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III. 1. La cautela in amore
Se a corte regna il dominio dell’occhio in quanto rappresentazione scenica,
che per la dama di palazzo coincide con un ideale di grazia-bellezza esteriore e
interiore, dal capitolo cinquantaquattresimo, il Magnifico presenta un altro tipo di
economia che regola stavolta i «ragionamenti amorosi». Il modello femminile di
riferimento è sempre quello della duchessa, donna ispiratrice e degna d’amore. Ciò
che viene chiesto al Magnifico è come la dama debba «intertenersi discretamente»
nelle dinamiche amorose e come debba governarsi in occasione dei ragionamenti
d’amore:
Allora il signor Magnifico, «Bisogneria prima,» disse, «insegnarle a conoscer quelli che
simulan d’amare e quelli che amano veramente; poi, del corrispondere in amore o no, credo che non si
debba governar per voglia d’altrui, che di se stessa.» […] La maniera dell’intertenersi nei
ragionamenti d’amore, ch’io voglio che usi la mia donna di palazzo, sarà il rifiutar di creder sempre
che chi le parla d’amore l’ami però; e se quel gentilomo sarà presuntuoso e che le parli con poco
rispetto, essa gli darà tal risposta, che ’l conoscerà chiaramente che le fa dispiacere; se ancora sarà
discreto ed userà termini modesti e parole d’amore copertamente, […] la donna mostrerà non
l’intendere e tirarà le parole ad altro significato, cercando sempre modestamente, […] uscir di quel
proposito. Se ancor il ragionamento sarà tale, che ella non possa simular di non intendere, pigliarà il
tutto come una burla, mostrando di conoscere che ciò se le dica più presto per onorarla che perché così
sia, estenuando i meriti suoi ed attribuendo a cortesia di quel gentilomo le laudi che esso le darà; ed in
tal modo si fará tener per discreta, e sarà piú sicura dagli inganni. Di questo modo parmi che debba
intertenersi la donna di palazzo circa i ragionamenti d’amore».
54
Necessaria, per la donna di palazzo, risulta essere la cautela in amore e il
saper riconoscere chi simula o meno durante i rapporti amorosi. Sia l’amore vero sia
quello falso sono esemplati sulla «regula universalissima» della grazia e della
sprezzatura, riproducendone la forza modellizante e l’istanza omologante: il
rispettivo dirsi/non dirsi dell’uomo e della donna non sono che l’esecuzione della
stessa forma integrata ai circuiti della comunicazione cortigiana.
55
La donna dovrà
quindi stare attenta agli inganni che spesso dispensano gli uomini, mostrandosi
comunque discreta e cortese ai loro occhi. La cautela richiesta nei ragionamenti
d’amore richiama apertamente le qualità di autocontrollo, decoro e temperanza
proprie delle dame di corte, regolate da un discorso sulla donna totalmente al
maschile che dello stesso modello ribadisce i doveri morali e sociali. Così, anche le
pratiche d’amore rispondono ad una logica di simulazione-dissimulazione poiché chi
ama, sostiene il Magnifico, ha il cuore caldo e la lingua fredda e non si concede
totalmente al sentimento, dissimulando il proprio amore in virtù delle regole a cui
anche l’amore cortigiano deve sottostare per non sfociare in passione e irrazionalità.
Allora messer Federico, «Signor Magnifico,» disse, «voi ragionate di questa cosa, come che
sia necessario che tutti quelli che parlano d’amore con donne dicano bugie e cerchino di ingannarle
[…] Ma se questo cavalier che intertiene ama veramente e sente quella passion che tanto affligge talor
i cori umani, non considerate voi in qual pena, lo ponete, volendo che la donna non gli creda mai cosa
54
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LIV, pp. 331-332.
55
Castiglione, Il libro del Cortegiano, introduzione di Quondam, p. 24.
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che dica a questo proposito? […] Guardate signor Magnifico, che non si estimi che, oltre alla naturale
crudeltà che hanno in sé molte di queste donne, voi ne insegnate loro ancora di più». Rispose il
Magnifico: «Io ho detto non di chi ama, ma di chi intertiene con ragionamenti amorosi, nella qual cosa
una delle più necessarie condicioni è che mai non manchino parole; e gli innamorati veri, come hanno
il core ardente, così hanno la lingua fredda, col parlar rotto e subito silenzio […] chi ama assai parla
poco».
56
Questo tema del detto/non detto e degli sguardi amorosi che
contraddistinguono gli innamorati dal «core ardente» richiama implicitamente il
motivo dantesco della donna-schermo (Vita Nuova, V)
57
, largamente presente nella
lirica provenzale e derivante dagli stessi principi dell’amor cortese, già contemplato
nel De Amore di Andrea Cappellano. Ed è in tali circostanze che messer Federico
piega a suo favore questa interpretazione, avanzando la propria tesi misogina a
sostegno dell’innata crudeltà delle donne che parrebbe essere fomentata dai consigli
del Magnifico Iuliano. Con allusione al mito ovidiano di Pigmalione (Le
Metamorfosi, X, 243-297), quest’ultimo accenna alla «ritrosia» della dama di corte
come caratteristica fondamentale per riconoscere una simulazione d’amore dalla
verità. Un primo segno, menzionato nel capitolo LVII, è quello del silenzio che
contraddistingue i veri innamorati dagli uomini ingannevoli perché spesso «le
demostrazioni che si fan alle dame nascono da un appetito mosso da opinion di
facilità, non d’amore».
58
Si prosegue, in seguito, con una disputa tra Pallavicino e il
Magnifico intorno alle condizioni di «servitù e riverenzia» che spettano alle donne
maritate.
Disse il signor Gasparo ridendo: «Non volete voi, signor Magnifico, che questa vostra così
eccellente donna essa ancor ami, almen quando conosce veramente essere amata? Atteso che se ‘l
cortegiano non fosse redamato, non è già credibile che continuasse in amare lei; e così le mancheriano
molte grazie, e massimamente quella servitù e riverenzia, con la quale osservano e quasi adorano gli
amanti la virtù delle donne amate.» «Di questo,» rispose il Magnifico, «non la voglio consigliare io;
dico ben che se lo amar come voi ora intendete estimo che convenga solamente alle donne non
maritate; perché quando questo amore non po terminare in matrimonio; è forza che la donna n’abbia
sempre quel remorso e stimulo che s’ha delle cose illicite, e si metta a periculo di macular quella fama
d’onestà che tanto l’importa.» […] «Penso ben quelle che hanno i mariti convenienti e da essi sono
amate, non debbano fargli ingiuria; ma l’altre, non amando chi ama loro, fanno ingiuria a se stesse.»
[…] «Pur, perché molte volte il non amare non è in arbitrio nostro, se alla donna di palazzo occorrerà
questo infortunio che l’odio del marito o l’amor di altri la induca ad amare, voglio che ella niuna altra
cosa allo amante conceda accetto che l’animo; né mai gli faccia dimostrazion alcuna certa d’amore, né
con parole, né con gesti, né per altro modo, tal che esso possa esserne sicuro».
59
Estimatore e mediatore della cultura cortese, il trattatista finisce nel terzo
libro per avvisare dei pericoli dell’adulterio e dell’infedeltà della donna, la cui
medietas, onestà e castità costituiscono i caratteri imprescindibili che regolano la sua
vita pubblica e privata. Castiglione intima quindi alla sua donna di palazzo di
56
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LV, pp. 333-334.
57
Si pensi al silenzio di Dante che non vuole svelare l’identità dell’amata Beatrice, alimentando l’equivoco creatosi in
chiesa.
58
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LVII, p. 337.
59
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LVI, pp. 334-336.
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rivolgere il proprio amore solo al marito, stabilendo un’eccezione esclusivamente
spirituale per qualsiasi tipo di relazione cortese con altri uomini e veicolando così un
ideale di amore platonico e casto svincolato da ogni carica erotica e passionale.
60
La
dimensione edonistica viene così rimpiazzata da quella etica dell’onorabilità richiesta
a corte, in virtù del dominio totalizzante dell’opinione pubblica e della natura
simulatoria del dialogo che determina lo svolgersi del trattato.
Seppur confermato il controllo della sessualità e dei comportamenti femminili
da parte degli uomini, si dovrà notare il modo specifico in cui la donna è stata
valorizzata in funzione della propria centralità nella vita di relazione di corte, sia per
l’immaginario maschile in quanto promotrice d’amore, grazia e bellezza, sia per una
libertà effettivamente concessale, quella dell’uscita dal privato.
61
III. 2. Regole pratiche
«Se la mia donna di palazzo,» rispose il signor Magnifico, «non sarà maritata, avendo
d’amare voglio che ella ami uno col quale possa maritarsi; né reputarò già errore che ella gli faccia
qualche segno d’amore; della qual cosa voglio insegnarle una regula universale con poche parole,
acciò che ella possa ancora con poca fatica tenerla a memoria: e questa è che ella faccia tutte le
dimostrazioni d’amore a chi l’ama, eccetto quelle che potessero indur nell’animo dell’amante
speranza di conseguir da lei cosa alcuna disonesta.» […] «Voglio che la mia donna di palazzo non con
modi disonesti paia quasi che s’offerisca a chi la vole ed uccelli più che po gli occhi e la voluntà di chi
la mira, ma con i meriti e virtuosi costumi suoi, con la venustà, con la grazia induca nell’animo di chi
la vede quello amor vero che si deve a tutte le cose amabili, e quel rispetto che leva sempre la
speranza di chi pensa a cosa disonesta. […] «Ed io a così fatta donna non saprei aggiunger cosa
alcuna, se non che ella fosse amata da così eccellente cortegiano come hanno formato questi signori, e
che essa ancor amasse lui, acciò che e l’uno e l’altra avesse totalmente la sua perfezione».
62
Nel capitolo LVII si accenna alla «regula universale» a cui la donna deve
sottostare durante una qualsivoglia dimostrazione d’amore. Il requisito in causa è
sempre quello dell’onestà e della discrezione eretti a canone etico del gentil sesso.
Questa prima trattazione del tema d’amore si articola nell’offerta di alcune pratiche
che esplicitano gli accorgimenti e le astuzie di una strategia amorosa connotata come
gioco, torneo o rappresentazione teatrale. Si tratta di intrecci di parole, gesti, e
sguardi funzionalmente orientati a persuadere la persona amata della verità di questa
comunicazione amorosa
63
. Ritorna il tema della bellezza femminile come ostacolo
alla verità d’amore, poiché
«E’ uno errore dove incorrono infinite donne, le quali per l’ordinario niun’altra cosa
desiderano più che l’esser belle; e perché lo avere molti innamorati ad esse par testimonio della loro
bellezza, mettono ogni studio per guadagnarne più che possono; però scorrono spesso in costumi poco
moderati, e lassando quella modestia temperata che tanto loro conviene, usano certi sguardi procaci,
60
Romagnoli, La donna del Cortegiano, p. 319.
61
Romagnoli, La donna del Cortegiano, p. 324.
62
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LVII, pp. 336-337.
63
Castiglione, Il libro del Cortegiano, introduzione di Quondam, p. 25.
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con parole scurili ed atti pieni di impudenza, parendo lor che per questo siano vedute ed udite
volentieri, e che non tai modi si facciano amare; il che è falso, perché le demostrazioni che si fan loro
nascono da un appetito mosso da opinion di facilità, non d’amore».
64
La retorica del rapporto amoroso, detto o agito che sia, vale altresì per il
cortigiano il quale se ne serve per guadagnare l’amore, per dichiararlo, per
mantenerlo, per battere i rivali e per tenerlo segreto: «Quella via che deve pigliar il
cortegiano per far noto l’amor suo alla donna, parmi che sia il mostrarglielo coi modi
più presto che con le parole; poi far che gli occhi siano que’ fidi messaggeri che
portino l’ambasciata del core».
65
Come dice la «regula universalissima», ovvero
«quella esser vera arte che non appare esser arte»
66
, la strategia amorosa va
abilmente nascosta per poter espletare il proprio fine:
Se pur vole scrivere o parlare [il Cortegiano], farlo con tanta modestia e così cautamente che
le parole prime tentino e tocchino tanto ambiguamente la voluntà di lei che le lassino modo e un certo
esito di poter simulare di non conoscere che quei ragionamenti importino amore, acciò che, se trova
difficultà, possa ritrarsi e mostrar d’aver parlato o scritto ad altro fine per goder quelle domestiche
carezze ed accoglienze con sicurtà, che spesso le donne concedono a chi par loro che le pigli per
amicizia; poi le negano, subito che s’accorgono che siano ricevute per dimostrazion d’amore.
67
Vi deve essere quindi un rapporto di mutua integrazione e specularità tra
l’agire e il detto di cortigiani e donne di palazzo che rispetti le regole di grazia e
sprezzatura proprie di una comunicazione amorosa tutta inscritta nel dominio della
scena. Il cortigiano, sostiene il Magnifico, potrà conquistare la donna amata solo
attraverso l’impiego delle «virtuose condicioni» che le sono proprie come la nobiltà,
il valore nelle lettere, nella musica, la gentilezza, il conversare «pieno di grazia».
«Bisognerà che ’l fin di quello amore sia delle qualità che sono i mezzi per li quali ad
esso si perviene».
68
III. 3. Ars amandi in corte
Il Cortegiano produce, in chiusura del terzo libro, una serie di discorsi intorno
a ragionamenti d’amore omogenei alla sua funzione di messa in scena e
performatività, tanto che si può parlare di una vera e propria ars amandi in corte:
69
«E ’l Magnifico ridendo, “Voi”, disse, “volete tentarmi; troppo sete tutti ammaestrati
in amore; pur, se desiderate saperne più, andate e sì vi leggete Ovidio”».
70
Si noti
come nel corso del Rinascimento si assista ad una certa valorizzazione della
condizione femminile, per cui la donna, da oggetto-materia di conquista maschile,
64
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LVII, pp. 336-337.
65
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LXVI, p. 346.
66
Castiglione, Il libro del Cortegiano, I, XXVI, p. 60.
67
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LXV, p. 345.
68
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LIX, p. 339.
69
Castiglione, Il libro del Cortegiano, introduzione di Quondam, p. 25.
70
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LXXII, pp. 353-354.
25
diventa progressivamente l’elemento motore di una vita sociale complessa, quella
cortigiana, costellata di feste, balli, giochi e tornei. Nonostante la sua libertà sia
ancora assai limitata e la sua soggezione politica ed economica pressoché immutata,
la donna sembra occupare, nel quadro sociale dipinto dal Casaticese, un posto
apparentemente privilegiato in cui la propria posizione di rilievo pare essere favorita
dalle condizioni culturali e storiche dell’epoca. Basti pensare alla notevole influenza
esercitata da una lunga tradizione di poesia amorosa che ha avuto il suo apogeo nelle
opere giovanili di Dante e soprattutto nel Canzoniere di Petrarca sancendo, a fronte
dei numerosissimi trattati di stampo misogino che popolavano la letteratura
dell’epoca, una significativa prosecuzione del culto della donna di epoca cortese-
provenzale.
71
La corte urbinate tratteggiata da Castiglione intende formare e fornire un
prototipo sia di uomo che di donna d’élite, aggraziata e intelligente. Protagoniste del
terzo libro sono le cortigiane, nonché coloro che sottostanno ai continui pregiudizi
antifemministi che permangono lungo il corso del Rinascimento, durante il quale si
registra tuttavia un primo cambiamento di mentalità in cui queste donne potrebbero
rappresentare perfino le avanguardie dell’emancipazione femminile che si va
timidamente delineando
72
.
La signora Duchessa poi soggiunse: «Noi non abbiam causa di dolersi del signor Magnifico,
perché invero estimo che la donna di palazzo da lui formata possa star al paragon del cortegiano ed
ancor con qualche vantaggio; perché le ha insegnato ad amare, il che non han fatto questi signori al
suo cortegiano».
73
Tra le altre qualità che più si convengono alla donna di palazzo rientrano
l’essere istruita all’amore e la capacità di dispensare questo sentimento in corte.
Queste sembrano rientrare fra i pregi e i «valori aggiunti», come sostiene Emilia Pio,
più ambiti che attengono ad un’eccellente formazione femminile. Il medesimo
insegnamento tuttavia spetterebbe anche al cortigiano il quale entra, in questa
sezione conclusiva del trattato, nei meccanismi e nei ragionamenti d’amore che lo
vedono protagonista insieme alla dama di palazzo. Ed è questo, probabilmente,
l’esito più innovativo di Castiglione: la femminilizzazione del maschile
74
che ribalta
l’abituale linea filogina, la quale tende a valorizzare il gentil sesso investendolo di
doti maschili, promuovendo così un avvicinamento degli uomini a modalità
psicologiche e comportamentali femminili e favorendo una possibile intesa e
complementarietà che, nella maggior parte degli interventi, risulta però essere
fondata su un diatribico spirito di confronto fra entrambi i sessi.
Disse allor il signor Gasparo: «Un’altra causa pubblica molto più gli amori che questa». «E
quale?» rispose il Magnifico. Soggiunse il signor Gaspar: «La vana ambizione congiunta con pazzia e
crudeltà delle donne, le quali come voi stesso avete detto, procurano quanto più possono d’aver gran
numero d’innamorati e tutti, se possibil fosse, vorriano che ardessero e, fatti cenere, dopo morte
71
Larivaille, La vita quotidiana delle cortigiane, I, p. 44.
72
Larivaille, La vita quotidiana delle cortigiane, I, p. 46.
73
Castiglione, Il libro del Cortegiano, III, LX, p. 340.
74
Romagnoli, La donna del Cortegiano, p. 316.