo proposito, un’interessante questione sollevata da alcuni autori è per esempio quella relativa all’interpretazione dei cosiddetti ‘occhi a mandorla’, che per la prima volta fanno la loro comparsa sui volti dei personaggi dipinti dagli artisti senesi e soprattutto da Giotto, e per la cui origine è stata spesso ipotizzata una derivazione cinese.
Per quanto riguarda gli strumenti che hanno permesso l’indagine ai fini di questo studio, di fondamentale importanza, in quanto costituiscono l’oggetto principale dell’indagine stessa, sono state le fonti figurative dell’epoca, quali gli affreschi, le tavole, le pale d’altare, i dipinti conservati nelle pinacoteche, nei musei, nelle cappelle e nelle chiese di Firenze, Roma, Siena, Venezia, Padova e Assisi; anche le riproduzioni delle mappe del mondo redatte all’epoca hanno costituito una fonte interessante per capire a che livello fossero le conoscenze degli europei sul mondo mongolo; inoltre, sempre tra le fonti coeve, si citano quelle materiali costituite dalle sete e dalle stoffe importate all’epoca dai paesi mongoli e provenienti dai corredi tombali e dai tesori delle chiese, nonché quelle contemporanee di produzione italiana, ma improntate ai modelli cinesi e ilkhanidi.
Per quanto riguarda le fonti letterarie dell’epoca, si è fatto riferimento ad alcuni resoconti di viaggio degli inviati e dei missionari (come Giovanni da Pian del Carpine, Guglielmo di Ruysbroeck, Odorico da Pordenone) nei territori mongoli, alla letteratura di viaggio (anche quella dichiaratamente fantastica, in quanto per la sua stessa natura aiuta a completare il quadro dell’atteggiamento e delle conoscenze dell’epoca rispetto all’Oriente), e i riferimenti all’Oriente nelle opere di Dante, Boccaccio, e altri scrittori dell’epoca.
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Informazioni tesi
Autore: | Nayantara Colicchia |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1997-98 |
Università: | Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia |
Facoltà: | Lingue e Letterature Straniere |
Corso: | Lingue e Civiltà Orientali |
Relatore: | Gian Carlo Calza |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 186 |
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