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INTRODUZIONE
I numerosi testi pubblicati in Germania, dalla caduta del Muro a oggi, sulla ―cultura‖
e la ―politica culturale‖ nella DDR, non esauriscono la necessità di approfondire questo
tema vasto e complesso. Oggetto di studio della presente ricerca saranno i nomi più
rappresentativi ed influenti del panorama intellettuale della ―Zona d‘Occupazione
sovietica‖ prima, e della Repubblica Democratica Tedesca poi, nella loro relazione col
potere politico, quindi con la SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschland, Partito
dell‘Unione socialista), nata nel 1946 dalla fusione tra il Partito socialista e quello
comunista. Questo rapporto ovviamente non fu una monolitica realtà, ma un panorama
variegato al suo interno, fatto di tante personalità distinte e non assimilabili, che, di pari
passo con l‘evoluzione politica, mostrò, seppur lentamente, di sapersi trasformare.
Abbandonando ogni pretesa di esaminare in modo sistematico tutti gli aspetti di
questa ambigua relazione, così come l‘intento di un‘analisi letteraria degli autori e delle
loro opere, ho preferito basare la presente ricerca su due approcci complementari: da un
lato, la ricostruzione storica della formazione, della storia e della funzione politica della
―Unione degli Scrittori‖ (―Deutscher Schriftstellerverband‖, dal 1973
―Schriftstellerverband der DDR‖), organizzazione di autori antifascisti e socialisti della
Repubblica Democratica Tedesca. Dall‘altro, un‘analisi specifica dei Congressi degli
scrittori, attraverso lo studio dei protocolli provenienti dallo ―Archiv des Deutschen
Schriftstellerverbandes‖ appartenente oggi allo ―Stiftung Archiv der Akademie der
Künste‖ a Berlino (abbreviato in nota come: Arch.-AdK). I congressi si sono rivelati
importanti soprattutto in quanto luoghi deputati alla decisione, o quanto meno
all‘ufficializzazione, della linea politica e artistica da seguire, ma anche in quanto
occasioni di confronto e scontro, dal cui studio traspaiono affinità e divergenze di
vedute degli autori fra di loro e verso il regime.
Con l‘intenzione di mettere in luce lo stretto legame esistente tra il progressivo
assoggettamento della creatività artistica alla ragion di Stato, e il clima politico e
culturale in cui essa si sviluppò, questa ricerca offre una panoramica che copre nel suo
insieme un arco di tempo relativamente lungo, dalla fine della Seconda Guerra mondiale
8
all‘anno in cui si concretizzarono le speranze di liberalizzazione suscitate dalla morte di
Stalin, il 1956. La struttura del lavoro è scandita da una ripartizione cronologica:
affronta il tema della ricostruzione materiale e spirituale nel dopoguerra (1945-1948), il
periodo della stalinizzazione che caratterizzò i primi anni Cinquanta, e gli anni di
moderata liberalizzazione tra il 1953 e il 1956. Un attenzione particolare è stata invece
dedicata alla rivolta del 17 giugno 1953, per l‘importanza fondamentale che essa occupa
nella memoria dei tedeschi occidentali e orientali e perché esemplificativa della
posizione di accondiscendenza assunta dalla maggior parte degli intellettuali nei
confronti del regime, ma anche dell‘oggettiva difficoltà di uscire fuori dalle righe.
Durante questo lasso di tempo, gli scrittori della Repubblica Democratica Tedesca si
incontrarono ufficialmente in Congresso quattro volte: ognuna di queste occasioni fu un
vero e proprio ―termometro‖ della condizione storica e sociale. Il primo si svolse nel
fermento innovativo del dopoguerra (1947); il secondo (1950) e il terzo (1952) ebbero
luogo nel periodo della stabilizzazione del potere politico successivo alla fondazione
della RDT e della RFT, caratterizzato dal più smaccato conformismo. Essi segnarono
però passi importantissimi: dapprima la fondazione dello ―Schriftstellerverband‖
nell‘ambito della ―Lega della Cultura per il rinnovamento democratico della Germania‖
(―Kulturbund zur demokratische Erneuerung Deutschlands‖), e poi il raggiungimento
dell‘autonomia anche da quest‘istituzione. La rivolta del 17 giugno 1953 fece da
spartiacque perché vide palesemente emergere le prime diversità di opinione rispetto
alla linea ufficiale: se l‘ ―Unione degli scrittori‖, nel suo complesso, condivise con il
partito la valutazione di ―complotto internazionale controrivoluzionario‖, non pochi
furono coloro che vi videro una grave spaccatura tra governo e lavoratori imputabile
anche ad errori della stessa SED. Infine, l‘ultimo Congresso degli scrittori preso in
considerazione, il quarto, si riunì nel gennaio del 1956, alcuni mesi prima del XX
Congresso del Pcus. Pur senza avere conseguenze rivoluzionarie, nei temi affrontati,
primo fra tutti quello della censura, negli interventi coraggiosi e polemici che vi si
tennero, si dimostrò precursore dei cambiamenti e specchio dell‘atmosfera del tempo: le
rivelazioni sui metodi di governo di Stalin, la rivolta degli operai a Poznan, la
repressione dell‘insurrezione ungherese scateneranno un malcontento e un‘inquietudine
9
che il partito riuscirà a stento ad arginare e solo grazie ad un inasprimento
dell‘intolleranza e della repressione.
Già da una prima analisi, quello che emerge è una progressiva involuzione dei
propositi e delle speranze dei primi anni del dopoguerra: ovviamente si parlerà quindi di
concetti come censura, canone, dogma. Tutto questo innegabilmente fece parte della
relazione tra potere politico e scrittori; ma interessante è indagare come, e fino a che
punto, questi ultimi ne fossero consapevoli e complici. Indubbiamente l‘investimento
emotivo nella trasformazione e nel rinnovamento del popolo che caratterizzò i primi
anni del dopoguerra e che spinse molti autori a confidare nel Socialismo come sistema
politico, fu molto diverso da quello esperito dalla generazione successiva, che vide la
costruzione del Muro di Berlino e l‘ingrandimento a dismisura della rete di controllo
della ―Stasi‖ (forma abbreviata per ―Ministerium für Staatssicherheit‖, Ministero per la
sicurezza statale)
1
. Inoltre, è da tener presente come lo sforzo fatto sin dal 1945 dalla
KPD (Kommunistische Partei Deutschlands, Partito comunista tedesco) e dalla SED per
avallare una politica culturale che vantasse tra i suoi aderenti molti dei più importanti
nomi della cultura (come Bertolt Brecht, Anna Seghers, Arnold Zweig) e che
contemporaneamente si conformasse all‘atteggiamento di rigido controllo sugli
intellettuali caro all‘Unione sovietica, culminò in un successo anche grazie al nuovo
grande ruolo assegnato all‘arte, e alla letteratura in particolare, come elemento portante
per la edificazione del futuro Stato socialista, per la rieducazione degli uomini e il
rinnovamento degli spiriti, al fine di scongiurare il pericolo di una nuova dittatura.
La nuova missione pedagogica ed educativa degli intellettuali ―Kampfgenossen der
Partei‖ (―Compagni di lotta del Partito‖) non lasciava più spazio all‘artista
disimpegnato, all‘esteta, al decadente, all‘esistenzialista, al nichilista: la maggior parte
1
Il Ministero per la Sicurezza statale fu un vero e proprio strumento di controllo sociale della SED,
definito anche ―Stato nello Stato‖ per la capillarità della sua diffusione su tutto il territorio della DDR.
Costituito nel 1950 per sventare piani di agenti segreti volti a sovvertire la Repubblica, rimase per tutti gli
anni Cinquanta sotto controllo dei sovietici. La sua attività di controllo e informazione crebbe nel tempo in
modo smisurato, come è apparso evidente dopo l‘apertura degli archivi nel 1989: gli impiegati ―di
professione‖ del ministero erano circa 1000 nel 1950, 14000 nel 1957, più di 52000 nel 1973 e 91000 nel
1989. A queste cifre vanno però aggiunti migliaia di collaboratori ed informatori ―segreti‖ o
―occasionali‖. Alla guida del Ministero vi furono: Wilhelm Zaisser (1950-1953), Ernst Wollweber (1953-
1957), Erich Mielke (1957-1989). Per approfondire l‘argomento: Jens Giesecke, Die hauptamtlichen
Mitarbeiter des Ministeriums für Staatssicherheit, Berlin, 1978.
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dei membri della generazione ante-guerra della ―Unione degli Scrittori‖, infatti, era stata
iscritta al Partito comunista tedesco già prima dell‘avvento al potere di Hitler e aveva
contribuito alla resistenza, combattendo in patria, arruolandosi a fianco dei sovietici
nella Guerra Civile Spagnola, o collaborando a riviste antifasciste
2
. Gli esponenti della
giovane generazione invece, nati sulle ceneri del nazismo e curati con assidua
attenzione dalla SED, parteciparono, di solito, con slancio alla costruzione della
letteratura socialista tedesca. Le possibilità di dissenso nella DDR degli anni ‗50, erano
minime, ma niente affatto inesistenti: lo dimostrerà il fiorire del dibattito culturale che
precedette il XX Congresso del Partito comunista sovietico. Tuttavia bisognerà
attendere la fine degli anni ‗60 per assistere a vere e proprie contestazioni della politica
culturale imposta dall‘alto. Un Wolf Biermann
3
, all‘epoca di Stalin, non sarebbe potuto
esistere.
Posti in questo modo i termini della questione, non poteva che scaturirne una
domanda: quanto, di quello che veniva deciso dal partito, era effettivamente imposto, e
quanto veniva eseguito ―volontariamente‖? Dove risiedeva quel labile confine tra la
censura statale e la consapevole rinuncia ad una parte di libertà in nome di un fine più
importante? Ovviamente tali domande non avranno mai una risposta univoca: generano
anzi tante interpretazioni diverse, a volte non scevre di pregiudizi o condizionate da
convinzioni politiche.
Nell‘avvicinarmi al problematico rapporto tra scrittori e partito, mi è sembrato
interessante farmi guidare da una curiosità: quella di inquadrare la figura tipo di questo
scrittore - lavoratore all‘interno della sua struttura per così dire sindacale, tutelato nei
suoi diritti - ma anche strumento politico, nella sua funzione di tramite tra i vertici e le
masse. Rinunciando alla consultazione di diari e corrispondenze private, ho preferito
2
Eduard Claudius, Bodo Uhse, Stefan Hermlin parteciparono alla Guerra Civile in Spagna; Alexander
Abush e Anna Seghers scrissero sulla rivista antinazista ―Freies Deutschland‖. Molti altri scrittori invece
collaborarono al comitato per la liberazione della Germania dal nazismo, ―Nationalkomitee Freies
Deutschland‖.
3
Wolf Biermann (1936- ), famosissimo poeta e cantautore nato ad Amburgo si trasferì, nel 1953, nella
DDR. Ispirandosi ad autori come François Villon e Kurt Tucholsky, portò avanti la critica più accesa
all‘involuzione borghese e burocratica che aveva caratterizzato il socialismo della DDR; attraverso l‘ironia
dei suoi versi, stigmatizzò l‘accantonamento dell‘ideale rivoluzionario, la repressione e lo sfacciato
meccanismo di una società sclerotizzata basata sui privilegi; ma pagò la sua intemperanza con l‘esilio. Nel
1976, mentre era all‘ovest per una tournée, ricevette il divieto di rientrare in patria perché giudicato
―nemico dello Stato‖. A questa ordinanza fece seguito una durissima polemica in cui Biermann fu
sostenuto a spada tratta anche da molti membri della stessa ―Unione degli scrittori‖, come Stefan Heym.
11
analizzare il livello formale ed ufficiale di questo rapporto, nel tentativo di leggere tra le
righe, senza cadere nel rischio di facili semplificazioni. Le fonti primarie, ovvero i
protocolli dei congressi, gentilmente messi a disposizione dalla ―Akademie der Künste‖,
hanno costituito un oggetto di studio non semplice, per l‘eloquio ufficiale, spesso
elaborato, che caratterizzava gli interventi degli scrittori in sede di Congresso; per
questo motivo, e per dare la possibilità di un confronto linguistico di notevole interesse,
le citazioni originali sono state affiancate a quelle tradotte.
Questo contributo vuole essere anche un invito a conoscere, indagare e pubblicare in
Italia studi storici su una parte di Germania dimenticata - affondata e ricoperta - che è
però, e questo sarebbe bene non dimenticarlo, alle radici di quella odierna, perché non
esiste presente che non sia strettamente legato al passato. Un invito agli amanti della
letteratura a scoprire questi autori spesso semisconosciuti; a leggere le loro opere, non
tutte di altissimo valore, ma non solo espressione di un dogma.
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CAPITOLO I
LA RICOSTRUZIONE MATERIALE E SPIRITUALE (1945-1948)
I.1 La Germania del dopoguerra.
Berlino, un‟acquaforte di Churchill sulla base di un‟idea di Hitler.
Berlino, quel mucchio di macerie nei pressi di Potsdam.
Sulle strade fatte di macerie, completamente ammutolite, passano rombando nella
notte gli aerei da trasporto del ponte aereo.
L‟illuminazione è così debole che dalla strada si possono di nuovo veder le stelle.
Bertold Brecht, Berlino, un‟acquaforte di Churchill
1
Premesse storiche
L‘8 maggio 1945 a Karlshost venne firmata la capitolazione senza condizioni
dell‘esercito tedesco. Da questo momento in poi, le quattro potenze vincitrici della
guerra iniziarono a mettere in atto, per la Germania, il piano che avevano previsto sin
dalla conferenza di Jalta, nel febbraio dello stesso anno: la costituzione di un ―Consiglio
di controllo alleato‖ incaricato di coordinare la politica delle diverse zone d‘occupazione
in cui sarebbe stato diviso il territorio tedesco.
Sulla sorte della Germania però, Stati Uniti, Unione sovietica, Gran Bretagna e
Francia non erano affatto concordi. Il problema era stato costante oggetto di discussione
negli incontri diplomatici: alla conferenza di Teheran (28 novembre-1 dicembre 1943), a
cui parteciparono Churchill, Roosevelt e Stalin, emerse l‘ipotesi di una spartizione; fu
tuttavia impossibile una delimitazione dei confini delle zone d‘occupazione. A Jalta, in
Crimea, dove i Tre Grandi si incontrarono dal 4 all‘11 febbraio 1945, in prospettiva
della vittoria imminente sull‘esercito tedesco, venne ribadita la richiesta di resa
incondizionata, l‘occupazione per zone da parte delle potenze vincitrici, il
1
Berlino, un'acquaforte di Churchill...; (annotazioni del 27 ottobre 1948) in: Bertoldt Brecht,
Arbeitsjournal 1938-1955. Diario di lavoro, vol. II (1942-1955), a cura di W.Hecht, traduz. it. di B.
Zagari, Torino, Einaudi, 1976.
13
coordinamento della politica d‘occupazione attraverso un ―Consiglio di controllo‖
congiunto. Venne, inoltre, deciso di riconoscere la Francia come quarta potenza
d‘occupazione e venne istituita una commissione per lo studio delle riparazioni per i
danni subiti durante la guerra; ma per quanto riguardava i confini orientali della
Germania e il progettato smembramento, non si raggiunsero accordi definitivi. Dal 17
luglio al 2 agosto, a Potsdam, si tenne l‘ultima conferenza interalleata che aveva ancora
una volta all‘ordine del giorno la soluzione del problema tedesco e la definizione dei
confini orientali della Polonia. Per quanto riguardava la Germania, vennero enunciati gli
obiettivi dell‘occupazione: la liquidazione del Partito nazionalsocialista e delle
organizzazioni da esso controllate; il disarmo, la smilitarizzazione e il controllo
dell‘industria bellica; la ricostruzione della vita politica tedesca su basi democratiche.
Venne poi creato un Consiglio dei ministri degli Esteri incaricato di risolvere i problemi
politico-diplomatici della questione, quindi, in primo luogo, la stipulazione di un trattato
di pace.
Il nuovo equilibrio di forze era stato determinato dall‘esito delle operazioni militari; i
confini delle quattro zone d‘occupazione, concordati inizialmente come temporanei,
divennero definitivi: all‘Unione sovietica spettò la parte centro e nordorientale della
Germania, alla Gran Bretagna quella centrosettentrionale, agli USA quella meridionale e
centrale e, infine, dalla zona americana venne ricavata quella francese, corrispondente
alla regione della Saar e altri territori sulle rive del Reno.
Già sul finire della guerra, tuttavia, si erano delineati due diversi atteggiamenti da
parte delle potenze vincitrici: da un lato, l‘interesse dell‘Unione sovietica e della
Francia, volto ad impedire un revanchismo tedesco e ad ottenere riparazioni; dall‘altro,
quello americano e inglese che tendeva a vedere in una ―riabilitazione‖ della Germania
tra le altre nazioni la soluzione migliore per evitare risentimenti e garantire stabilità
internazionale.
Tra le varie questioni controverse in primo luogo vi era infatti quella delle
riparazioni: l‘Unione sovietica, avendo subìto danni di maggiore entità, aveva preteso, a
Jalta, lo stanziamento, da parte della Germania, di 20 miliardi di dollari, metà dei quali
sarebbero stati a lei destinati; la controproposta che gli Stati Uniti avanzarono alla
14
conferenza di Potsdam prevedeva, invece, che ognuna delle potenze occupanti esigesse
le riparazioni che le spettavano dalla propria zona di competenza. Su questo, come su
altri problemi, il ―Consiglio di controllo alleato‖ per la Germania non seppe trovare un
accordo; le posizioni, anzi, andarono sempre più radicalizzandosi in concomitanza con
l‘inasprimento della situazione politica internazionale.
Uno dei pochi successi della politica unitaria verso la Germania fu il processo contro
i capi nazisti colpevoli di crimini di guerra e contro l‘umanità svoltosi a Norimberga dal
20 novembre 1945 al 1 ottobre 1946.
Anche la denazificazione, punto d‘interesse in comune, si svolse infatti con ritmi e
risultati diversi. In particolare, nella zona sovietica, si assistette ad un ricambio nelle
strutture amministrative che portò al licenziamento di circa mezzo milione di persone
dal passato nazista. Fu soprattutto però attraverso l‘eliminazione del monopolio
capitalistico di banche e grandi industrie che i comunisti pensarono di aver distrutto le
basi del nazismo.
La “Zona d‟Occupazione sovietica”
Il destino delle zone d‘occupazione fu quindi molto diverso, ovunque accomunato
però, alla fine delle ostilità, dalla paralisi della vita amministrativa e dell‘attività
economica e da una generale crisi alimentare.
Nella ―Zona d‘Occupazione sovietica‖ (Sowjetische Besatzung Zone, SBZ) la
situazione era particolarmente grave: in questo territorio circa la metà delle infrastrutture
economiche e del potenziale industriale (in misura molto maggiore rispetto all‘ovest)
erano andati distrutti durante la guerra; durante i primi anni del dopoguerra molti degli
impianti esistenti o ricostruiti furono di fatto occupati dall‘Unione sovietica per il
risarcimento dei danni provocati durante la Seconda Guerra mondiale. Ulteriori disagi
erano inoltre costituiti da un forte e provvisorio flusso migratorio, essendo questo
territorio la prima tappa dell‘esodo delle popolazioni tedesche provenienti dai territori
orientali ceduti alla Polonia (la Slesia, ricco bacino industriale e minerario).
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La ―Zona d‘Occupazione sovietica‖ fu quella che subì le maggiori trasformazioni
economiche e politiche. Per ordine dell‘ ―Amministrazione militare sovietica in
Germania‖ (―Sowjetische Militär-Administration in Deutschland‖, SMAD) - il cui capo
supremo, il generale Ţukov, era anche comandante delle forze d‘occupazione - con
l‘ordine n.2 del 10 giugno 1945 veniva consentita la costituzione di partiti, sindacati e
associazioni antifasciste. Vennero perciò ricostituiti il Partito comunista (KPD) e quello
socialdemocratico (SPD), seguiti a breve distanza dall‘ Unione cristiano-democratica
(CDU) e dal Partito liberaldemocratico (LDPD). I quattro partiti si unirono ben presto
nel ―Fronte Unitario dei partiti antifascisti e democratici‖ (Einheitsfront antifaschistisch-
demokratischer Parteien), in seguito chiamato anche ―Blocco antifascista‖, collegato
idealmente alla tradizione della lotta dei Fronti Popolari, con l‘intenzione di
sottolinearne il carattere antifascista e democratico piuttosto che quello popolare e
socialista.
L‘ordine n.2 della SMAD consentiva inoltre la rinascita dei sindacati che ebbero però
uno sviluppo molto divergente rispetto a quelli della Germania Occidentale. Nella SBZ e
a Berlino Est venne fondata la ―Libera lega dei Sindacati tedeschi‖ (Freier Deutscher
Gewerkschaftsbund, FDGB), come unione centrale costituita dall‘alto verso il basso, che
assunse sempre più la funzione di ―cinghia di trasmissione tra il vertice e le masse‖ e
che, accettando l‘incontestabile ruolo-guida del partito e adattandosi alla nuova linea di
ricostruzione economica, fallì nel suo compito principale di difesa degli interessi dei
lavoratori. La stessa funzione di fiancheggiatrice della SED, venne svolta dalla ―Freie
Deutsche Jugend‖ (FDJ) organizzazione giovanile di massa, fondata nel 1946 con
l‘intento di procedere alla denazificazione nel campo dell‘educazione giovanile.
L‘amministrazione sovietica favorì l‘adozione di misure - la riforma agraria e quella
industriale - che avrebbero definitivamente segnato lo sviluppo divergente della
Germania Orientale rispetto a quella Occidentale e l‘assimilazione del suo destino a
quello delle altre Repubbliche Popolari dell‘Europa dell‘Est. Il processo di
denazificazione andò di pari passo con un sempre maggiore controllo pubblico
dell‘economia: si procedette all‘esproprio di fabbriche e possedimenti terrieri
appartenuti a criminali di guerra o a nazisti di primo piano, all‘esproprio di latifondi
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superiori ai cento ettari, con l‘assegnazione dei 2/3 della terra a circa
cinquecentoventimila contadini; alla statalizzazione delle risorse del sottosuolo e delle
miniere; all‘allontanamento dai campi della cultura e dell‘educazione del personale con
passato nazista.
Le riforme economiche e sociali della Zona Sovietica procedettero comunque con
ritmi diversi rispetto a quelle delle altre Repubbliche popolari, nelle quali la
pianificazione economica e la nazionalizzazione dei mezzi di produzione vennero
introdotte, sin dall‘inizio, con maggior determinazione e rapidità.
La nascita della SED
A partire dall‘autunno 1945, e soprattutto dopo la sconfitta alle elezioni parlamentari
di novembre dei partiti comunisti in Ungheria e Austria, il comitato centrale della KPD
cominciò a reclamare una rapida unificazione con il Partito socialdemocratico
(―Sozialdemokratische Partei Deutschlands‖, SPD), che rappresentava il concorrente più
importante da eliminare per conquistare il potere. Dopo pesanti pressioni, il 21 e 22
aprile 1946 si riunirono i delegati dei due partiti della zona sovietica
2
per la costituzione
del Partito socialista unitario (―Sozialistische Einheitspartei Deutschland‖, SED), il
quale, pur avendo a capo Walther Ulbricht, l‘uomo ―forte‖ della KPD, non si proponeva
come la prosecuzione della KPD stessa, né come una semplice fusione di due partiti,
bensì come ―rinascita del movimento dei lavoratori tedeschi‖. La prova di quanto poco
democratica fosse stata questa decisione fu il rifiuto, da parte della SMAD, di sottoporla
al voto popolare, mentre l‘unico referendum svoltosi a Berlino Ovest aveva rivelato che
l‘82% degli iscritti alla SPD era contrario all‘unificazione.
Fino al 1948 la SED non fu un partito di tipo leninista, bensì un partito di massa che
contava circa due milioni di iscritti, tra i quali socialdemocratici oltre che comunisti, e
che nella sua ideologia si riferiva non al modello rivoluzionario bolscevico, bensì al
―besonderer deutscher Weg zum Sozialismus‖(la particolare via tedesca al socialismo).
2
Questo processo non riguardò infatti la SPD delle zone occidentali che, guidata da Schumacher, si
oppose strenuamente al progetto di unificare i due partiti.
17
Otto Grotewohl (1894-19664), presidente del Consiglio dei ministri, in occasione della
conferenza di fondazione del partito, disse:
Siamo dell‘idea che la soluzione di imporre il sistema sovietico alla Germania sarebbe
sbagliato, poiché questo percorso non corrisponde alle attuali condizioni di sviluppo in
Germania. Siamo invece convinti che gli interessi determinanti del popolo tedesco
nell‘attuale situazione, impongono un altro cammino per la Germania, il cammino della
costituzione di un regime democratico, antifascista, di una repubblica parlamentare
democratica, con tutti i diritti e le libertà per il popolo.
3
Non diversamente, Ulbricht affermava che il cammino verso il socialismo non era lo
stesso per ogni paese. Almeno formalmente, quindi, la SED si riconosceva nella
democrazia e non faceva alcun riferimento al ruolo-guida del Partito comunista
dell‘Unione sovietica. Consapevole della delicata situazione politica, aveva infatti
definito l‘ordinamento ―democratico-antifascista‖ come un momento di passaggio in cui
venivano poste le basi per un sistema ―democratico-popolare‖ o socialista.
Il fallimento di una politica unitaria per la Germania
Le riforme del 1945/‘46 avevano quindi gettato le basi di una struttura
socioeconomica della ―Zona d‘Occupazione sovietica‖ radicalmente diversa quella delle
zone occidentali; ma fu soprattutto dopo il fallimento della ―Conferenza dei ministri
degli Esteri‖ riunitasi a Londra nel 1947 (ennesimo tentativo di trovare un accordo tra
potenze vincitrici per gestire il problema tedesco) che venne delineato il destino
divergente delle due Germanie.
3
―Wir sind der Auffassung, daß der Weg, Deutschland das Sowjetsystem aufzuzwingen, falsch wäre, denn
dieser Weg entspricht nicht den gegenwärtigen Entwicklungsbedingungen in Deutschland. Wir sind
vielmehr der Auffassung, daß die entscheidenden Interessen des deutschen Volkes in der gegenwärtige
Lage für Deutschland ein einen anderen Weg vorschreiben und zwar den Weg der Aufrichtung eines
antifaschistischen, demokratischen Regimes, einer parlamentarisch-demokratischen Republik mit allen
Rechten und Freiheiten für das Volk.‖ Hermann Weber, Aufbau und Fall einer Diktatur. Kritische
Beiträge zur Geschichte der DDR, Köln, Bund-Verlag, 1991, cit.p. 28.
18
Se nel periodo immediatamente successivo alla fine della guerra l‘alleanza bellica
riuscì a mantenere una parvenza di cooperazione, l‘anno 1947 fece da spartiacque: il
primo gennaio, a riprova del fallimento della politica del ―Consiglio Interalleato‖, la
zona inglese e americana vennero fuse in una Bizona (alla quale l‘8 aprile 1949 si
aggiunse anche la zona francese, dando vita così al primo nucleo della Germania
Federale); mentre nel marzo 1947, con l‘enunciazione della dottrina del presidente
Truman, gli Stati Uniti affermavano davanti al mondo che sarebbero scesi in campo per
aiutare i popoli liberi che si opponevano ai tentativi di egemonia da parte di minoranze
armate.
Nello stesso anno, il piano Marshall accelerò la nascita delle sfere d‘influenza. Contro
il pericolo di un‘espansione sovietica in Europa, la politica americana riteneva
indispensabile la costruzione di un blocco europeo stabile e indipendente, che non
poteva prescindere dal raggiungimento di una certa stabilità economica e di un‘unità
politica.
4
L‘―European Recovery Programm‖, con cui l‘America offriva aiuti economici
per la ricostruzione dell‘Europa, venne interpretato dai sovietici come richiesta di aprire
l‘economia europea alla penetrazione del capitalismo americano; per questo a Parigi, in
sede di discussione del progetto, il delegato sovietico si ritirò dal meeting, costringendo
la Polonia e la Cecoslovacchia a fare altrettanto.
D‘altra parte gli Stati Uniti, temendo che la politica sovietica fosse finalizzata al
tentativo di incorporare tutta la Germania nella sua sfera d‘influenza, si orientarono
verso l‘accelerazione del processo di unificazione delle zone occidentali, ―anche a
rischio di una divisione della Germania.‖
5
La tensione raggiunse il culmine nel 1948 quando, per creare le premesse di una
stabilità finanziaria necessaria alla ripresa economica, venne introdotta nella Germania
occidentale una Riforma Monetaria (21 aprile 1948). L‘emissione del nuovo Marco
Tedesco, volta ad arrestare l‘inflazione e la speculazione economica che si erano
accentuate negli ultimi anni, equivaleva, per i sovietici, al tentativo di favorire la
costituzione di un vero e proprio Stato sui territori occupati dagli occidentali, progetto
4
Richard Crokatt, Cinquant‟anni di Guerra Fredda, Roma, Salerno Editrice, 1997, cit. pp. 116-117.
5
Hagen Schulze, Storia della Germania, Roma, Donzelli editore, 2000, cit.p. 195.
19
che ovviamente contraddiceva i precedenti accordi. La loro reazione non si fece
attendere e diede il via alla ―politica delle prove di forza‖: il 24 giugno del 1948 vennero
interrotti tutti i collegamenti terrestri e fluviali tra la zona occidentale e Berlino. Il
―Blocco di Berlino‖ durò undici mesi, durante i quali la città venne rifornita grazie ad un
imponente ponte aereo organizzato da americani e inglesi.
La situazione di esasperata tensione in politica estera si ripercosse sulla politica
all‘interno del blocco sovietico. In seguito alla crisi jugoslava, l‘URSS modificò la sua
linea: ―la dottrina delle diverse vie per il socialismo‖ divenne sinonimo di nazionalismo
e la SED subì una serie di cambiamenti che l‘avrebbero trasformata in un partito di ―tipo
nuovo‖. La trasformazione consistette nell‘eliminazione dalla Direzione degli elementi
socialdemocratici, coi quali fino ad allora si era collaborato, e nel rinnegamento della
formula della ―particolare via tedesca al socialismo‖ in favore di una condotta sempre
più ispirata e determinata dal ruolo-guida del Partito comunista dell‘Unione sovietica.
La contrapposizione fra Stalin e Tito offrì quindi al partito di Ulbricht la prima
occasione per schierarsi apertamente e per intraprendere un‘epurazione all‘interno delle
fila del partito ―dagli elementi ostili e degenerati‖, (―von feindlichen und entarteten
Elementen‖), come recita una decisione del Consiglio direttivo del partito (Beschluß des
Parteivorstands) del 29 luglio 1948, ovvero dai socialdemocratici, sindacalisti e
comunisti d‘opposizione. L‘importazione del modello sovietico - l‘introduzione della
gestione centralizzata e gerarchica del potere, del monopolio della formazione e
dell‘informazione da parte dello Stato e del principio secondo cui il partito ha sempre
ragione – gettò definitivamente le basi necessarie per fare della SED un partito alla
guida dello Stato.
Con lo scoppio della ―guerra fredda‖ e l‘acuirsi della tensione internazionale,
ciascuna delle potenze occupanti cercò di trasporre il proprio sistema politico-sociale
nella zona assegnatale, facendo degenerare le aree di occupazione in veri e propri
blocchi di potere. Nella zone occidentali venne così restaurato il capitalismo e la
democrazia parlamentare, in quelle orientali il sistema di economia pianificata e la
dittatura stalinista.