Analisi degli adattamenti spagnoli de ''La vedova scaltra'' di Carlo Goldoni
Se esiste un drammaturgo che ha recitato la propria vita come una commedia, è proprio il nostro Goldoni, che nelle sue Mémoires ha scritto: "Io sono l'eroe della mia commedia".1 É vero che c'era di che essere scoraggiati leggendo che la storia della sua vita "non era abbastanza interessante perchè il pubblico volesse conoscerla", ma questa mancanza di vanità non era in effetti che il supremo artificio del suo amor proprio. La vita di Goldoni ci interessa, non tanto per trovarvi la spiegazione della sua opera, quanto per tentare di capire da chi e come è stata prodotta, su quali circostanze è sorta e su quale terreno è stata edificata, per poter cercar di capire, poi, come potesse essere essere capita e “tradotta” in un altro ambiente culturale.
Si è detto e ripetuto anche troppo che il teatro, al tempo di Goldoni, era un fenomeno collettivo, e non possiamo non considerare risolto il problema, ma forse si sono dimenticate troppo presto le condizioni in cui nel XVIII secolo si esercitava il mestiere di autore, a Venezia come a Madrid. Soggetto alla domanda di un pubblico tanto versatile quanto avido di piaceri da rinnovare senza tregua, egli era sottomesso alle esigenze di capocomici, a loro volta dipendenti dai proprietari delle sale che appartenevano generalmente, a Venezia, all'aristocrazia, mentre a Madrid (e nel resto della Spagna) al Municipio. Passare sotto silenzio i problemi sociali, culturali ed economici sottesi alla produzione letteraria significa condannarsi a non vedere affatto che, dall'alto al basso nella scala sociale, una commedia di Goldoni era subordinata ad una serie di mediazioni con le quali, a Venezia, egli rischiava di compromettere insieme talento ed originalità4, mentre in altro terreno culturale rischiava di essere manipolata perdendo il suo spirito originario.
Marx invitava lo scrittore a non alienare la propria libertà dicendo che doveva "naturalmente guadagnare per poter vivere e scrivere", ma che non doveva "in nessun caso vivere e scrivere per guadagnare". A questa prescrizione aggiungeva poi un'altra osservazione di buon senso: "Lo scrittore non consideri in nessun modo i suoi lavori come mezzo. Essi sono scopo in sé, essi son tanto poco un mezzo per se stessi e per gli altri da sacrificare la propria esistenza alla loro quando è necessario".5 Ma, sfortunatamente, spesso ciò è più facile a dirsi che a farsi.
E se quel che caratterizza la storia di Goldoni è precisamente il fatto che, lungi dal volersi astrarre dal circuito economico della distribuzione, egli fu il primo scrittore italiano a vivere della propria penna imponendo e promuovendo un oggetto letterario valido che gli rese abbastanza da poter sussistere onorabilmente, almeno per un certo periodo della sua vita, no avvenne esattamente la stessa cosa per i suoi colleghi spagnoli che cercarono il consenso popolare con opere originali (poche) e adattamenti stranieri (molti).
Il tema della fortuna di uno scrittore fuori dal contesto culturale d’appartenenza è di per sé un tema complesso per le numerose implicazioni che sottintende; quando poi si tratta, come nel caso di Carlo Goldoni, di uno scrittore di teatro, la questione si dilata in modo preoccupante, poiché comprende, come fa notare Nicola Mangini, non solo la storia della diffusione dei testi nei diversi aspetti estetici e tecnici, ma anche la storia delle rappresentazioni con tutti i relativi problemi della messa in scena.
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Informazioni tesi
Autore: | Carmelo Mavilia |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Messina |
Facoltà: | Lingue e Letterature Straniere Moderne |
Corso: | Lingue e letterature moderne euroamericane |
Relatore: | Antonietta Calderone |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 154 |
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