Tra utopia e dogma. Intellettuali e scrittori della Ddr dal dopoguerra al XX congresso del Pcus
Oggetto di studio di questa ricerca sono stati i nomi più rappresentativi ed influenti del panorama intellettuale della Zona d’Occupazione sovietica e della Repubblica Democratica Tedesca analizzati, da un punto di vista storico, rispetto alla loro relazione col potere politico della SED, la Sozialistische Einheitspartei Deutschlands. Questo rapporto ovviamente non fu una monolitica realtà, ma un panorama variegato al suo interno, fatto di tante personalità distinte che, di pari passo con l’evoluzione politica, mostrò, seppur lentamente, di sapersi trasformare.
Due sono i contributi importanti che questa ricerca offre: la ricostruzione storica della nascita e della funzione politica dell’ “Unione degli Scrittori”, l’organizzazione di autori antifascisti e socialisti della Repubblica Democratica Tedesca, e un’analisi specifica dei Congressi di questi scrittori, attraverso lo studio dei protocolli gentilmente messi a disposizione dall’ “Archivio dell’Unione degli scrittori tedesca”, appartenente oggi allo “Stiftung Archiv der Akademie der Künste” a Berlino. I congressi si sono rivelati importanti soprattutto in quanto luoghi deputati alla decisione, o quanto meno all’ufficializzazione, della linea politica e artistica da seguire, ma anche in quanto occasioni di confronto e scontro, dal cui studio traspaiono affinità e divergenze di vedute degli autori fra di loro e verso il regime.
Con l’intenzione di mettere in luce lo stretto legame esistente tra il progressivo assoggettamento della creatività artistica alla ragion di Stato e il clima politico e culturale in cui essa si sviluppò, questa ricerca copre nel suo insieme un arco di tempo relativamente lungo, dalla fine della Seconda Guerra mondiale all’anno in cui si concretizzarono le speranze di liberalizzazione suscitate dalla morte di Stalin, il 1956.
Quello che emerge è una progressiva involuzione dei propositi e delle speranze dei primi anni del dopoguerra che lasciarono il passo alla censura, al canone, al dogma. Per comprendere questo passaggio è indispensabile studiare a fondo lo sforzo fatto sin dal 1945 dalla KPD (Partito comunista tedesco) e dalla SED per avallare una politica culturale che vantasse tra i suoi aderenti molti dei più importanti nomi della cultura (come Bertolt Brecht, Julius R. Becher, Anna Seghers, Stefan Heym, Arnold Zweig) e che contemporaneamente si conformasse all’atteggiamento di rigido controllo sugli intellettuali caro all’Unione sovietica. La nuova missione pedagogica ed educativa degli intellettuali “compagni di lotta del partito” non lasciava più spazio all’artista disimpegnato, all’esteta, al decadente, all’esistenzialista, al nichilista. La maggior parte dei membri dell’ “Unione degli Scrittori” del primo dopoguerra, infatti, era stata iscritta al Partito comunista tedesco già prima dell’avvento al potere di Hitler e aveva contribuito alla resistenza, combattendo in patria, arruolandosi nella Guerra Civile Spagnola o collaborando a riviste antifasciste1.
La politica culturale della SED culminò in un successo dal punto di vista dell’adesione della classe intellettuale, senz'altro grazie all'utilizzo indiscriminato della censura come strumento di controllo e coercizione ma, allo stesso tempo e questo aspetto riguarda soprattutto il primo dopoguerra, perché assegnò all’arte e alla letteratura un nuovo ruolo: quello di essere l'elemento portante per l'edificazione della nuova società che sarebbe sorta sulle macerie della Germania Nazista. Concezione, questa, che non mancò di affascinare molti scrittori, in primo luogo lo stesso Bertold Brecht, rendendoli complici, spesso consapevoli, dell’instaurazione del nuovo regime.
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Informazioni tesi
Autore: | Livia Parisi |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2003-04 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Storia |
Relatore: | Mariaclara Castelli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 331 |
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