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Il teatro francese durante l'occupazione tedesca

[Dall'introduzione al volume]
Le analisi storiche del periodo della cosiddetta “occupazione tedesca” in Francia supportano generalmente l’idea di un’epoca di sofferenza, privazioni, prevaricazioni, prigionia, morte. Soffermarsi dunque su un aspetto “leggero” e ludico quale può essere il teatro – in quanto forma di intrattenimento e spettacolo – può sembrare fuori luogo e persino forzato. Il divertimento è – nell’immaginario collettivo – quanto di più distante si possa immaginare dalla guerra. Viene dunque da chiedersi quanto spazio, nel clima di conflitto globale della prima metà degli anni ’40 dello scorso secolo, possa essere stato riservato al teatro. Di fronte alle cronache che ribadiscono a più riprese la sua diffusione, che decantano il suo immenso fiorire, che ci raccontano di sale combles e di pubblico in fila davanti alle casse, non possiamo che interrogarci sul perché di tanta popolarità, dando per acquisiti i dati che ci confermano che l’enorme successo degli eredi di Molière e Racine non è solo frutto di un’allucinazione collettiva, ma il risultato di un meticoloso spoglio dei registri teatrali dell’epoca .

Perché la Francia occupata, e la domanda non sembri ingenua, ha ancora la voglia di sfidare il coprifuoco, le restrizioni, e ad un certo punto persino i bombardamenti, per assistere a uno spettacolo teatrale? Ma anche, perché ha ancora la possibilità di andare a teatro? Perché a una popolazione cui è stata imposta la presenza quotidiana dell’invasore e una vita regolata in ogni minimo aspetto da un sistema di razionamento progressivamente più oppressivo e vincolante, è stata concessa la libertà – persino futile, a un’analisi immediata – di potersi recare tranquillamente alla Comédie-Française o all’Hébertot? Perché ai direttori, drammaturghi, registi, attori, scenografi, costumisti è stata data la possibilità di continuare a lavorare?

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Introduzione Le analisi storiche del periodo della cosiddetta “occupazione tedesca” in Francia supportano generalmente l’idea di un’epoca di sofferenza, privazioni, prevaricazioni, prigionia, morte. Soffermarsi dunque su un aspetto “leggero” e ludico quale può essere il teatro – in quanto forma di intrattenimento e spettacolo – può sembrare fuori luogo e persino forzato. Il divertimento è – nell’immaginario collettivo – quanto di più distante si possa immaginare dalla guerra. Viene dunque da chiedersi quanto spazio, nel clima di conflitto globale della prima metà degli anni ‘40 dello scorso secolo, possa essere stato riservato al teatro. Di fronte alle cronache che ribadiscono a più riprese la sua diffusione, che decantano il suo immenso fiorire, che ci raccontano di salles combles e di pubblico in fila davanti alle casse, non possiamo che interrogarci sul perché di tanta popolarità, dando per acquisiti i dati che ci confermano che l’enorme successo degli eredi di Molière e Racine non è solo frutto di un’allucinazione collettiva, ma il risultato di un meticoloso spoglio dei registri teatrali dell’epoca 1 . 1 Cfr. S. Added, L’euphorie théâtrale dans Paris occupé in J.-P. Rioux (a cura di), La vie culturelle sous Vichy, Bruxelles, Complexe, 1990, pp. 316-350. 7

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