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"Sempre oltre et oltre aspirando": la nozione di 'superamento' nei primi scritti di Giordano Bruno (1582-1585)

Perché la nozione di superamento in Bruno? Dove e come è possibile rintracciare tale argomentazione nel suo pensiero? Questo lavoro propone una rilettura - inedita nel panorama della critica bruniana - delle opere latine e volgari del primo quadriennio della speculazione di Giordano Bruno (1582-1585) alla luce di un tema che, a volte in maniera esplicita ed altre in maniera implicita, può essere adottato come vero e proprio leitmotiv della sua filosofia. Ad un’attenta lettura delle opere analizzate siamo in grado di scorgere tracce dell’idea di superamento sia confrontando le riflessioni della «musa nolana» con quelle della tradizione da cui essa intende muovere, sia analizzandole più a fondo al loro interno: elementi del suo campo semantico, dunque, possono essere recuperati tanto da un’analisi esterna delle novità della filosofia bruniana quanto da un approfondimento intrinseco al cuore di essa. Da qui la suddivisione del presente lavoro in quattro capitoli, volti a discutere e ad esaminare tali questioni da molteplici punti di vista: cosmologico, etico, gnoseologico e «metafisico». All’interno del sistema di pensiero bruniano tale quadripartizione non appare mai in maniera così netta: si è cercato, così, di isolare tali campi speculativi nella maniera più fedele e più corretta possibile, visto che - come si fa notare anche all’interno del testo - le trattazioni che il Nolano ci offre implicano spesso una stretta connessione dei quattro livelli, un legame tanto forte da risultare, a tratti, addirittura indissolubile. Il compito che questa tesi si propone di portare a termine è proprio quello di rintracciare tutti quei passaggi in cui la tematica del superamento viene affrontata da Bruno, oppure i luoghi laddove essa sembra emergere accidentalmente: nel corso dei capitoli si cercherà di tessere un’originale trama, capace di connettere tra di loro i nodi fondamentali di ciascuna delle opere prese in esame. Alla singolarità della lettura, però, non può non accompagnarsi un attento e accurato studio bibliografico: è vero che non si trovano studi specifici riguardo l’argomento del superamento in Giordano Bruno, ma è vero anche che sul pensiero del Nolano la letteratura critica è molto vasta. Con il supporto di questa si cercherà di approfondire al meglio le singole trattazioni, senza intaccare però la novità della loro interconnessione. Particolarmente efficace si rivelerà il contributo della rivista «Bruniana & Campanelliana»: i numerosi saggi e gli interessanti articoli in essa contenuti si concentrano, infatti, sull’analisi dei vari aspetti del pensiero bruniano, toccando - una per una - tutte le tematiche ritenute centrali all’interno di esso.
Un tentativo estremo di superamento accomuna la persona di Giordano Bruno a quella figura che, più di tutte le altre uscite dalla sua stessa penna, sembra avvicinarsi alla sua natura: il «furioso». Ad accomunarli è l’attributo dell’«eroicità», il quale permette un connubio perfetto tra praxis e conoscenza, tra azione e contemplazione. Come Miguel Angel Granada, possiamo anche noi paragonare il percorso del furioso al «volo» di Ulisse nel canto XXVI dell’Inferno dantesco: entrambi muovono, infatti, dalla considerazione della propria «semenza», consapevoli di non essere stati creati «a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza» . Il tentativo di oltrepassare i confini dell’umano termina, per Ulisse, con il «pianto» di chi non è riuscito a comprendere l’operato divino con le categorie intellettuali proprie di un essere umano: il suo è, in definitiva, un «folle volo» verso l’ignoto, destinato ad arrestarsi e a non concludersi altrimenti che «com’altrui piacque» . Per Giordano Bruno si possono trarre le stesse conclusioni? Quale sarà l’esito dei vari tentativi di superamento che egli effettuerà nei diversi terreni da lui solcati? È proprio a tali quesiti che si è cercato di dare risposta.
Il limite ontologico in cui incappa il furioso bruniano fissa la meta del suo cammino: lungi dal rappresentare il fallimento della sua indagine, esso indica il punto più alto di tutta la sua ricerca. Tra finito ed infinito c’è un abisso, di fronte al quale non c’è modo di poter compiere il superamento estremo. Un ricerca lunga e piena di insidie, ma che alla fine non si è affatto rivelata inutile, né tantomeno priva di rivelazioni positive: l’ombra argina le nostre pretese ma, nello stesso tempo, ci permette di spingere la nostra mente, anche se solo per un istante, oltre la legge universale della «mutazion vicissitudinale», al di là della finitezza della nostra dimensione. Scrive Michele Ciliberto: «L’ombra, lo specchio, il simulacro non riduce la sproporzione fra ente e accidente, tempo ed eternità, fra Dio e uomo: ma scandendone i caratteri e le forme si costituisce - e non è poco - come il terreno, nell’infinito, di una comunicazione, di un vincolo che riscatta al massimo, senza mai annientarlo, il limite dell’uomo».

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I Introduzione «Ma perchè non smetti di lottare?» «E' l'ignoto che m'atterrisce. Che sia impossibile sapere. Ma perchØ, perchØ non è possibile cogliere Dio coi propri sensi? Per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse e preghiere sussurrate, e incomprensibili miracoli? PerchØ io dovrei avere fede nella fede degli altri? Che cosa sarà di coloro i quali non sono capaci nØ vogliono avere fede? PerchØ non posso uccidere Dio in me stesso? PerchØ continua a vivere in me sia pure in modo vergognoso e umiliante, anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perchØ nonostante tutto egli continua a essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi? Io vorrei sapere - senza fede, senza ipotesi: voglio la certezza! - voglio che Iddio mi tenda la mano, e scopra il suo volto nascosto; e voglio che mi parli» «Il suo silenzio non ti parla?» «Lo chiamo e lo invoco, e se egli non risponde io penso che non esiste» «Forse è così; forse non esiste!» «Allora la vita non è che un vuoto senza fine. Nessuno può vivere sapendo di dover morire un giorno come cadendo dal nulla, senza speranza» * Sarà il pensiero fisso di una tesi di laurea: essa chiude definitivamente un periodo tanto lungo quanto fondamentale nella vita - scolastica e non solo - di ciascuno di noi; sarà l’amore per il cinema: questo, durante la visione di un film, non ti fa arrestare il pensiero sulle immagini che la pellicola fa correre davanti ai tuoi occhi, ma porta la tua mente lontano, la spinge oltre ciò che vede e fa sì che essa si interroghi su qualcosa di altro, di diverso, a volte di completamente estraneo. La somma di questi due fattori è ciò che ha ispirato il ricorso a quest’intenso dialogo cinematografico: ho pensato che queste parole potessero racchiudere uno spirito religioso particolare, talmente opposto a quello del filosofo nolano da meritare un accostamento con esso. Un’opposizione tanto netta da giustificare la scelta dell’argomento trattato nel percorso che, tappa dopo tappa, si fa largo lungo queste pagine: il superamento. Antonius Blok è svuotato dalla vita: il viaggio di ritorno dalla crociata in Terra Santa diventa per lui l’occasione di una resa dei conti con la propria esistenza. Il panorama in cui si imbatte durante il cammino è desolante: è quello del secolo XIV, devastato dalla grande ondata di peste del 1348. ¨ su questo sfondo che si inseriscono le sue considerazioni, è qui che trova spazio la confessione che egli pensa di fare ad un semplice sacerdote ma che, in realtà, scoprirà di aver fatto alla Morte in persona, con la quale sta portando avanti l’ultima azione sensata della sua vita: una partita a scacchi. * Ingmar Bergman, Det Sjunde Inseglet (Il Settimo Sigillo, 1956), confessione di Antonius Blok con la Morte.

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Parole chiave

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