Perché la Francia occupata – e la domanda non sembri ingenua – ha
ancora la voglia di sfidare il coprifuoco, le restrizioni, e a un certo punto
persino i bombardamenti, per assistere a uno spettacolo teatrale? Ma anche,
perché ha ancora la possibilità di andare a teatro? Perché a una popolazione
cui è stata imposta la presenza quotidiana dell’invasore e una vita regolata
in ogni minimo aspetto da un sistema di razionamento via via sempre più
oppressivo e vincolante, è stata concessa la libertà – persino futile, a
un’analisi immediata – di potersi recare tranquillamente alla Comédie-
Française o all’Hébertot? Perché ai direttori, drammaturghi, registi, attori,
scenografi, costumisti è stata data la possibilità di continuare a lavorare?
Nella nostra ricerca, partiremo da un’analisi contrastiva tra la politica
dell’occupante e quella dello stato francese, soffermandoci su tre aspetti
centrali: la censura, i tentativi di riorganizzazione della materia teatrale
attraverso l’istituzione di associazioni create all’uopo e il delicato problema
della messa in atto del processo epurativo in campo artistico.
Sarà proprio questo tipo di approccio comparativo che ci porterà a
riflettere su alcune questioni centrali per comprendere le motivazioni alla
base della grande offerta di spettacoli teatrali in questo periodo, partendo
dalla spinta alla continuità che accomuna i programmi dei due regimi. Da
una parte, ci soffermeremo sui fini del progetto culturale tedesco per la
Francia occupata e sul ruolo del teatro nell’ideologia nazista,
ambiguamente concepito come strumento di pacificazione sociale e al
contempo quale mezzo di promozione per la cultura germanica. Dall’altra,
analizzeremo il posto riservato all’arte scenica nella Révolution Nationale
8
di Pétain e le politiche statali di intervento nella gestione teatrale,
approfondendo in particolare le relazioni intrattenute dal governo francese
con l’associazione Jeune France e con i teatri nazionali. Le prese di
posizione delle autorità di Vichy sono d’altronde un chiaro segnale
dell’attitudine concorrenziale che esse intendono tenere nei confronti
dell’occupante, allo scopo di affermare la propria legittimità esclusiva sui
territori francesi.
Si coglierà dunque quanto di letterale ci sia nella definizione di
politica teatrale, tanto nazista quanto pétainista, senza tuttavia che la
politicizzazione del discorso artistico esaurisca la questione.
Accanto alle istituzioni del teatro – sia esso l’Etat francese o il Reich
tedesco – operano infatti gli uomini di teatro, per lo più poco inclini a
sottomettersi ai diktat della politica, anche quando questa prende i
connotati di un regime totalitario, non solo – e non tanto, almeno per
quanto riguarda il nostro campo di analisi – per una volontà di
contestazione del potere, quanto più per una sorta di aristocratico distacco
dalla contingenza storica, per il desiderio di perseguire un discorso artistico
che esuli dai dettami temporali, per quanto forti essi possano essere.
Parlare di arte teatrale non deve però farci dimenticare che il teatro è
fatto di uomini di carne e ossa, di palcoscenici di legno, di scenografie di
papier mâchée, di costumi di stoffa, di scene illuminate con la luce
elettrica... insomma di quelle problematiche di sopravvivenza quotidiana
che in momenti di tanta indigenza rischiano spesso di prendere il
sopravvento. Un’analisi dettagliata delle difficoltà della messinscena è
9
molto più di quello che ci proponiamo e – sebbene di sicuro interesse –
rischierebbe di allontanarci troppo dall’oggetto del nostro studio. Tuttavia,
soffermarci su alcuni aspetti pratici può rivelarsi una cartina tornasole
interessante delle aspettative del pubblico nei confronti del palcoscenico.
Basti solo pensare che, mentre il razionamento e il sistema delle tessere è
ormai entrato a far parte della vita quotidiana di ogni famiglia francese, la
scena teatrale è spesso quanto di più lontano ci si possa aspettare dal rigore
e dall’essenzialità di un tempo di guerra.
Introdotto il tema delle aspettative, ci soffermeremo in maniera più
dettagliata sul concetto di spettatore, analizzeremo l’evoluzione
dell’affluenza nel corso dei quattro anni d’occupazione e delineeremo le
caratteristiche del pubblico, definendone la composizione e le competenze.
Infine, ci soffermeremo sulle motivazioni, ossia quello che viene definito
l’“orizzonte d’attese”
2
, cioè l’influsso esercitato sullo spettatore da fattori
esterni – vicissitudini storiche, influenza della critica teatrale, presenza di
condizionamenti ideologici forti, quali la propaganda – e verificheremo
come a partire da questi schemi mentali si siano sviluppati molti dei
malintesi sulle reali intenzioni del teatro d’occupazione. Renderemo
dunque conto dei principali equivoci cui sia le analisi critiche che
l’immaginario collettivo postbellici hanno dato seguito, soffermandoci
sulla questione delle tematiche, ovvero su come – e quanto – la realtà
2
Il concetto di “orizzonte d’attese” (Erwartungshorizont) del lettore è il tema centrale dello studio sulla
ricezione – nello specifico letteraria – condotto in H.-R. Jauss, Pour une esthétique de la réception, Paris,
Gallimard, 1978.
10
storica del periodo sia stata rappresentata nelle pièce d’occupazione, con
quali finalità da parte degli autori e con che riscontro a livello di pubblico.
Alla luce della ricerca condotta, non c’è da stupirsi che il teatro
dell’occupazione venga inserito in quel percorso che va dal Cartel des
quatre d’anteguerra al Théâtre National Populaire degli anni ‘50 e ‘60, il
quale può essere definito senza troppe forzature la vera eredità di questo
teatro occupato. E non sembri improprio ed esule dalla nostra ricerca voler
riflettere sulle spinte – ancorché per lo più teoriche in questo stadio – verso
un teatro meno élitario e più aperto a un pubblico popolare. Senza entrare
nel merito di un’idea di fare teatro che segnerà il dopoguerra fino a oggi,
lontani dal pretendere di dipanare la matassa che confonde cause e
conseguenze – un teatro che va verso il popolo perché il popolo va verso di
lui, o viceversa? – ci limiteremo a rendere conto degli sforzi compiuti per
ridurre le distanze, anche se non tutti efficaci.
L’approccio dei due regimi alla materia teatrale – coniugato nel senso
della continuità –, le direzioni prese dal dibattito teatrale in seno al mondo
dello spettacolo e in relazione ai fini delle associazioni professionali – la
promozione della creazione giovanile, la ricerca di un pubblico nuovo,
socialmente più variegato, la spinta verso il decentramento della
produzione teatrale – sono tutti elementi a riprova del fatto che gli anni
d’occupazione hanno assolto a una chiara funzione di trait-d’union tra le
politiche culturali degli anni ‘30 e quelle del dopoguerra.
11
L’Occupation est une période d’euphorie pour le théâtre.
3
La nostra ricerca ha preso avvio proprio da questa affermazione, che ci
è sembrata a primo acchito anomala rispetto all’immagine che avevamo del
periodo dell’occupazione tedesca in Francia. Ci siamo dunque posti come
obiettivo di accertare la veridicità di questa dichiarazione e di valutarne la
portata, ovvero di verificare le ragioni che hanno spinto i regimi totalitari al
potere a lasciare tanto spazio a questa forma di intrattenimento e i motivi
che hanno condotto un pubblico tanto numeroso sulle vie dei teatri.
A partire dalla fine degli anni ‘80, l’occupazione tedesca in Francia è
stata fatta oggetto di analisi e ricerche dalle angolazioni più disparate, e si è
proceduti a una generale revisione delle posizioni maturate nel corso dei
decenni precedenti, anche in ragione dell’accessibilità a documenti fino ad
allora non consultabili
4
. La grande fioritura delle attività teatrali – e
artistiche in generale – è d’altra parte un fatto assodato già dalle cronache
della stampa del tempo. Quello che caratterizza l’evoluzione dell’approccio
alla materia teatrale nel corso dei cinquant’anni che ci separano dalla fine
della II guerra mondiale è la variazione del punto di vista attraverso cui il
mondo del teatro è stato via via osservato.
Il nostro approccio alle fonti ha seguito un andamento al contempo
verticale, ovvero diacronico, e orizzontale, ovvero qualitativo. Nel primo
3
P. Goetschel, E. Loyer, Historie culturelle et intellectuelle de la France au XX
ème
siècle, Paris, Armand
Colin Editeur, 1995, p. 88.
4
Per molti archivi di stato, infatti, la legge prescrive la segretezza, e dunque l’impossibilità per il
pubblico di consultarli, per 50 anni.
12
caso abbiamo tenuto conto delle variazioni di tipo storico, sociale e mentale
che si sono prodotte nel corso degli anni e che hanno necessariamente
influito sulla formulazione dei giudizi. Nel secondo, abbiamo vagliato le
possibili differenze di opinione, così come espresse nei diversi generi di
scrittura: un mémoire o un diario intimo offrono generalmente informazioni
più soggettive e dunque meno affidabili di un testo di critica teatrale, a
parità di condizioni storiche. D’altra parte, un testo critico risalente agli
anni ‘50 o anche ‘60 risulta spesso meno obiettivo di uno recente, in
ragione di un minor distacco dovuto proprio alla vicinanza temporale con il
periodo storico considerato. Tuttavia, la distanza non è sempre garanzia di
affidabilità: spesso gli autori contemporanei possiedono una conoscenza
solo mediata dell’argomento che trattano e sono privi dell’esperienza
diretta utile per cogliere quelle sfumature di pensiero e di intenzioni che
solo l’aver respirato l’“aria del tempo” può conferire.
Da una prima e superficiale indagine bibliografica è emerso che i testi
di storia della letteratura e storia del teatro dedicano, quando lo fanno, solo
poche righe al periodo dell’occupazione, liquidandolo con la sbrigativa
citazione di due o tre titoli significativi, ovvero quelli che ancora
risvegliano l’attenzione del lettore moderno.
Con il procedere della nostra ricerca, ci siamo però resi conto che,
sebbene solo pochi testi (per lo più lavori di tesi, spesso neppure pubblicati)
affrontino la tematica teatrale in maniera esclusiva, molte ricerche a livello
storiografico e sociologico inerenti il periodo dell’occupazione danno
grande risalto all’argomento. Si tratta di raccolte di saggi presentati in seno
13
a conferenze e tavole rotonde, o testi riguardanti tutti gli aspetti della vita
sociale e artistica della Francia occupata o, ancora, lavori critici sulla
produzione di autori non esclusivamente drammatici, ma che hanno operato
in questo senso durante l’occupazione.
Non ci siamo tuttavia soffermati sull’aspetto letterario della
produzione teatrale dell’epoca, poiché il nostro voleva essere un approccio
essenzialmente sociologico. Abbiamo dunque tralasciato l’analisi
dettagliata dei testi, tenendo anche conto del fatto che non è il testo
drammatico ma la sua rappresentazione a costituire la dimensione più
completa dell’arte scenica, la quale trova la sua piena realizzazione ed
espressione su di un palco. La ricezione ha dunque rappresentato l’oggetto
centrale del nostro studio. A questo scopo, la nostra analisi si è orientata
verso la definizione del clima sociale e culturale del momento attraverso la
delineazione dell’evolversi dell’opinione pubblica, anche in ragione del
progredire degli eventi storici, e si è aperta a una visione più ampia del
periodo, che includesse fattori storici imprescindibili. Abbiamo perciò
consultato testi di storia dell’occupazione tedesca in Francia e opere
incentrate sull’analisi dello stato dell’opinione pubblica “sous la botte
allemande”.
Di estrema rilevanza è risultato l’apporto di materiale originale
(articoli di giornali dell’epoca, ma anche alcune inchieste e indagini
condotte nei primi mesi del dopoguerra e i tre volumi della raccolta Un an
de théâtre, che offrono un’attenta analisi “in presa diretta” delle stagioni
teatrali dal 1940 al 1943) la cui consultazione è stata resa possibile grazie a
14
un soggiorno a Parigi che ci ha permesso di sfruttare le risorse delle
innumerevoli e fornitissime biblioteche, alcune esclusivamente teatrali
(come la Bibliothèque Gaston Baty e la Bibliothèque de l’Arsenal). Per il
nostro lavoro inoltre, ci siamo potuti avvalere del materiale bibliografico
presente alla BDIC (Bibliothèque de Documentation Internationale
Contemporaine), presso l’università Paris X di Nanterre.
Non vogliamo poi dimenticare il prezioso apporto della consultazione
di materiale on line, soprattutto per quanto riguarda i testi giuridici e
legislativi di cui ci siamo serviti nel primo capitolo. Di grande interesse
sono anche risultati i documenti a volte consultabili negli archivi elettronici
messi a disposizione da centri di ricerche e di studio (BDIC e IHTP) . Una
menzione particolare va al sito dell’INA (Institut National de
l’Audiovisuel), estremamente utile per la documentazione video che offre.
Tra i materiali audiovisivi, una menzione và all’interessante lavoro di
analisi delle condizioni del teatro francese durante l’occupazione realizzato
da François Truffaut nel suo Le dernier métro, una attenta sintesi di
fantasia e storia. Da ricordare anche l’ottimo documentario di André
Halimi Chantons sous l’Occupation
5
, che solleva la delicata questione della
collaborazione artistica.
Questo lavoro non mira all’esaustività: molti sono gli aspetti che
ruotano attorno al tema del teatro d’occupazione, ma che abbiamo dovuto
necessariamente scartare. Ci sarebbe infatti piaciuto analizzare la
5
Le interviste presentate nel documentario sono state raccolte in un libro omonimo: A. Halimi, Chantons
sous l’occupation, Paris, O. Orban, 1976.
15
produzione drammatica minore del periodo, soprattutto quella
caratterizzata da una tematica di attualità, per verificare come la realtà
storica del periodo sia stata rappresentata nelle pièce, con quali finalità da
parte degli autori e con che riscontro a livello di pubblico. Avremmo voluto
soffermarci sul ruolo della donna nel teatro d’occupazione, la quale non è
solo attrice di grido, ma spesso dotata direttrice di teatro (come Alice
Cocéa) o personaggio di rilievo decisionale nell’amministrazione di uno
stabile (come nel caso delle numerose e influenti sociétaires della
Comédie-Française) e preziosa collaboratrice dietro le quinte dissestate e
povere dei palcoscenici dell’epoca. Di sicuro interesse sarebbe stata
un’analisi contrastiva tra le condizioni del teatro in Francia e in altri paesi
occupati dalla Germania nazista (ad esempio la Polonia, dove tra l’altro è
diffusa una produzione drammaturgica resistente, ovvero clandestina, che
non attecchisce invece in suolo francese).
Un periodo storico spesso snobbato sul piano culturale ha infatti
rivelato una ricchezza inaspettata, risultato del giustapporsi di spinte
opposte per certi versi, ma convergenti per altri; frutto di una sensibilità
sicuramente radicalizzata dalle condizioni estreme del momento, ma in
fondo volta alla ricerca di una sempre ambita normalità.
16
Capitolo 1
La politica teatrale franco-tedesca:
collaborazione o competizione?
Il 14 giugno 1940 Parigi, dichiarata ville ouverte, è invasa dai
tedeschi
1
. Otto giorni dopo, la Convention d’armistice franco-allemande
sancisce la fine delle ostilità e la firma della tanto agognata pace, ponendo
in questo modo un’ipoteca pesantissima sulle sorti della Francia degli anni
a venire
2
.
1
Per quanto riguarda le fonti relative a questo capitolo, rimandiamo alle note introduttive di ogni singolo
paragrafo: per la diversità degli argomenti trattati, ci è sembrato più utile e chiaro precisare le fonti
attinenti a ciascuno di essi.
2
La Convention d’armistice franco-allemande viene firmata il 22 giugno 1940, alle ore 18:36 – heure
d’été allemande – nella foresta di Compiègne. Di seguito ne riportiamo i punti salienti:
“ART. 1. Le Gouvernement français ordonne la cessation des hostilités contre le Reich allemand, sur le
territoire français (...). Il ordonne que les troupes françaises déjà encerclées par les troupes allemandes,
déposent immédiatement les armes ;
ART. 2. En vue de sauvegarder les intérêts du Reich allemand, le territoire français, situé au nord et à
l’ouest de la ligne tracée sur la carte ci-annexée sera occupé par les troupes allemandes ;
ART. 3. Dans les régions occupées de la France, le Reich allemand exerce tous les droits de la puissance
occupante. Le Gouvernement français s’engage à faciliter par tous les moyens les réglementations
relatives à l’exercice de ces droits et à la mise en exécution avec le concours de l’Administration
française ;
ART. 18. Les frais d’entretien des troupes d’occupation allemande sur le territoire français seront à la
charge du Gouvernement français”.
17
All’articolo 3 della suddetta Convenzione possiamo leggere: “Dans les
régions occupées de la France, le Reich allemand exerce tous les droits de
la puissance occupante”; e ancora: “Le Gouvernement français s’engage à
faciliter par tous les moyens les réglementations relatives à l’exercice de
ces droits et à la mise en exécution avec le concours de l’Administration
française (...)”. In queste poche righe è riassunta la situazione della
Francia: una zona occupata, sottoposta al controllo della potenza vincitrice,
la quale però constata la presenza – o piuttosto la sopravvivenza – di un
governo francese, anche se con una funzione coadiuvante rispetto ai propri
obiettivi e interessi. Sempre all’articolo 3, il governo tedesco si preoccupa
di sottolineare che “le Gouvernement français est libre de choisir son siège
dans le territoire non occupé, ou bien, s’il le désire, de le transférer même à
Paris” e che, “dans ce dernier cas, le Gouvernement allemand s’engage à
apporter toutes facilités nécessaires au Gouvernement et à ses services
administratifs centraux, afin qu’ils soient en mesure d’administrer de Paris
les territoires occupés et non occupés”
3
. Quello che sembra un apparente
paradosso – una potenza occupante, e che si proclama tale, che si impegna
a fornire al governo vinto gli strumenti necessari per continuare a esercitare
la propria autorità, non solo sui territori rimasti sotto la sua diretta
giurisdizione, ma anche su quelli occupati! – è in realtà la cifra del rapporto
ambiguo che viene a instaurarsi tra i due governi
4
. Per motivi che
Il testo completo della Convenzione è consultabile al link http://www.saij-netart.de/25-s1-armistice.html.
3
Tutti i corsivi di questa pagina sono nostri.
4
Perché la nostra trattazione non si dilunghi troppo su questioni storico-politiche che sarebbero fuorvianti
rispetto alla natura della nostra ricerca, ci limiteremo a dare le indicazioni essenziali sulla formazione del
governo Vichy. Dopo una fuga precipitosa a Bordeaux in seguito all’invasione di Parigi a opera delle
truppe tedesche, Pétain (che aveva assunto la guida del governo dopo le dimissioni Reynaud, il 16
18
varieranno a seconda delle condizioni storiche, degli obiettivi da
raggiungere e degli interessi in gioco, essi sovrapporranno spesso
l’esercizio del proprio potere su medesime questioni da dirimere;
competeranno per l’amministrazione di specifici settori, promuovendo
comitati organizzativi e associazioni destinati a entrare necessariamente in
conflitto gli uni con gli altri; legifereranno in maniera analoga non solo per
similarità di fini ma anche per affermare la propria autorità di fronte alla
potenza “avversaria” oppure – in senso diametralmente opposto – per
dimostrare la propria buona volontà e il proprio impegno nel supporto di
una politica della collaborazione.
Un’ulteriore dimostrazione dell’equivocità delle relazioni tra i due
governi è rappresentata dalle opposte reazioni che, in Pétain e Hitler,
verranno suscitate dal pourparler di Montoire nell’ottobre del 1940, primo
incontro tra i due leader dopo la firma dell’armistizio. Pétain così scrive
qualche giorno dopo l’incontro: “Je ferai en sorte qu’elle [la collaboration]
ne se pose que sur des considérations d’ordre économique (...)”
5
; Hitler, da
parte sua, riassume i risultati del colloquio in questi termini: “Pétain se
déclare prêt en principe à admettre l’idée d’une collaboration avec
l’Allemagne dans le sens indiqué par le Führer. Les modalités de cette
giugno) assieme ai suoi ministri si trova costretto – dopo la firma dell’armistizio che pone Bordeaux in
zona occupata – a trasferirsi a Vichy, città termale dai grandi alberghi, scelta per le possibilità di
accoglienza che può offrire ai servizi governativi. Il 10 luglio, le due Camere riunite in assemblea
nazionale “donne[nt] tout pouvoir au gouvernement de la République sous l’autorité et la signature du
maréchal Pétain à l’effet de promulguer (...) une nouvelle Constitution de l’Etat français. Cette
Constitution devra garantir les droits du Travail, de la Famille et de la Patrie”. Il primo atto costituzionale
consisterà nel dare pieni poteri al “maréchal Pétain, chef de l’Etat français”. Il ritorno del governo
francese a Parigi, a cui le condizioni dell’armistizio non si oppongono e che a un certo punto viene
auspicato dalla stesso Pétain, rimarrà solo sulla carta. Per questa breve sintesi, abbiamo fatto riferimento a
G. de Bertier de Sauvigny, Histoire de France, Paris, Flammarion, 1977, pp. 427-444.
19
collaboration seront réglées et tranchées en détail au fur et à mesure des
événements”
5
. È evidente che le aspettative tedesche, seppur ancora non
ben definite, vadano molto al di là delle limitate concessioni che il governo
francese si dichiara pronto a fare, suo malgrado. Ma la parola magica – o
maledetta, a seconda dei punti di vista – è già stata pronunciata: la
collaboration è ormai nell’aria.
Tuttavia Pétain e i suoi ministri non sembrano intenzionati a cedere il
controllo di quello che considerano il loro campo d’azione: la gestione
degli affari interni dell’Etat français. L’audace espulsione di Laval dal
governo di Vichy ne è l’esempio più lampante
6
. L’incidente diplomatico
che ne segue è un chiaro indice delle posizioni che le due potenze
intendono mantenere l’una rispetto all’altra: il governo francese rimane
irremovibile sulle sue scelte, nonostante le pressioni tedesche
7
, ma
paradossalmente si ostina ad affermare la propria fedeltà ai principi di
Montoire; la Germania vincitrice, da parte sua, non può accettare che “les
vaincus choisissent leur politique”
8
e intraprende una strategia
dell’indifferenza, umiliante per lo stato francese, che si trova messo
5
Cfr. H. Amouroux, La grande histoire des français sous l’occupation, vol. 2, Paris, Ed. Robert Laffont,
1998-1999, pp. 65 e 68.
6
Il 13 dicembre 1940, Pierre Laval, vice-presidente del consiglio – secondo solo al maresciallo e suo
successore per decreto costituzionale, ma soprattutto campione della collaborazione e considerato dai
tedeschi come un loro uomo – viene espulso dal governo. Il tutto avviene in un clima di complotto e
all’insaputa degli alti funzionari del Reich a Parigi, che verranno a conoscenza dei fatti solo a giochi
conclusi.
7
L’ambasciatore del Reich a Parigi, Otto Abetz, minaccia di non riconoscere il governo francese nato dal
rimpasto dopo l’uscita di Laval, a meno che quest’ultimo non venga richiamato e reinvestito di una carica
di primo piano. Dichiara inoltre che l’atteggiamento di Vichy ha fortemente compromesso i risultati del
colloquio di Montoire e avverte che si potrebbe procedere a una chiusura definitiva della linea di
demarcazione e all’istaurazione di un governo tedesco in zona occupata.
8
H. Amouroux, op. cit., p. 107.
20
completamente da parte e paralizzato da un sistema controllato – che gli
uomini di Pétain lo vogliano o no – interamente dai tedeschi.
Vichy si affida al sistema delle piccole gocce che smuovono le
montagne, in una guerra che sa essere già persa in partenza, e alla
collaborazione ufficiale contrappone una politica ufficiosa di lungaggini
burocratiche, fraintendimenti calcolati, perdita di documenti che, se non
bloccano l’avanzata tedesca in ogni settore della vita francese – in zona
occupata e non – almeno la rallentano. Il Reich – gigante Golia di fronte al
piccolo Davide – non può che guardare con una certa superiorità mista a
disprezzo le alzate di testa di un governo francese che si illude di essere
protagonista, quando non è neppure comprimario, mentre la collaborazione
è poco più che unilaterale: molti vantaggi per il vincitore in cambio di
piccole concessioni al vinto
9
.
In che termini dunque si devono intendere le relazioni franco-
tedesche? Dobbiamo parlare di collaborazione o piuttosto di competizione?
Oppure, come è più naturale che sia nei chiaroscuri della storia e della
politica, di un’amalgama variegata e indissolubile dei due fattori?
9
In una nota del novembre del 1940, l’ambasciatore del Reich a Parigi, Otto Abetz, scrive: “Les Français
se représentent la ‘politique de collaboration’ comme une affaire à laquelle ils apporteraient le moins
possible et qui leur rapporterait beaucoup. Il est (...) nécessaire de leur expliquer (...) qu’une
‘collaboration’ ne présente d’intérêt pour le vainqueur que si le vaincu y contribue par des prestations et
qu’ils peuvent (...) s’attendre, de la part des Allemands, à une PETITE contribution préliminaire (...)”.
Abetz è tra i maggiori sostenitori della collaborazione franco-tedesca e tra i più illuminati uomini di
governo tedeschi su suolo francese: non in molti sono disposti a concedere tanto ai vinti. Nell’agosto del
1942, pochi mesi prima dell’invasione tedesca della zona libera, il maresciallo Göring – da poco
nominato responsabile per le questioni economiche del Reich – descrive in questi termini i rapporti tra
Germania e Francia: “(...) je m’époumone pour affirmer que je considère la France occupée comme un
pays conquis. (...) Aujourd’hui, les choses se font plus humainement. Mais moi, je songe tout de même à
piller, et rondement. (...) La collaboration, c’est seulement M. Abetz qui en fait, pas moi. La collaboration
de messieurs les Français, je le vois de la façon suivante : qu’ils livrent tout ce ils peuvent jusqu’à qu’ils
n’en puissent plus ; s’ils le font volontairement je dirai que je collabore, s’ils bouffent tout eux-mêmes,
alors ils ne collaborent pas”. Cfr. H. Amouroux, op. cit., pp. 80-81 e 406-407.
21