Intorno al terzo libro del Cortegiano: un discorso sulla donna detto al maschile
Alla base del mio studio vi è l’analisi del pensiero di Baldassar Castiglione sulla donna e la posizione da lui assunta nel terzo libro del Cortegiano, alla luce della plurisecolare questione della natura e del ruolo femminile. Se evidenti risultano essere le aperture di Castiglione in termini di accesso allo spazio e alla relazione pubblica, che incrinano e modificano il complesso delle regole di comportamento femminile rispetto al lento maturare di un nuovo statuto socio-culturale della donna colta nei circoli intellettuali, resta difficile determinare i limiti della filoginia di Castiglione che, attraverso un complesso intreccio di argomentazioni teoriche e figurali e conseguentemente diversi piani di lettura, maschera più o meno intenzionalmente le proprie posizioni. E’ attraverso l’esaltazione del mito della duchessa Elisabetta Gonzaga che Castiglione rilancia un modello positivo di donna virtuosa, nobile e coraggiosa a dispetto della lunga tradizione misogina circa la volubilità e immoralità femminile. La duchessa è infatti l’esclusivo prototipo della virtù e del valore che degnamente può affiancarsi al fine animo del duca Guidubaldo, la cui assenza a causa della malattia fornisce il pretesto per mettere in risalto le tre qualità che contrassegnano il tipo femminile più nobile e congeniale all’esperienza biografica dell’autore quali la forza, la costanza e la fedeltà. In virtù del ruolo sociale primario della dama di corte, ovvero l’”intertenimento” gentile, onesto, affabile e aggraziato degli uomini, l’immagine della duchessa viene proiettata su un nuovo scenario: non più solo ispiratrice di poesia e oggetto di numerosi componimenti letterari, ma finalmente signora della corte capace di plasmare, con la propria figura, la forma del vivere in essa condivisa. Il Rinascimento incarna infatti il perfetto sfondo storico-culturale che valorizza la bellezza, il piacere e la cultura all’insegna di una società razionale e incivilita, la società della conversazione piacevole, nuova forma del vivere della corte. Se la donna acquisisce importanza per il proprio ruolo da mediatrice che ne fanno un prototipo della civiltà rinascimentale in grado di competere, quanto meno a livello culturale, con quello maschile, permane anche l’impressione che ella resti avvolta nel cono d’ombra del cortegiano del quale sembra essere e vivere in funzione. E’ infatti a partire da una rassegna di peculiarità comuni agli uomini che l’autore, perennemente contraddistinto da una certa “mediocrità difficile” a causa della quale non è stato semplice soffermarsi sul suo contributo all’emancipazione femminile, comincia ad elencare le differenze visibili tra i due generi che avallano, sulla scia di secolari dottrine psico-fisiche , l’ipotesi dell’inferiorità fisica, psicologica e morale della donna. Il problema di Castiglione era quello di riuscire a creare un’immagine pubblica di donna d’élite aggraziata e intelligente che si liberasse dai condizionamenti sociali e dalla misogamia, promuovendo il modello di una compagna e non di una rivale dell’uomo. Innovativo, a questo punto risulta infatti essere il suo tentativo di cooperazione tra i generi e di incivilimento dei rapporti all’interno del sacramento del matrimonio. Tuttavia questa attenzione al matrimonio e al tema della procreazione evidenzia un conflitto tra il modello cortese di donna con ruolo pubblico di rilievo e quello tradizionale della casta madre e moglie di famiglia. Una delle tante controversie affrontate lungo il corso del trattato riguardano infatti la conciliazione della natura della donna come “angelo del focolare” con la funzione pubblica di intrattenimento assegnata alla dama di corte. Castiglione tenta di risolvere questa deatriba proponendo che le medesime caratteristiche della donna, prime fra tutte la medietas, si riscontrassero specularmente nella dama di palazzo e nelle dinamiche sociali che la vedevano protagonista. Cosi il modello di donna paziente, in grado di autogovernare, proprio come Maria (donna in grado di dominare la propria femminilità in quanto generata e in grado di generare senza peccato) i propri istinti e sopportare per salvaguardare il matrimonio, veniva riproposto come facoltà di mediazione e intrattenimento degli uomini a corte tramite ragionamenti grati e onesti che fuggissero una qualsivoglia declinazione lasciva o adulterina d’amore. Seppur evidente risulta essere la progressiva divaricazione fra ruolo pubblico e privato nelle diverse modalità comportamentali assegnate alla donna in pubblico e in famiglia, la persistenza gerarchica della medesima e delle dinamiche interne ad essa risultano immutate e confermate.
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Informazioni tesi
Autore: | Sophia Melfi |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2017-18 |
Università: | Università degli Studi di Urbino |
Facoltà: | Lettere |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Antonio Corsaro |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 40 |
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