Nerone in Campania
Ultimo della dinastia Giulio-Claudia, Nerone è ricordato come il tiranno che “suonava la lira mentre Roma bruciava”, come l'assassino di sua madre, come l'imperatore che diede i cristiani in pasto alle belve nel circo; è stato associato con la Bestia che corrisponde al numero 666 nell'Apocalisse, tramandato come esempio di malcostume e spregevolezza.
Ma chi era in realtà costui, perché un imperatore come lui, che non guidò mai un esercito, che preferiva scrivere poesie, suonare, cantare davanti ad un pubblico, che cenava con i filosofi e che partecipava alle corse dei carri è stato dipinto come uno dei più spregevoli tiranni della storia?
La risposta a questo quesito e l'analisi dell'uomo Nerone non possono non prescindere dalla visione che di lui propongono le tre fondamentali fonti storiche a noi pervenute, ovvero gli Annales di Tacito, la biografia di Svetonio e gli accenni di Cassio Dione.
Da questi autori si evince che la malevolenza nei confronti di Nerone nasce soprattutto dalla naturale ostilità degli esponenti della vecchia classe dirigente romana: essi, depositari del modus vivendi che aveva contraddistinto per secoli l'Urbe, volevano un capo militare che si conformasse alle leggi non scritte del mos maiorum, il codice morale tradizionale dei romani più stimati. Fu per questo che alla sua morte una politica ufficiale di damnatio memoriae avrebbe garantito che sopravvivessero ben poche testimonianze a lui favorevoli e che l'opera di un imperatore fosse imprescindibilmente ricordata dai posteri come una quattordicennale tirannia vissuta tra voluttuosi sprechi ed efferati omicidi.
Il mio lavoro sarà quindi rivolto a definire un'immagine più coerente dell'uomo Nerone, in sintonia con quelli che sono gli orizzonti posti dalla storiografia moderna, partendo in primo luogo da un'analisi approfondita della complessa personalità dell'imperatore e dedicando particolare attenzione al suo spiccato temperamento artistico e all'innata passione per l'arte e per la cultura greca che costituiscono il filo conduttore dell'approccio dell'imperatore al principato.
Guarderò agli spettacoli da lui apparecchiati e alle numerose esibizioni che concesse al pubblico, in particolare quella di Napoli nel 64 d.C. che, oltre a segnare il vero e proprio debutto artistico del princeps, spiega le motivazioni dell'importanza che il suolo campano ed in particolare la città partenopea rivestirono per l'imperatore.
La presenza di Nerone in Campania, d'altra parte, costituisce lo spunto per un'analisi dettagliata del suo operato sotto il profilo ludico, edilizio e amministrativo.
La regione fu amata dall'imperatore più di ogni altra, una personalità artistica ed eclettica come quella di Nerone non poteva non essere totalmente coinvolta dalla bellezza dei fertilissimi paesaggi formatisi da millenni di depositi vulcanici e caratterizzati da un clima dolce e assolato, nonché dalla lunga tradizione di spettacoli e dalla verve culturale da sempre imprescindibilmente legata al suolo campano.
L'opera di evergetismo dell'imperatore in Campania si realizzò con l'istituzione dei ludi, con pompose rappresentazioni e con la costruzione di edifici pubblici e privati; questa miscellanea di fattori costituì una fondamentale occasione di crescita urbanistica e sociale per tutta la regione.
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Informazioni tesi
Autore: | Angelo Lo Conte |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Napoli - Federico II |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze dei beni culturali |
Relatore: | Mauro De Nardis |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 46 |
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