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Lo specchio e l'occhio in "L'occhio" e "Invito a una decapitazione" di Vladimir Nabokov

Invito a una decapitazione e L’occhio: il secondo romanzo più commentato dopo Lolita a confronto con il romanzo meno conosciuto e commentato di Vladimir Nabokov. L’occhio: sfortunatamente, o per mia fortuna, non ho trovato molto e ho constatato del silenzio e del disinteresse da sempre partecipi della sua storia. Due soggetti-oggetti mi hanno attratto in particolare: lo specchio e l’occhio; ho deciso che fornissero il nucleo essenziale della mia indagine personale. Mi sono accorta che il primo orientava l’universo fittizio della narrazione dando vita a un “mondo-specchio”. Ho avvicinato la novella all’indagine psicoanalitica lacaniana e ho raccolto alcuni termini-chiave, narcisismo, identificazione, misconoscimento, funzione morfogenetica dell’immagine speculare, deformazione, frammentazione, unificazione e prevalenza della visione, che, insieme a un’indagine mitologica, antropologica e semiologica, mi hanno fornito strumenti per approfondire il rapporto fra lo specchio e l’uomo nella dimensione reale e in quella immaginaria. ho riflettuto sul significato della visibilità, sul concetto di sguardo e sulla distinzione fra esso e l’occhio, ponendomi, dunque, una domanda fondamentale: esiste forse un nesso fra l’atto di suicidio e la morte, quindi il divenire “irrappresentabile” del personaggio, e il suo sorgere come doppio di se stesso e occhio, ossia illusione della coscienza del vedersi vedere? Dove si pone lo sguardo, l’oggetto a più misterioso della teoria lacaniana, una volta che Smurov sorge come occhio, ossia coscienza che vuole comandare il campo scopico? Da qui il dubbio che il vero occhio dell’artista che controlla la propria opera non sia altro che l’occhio “divino” e iper-consapevole di Nabokov. Fra i termini-chiave dell’estetica, dell’etica e della metafisica nabokoviana vi sono memoria, immaginazione e percezione. Mi sono chiesta, a questo punto, dove mi avrebbe portato un approfondimento sullo statuto cognitivo della percezione visiva dal momento che l’autore, attraverso i suoi romanzi, invita i lettori a “vedere meglio”.Mentre arricchivo di nuovi collegamenti la prima parte della mia ricerca, leggevo, intanto, Invito a una decapitazione e fu sorprendente scoprire quanto fosse interessante confrontare i due romanzi. Li accomuna una stessa centralità del tema del doppio, entrambi rappresentano la parabola di un artista, e, di nuovo, entrambi contengono il tema della realtà dell’arte, della finzione letteraria, e del suo rapporto con la “realtà” ad essa esterna, che investe il ruolo dello specchio. Dopo aver intercettato il tema principale di Invito, l’aldilà, mi sono dedicata a comprendere e tradurre il significato di cosmologia “ambidestra”, espressione utilizzata da Barton Johnson per definire e distinguere il tipo di universo narrativo del romanzo da quello dell’Occhio, un universo apparentemente autosufficiente, in concreto, claustrofobico. Esiste una via d’uscita che può condurre Cincinnatus fuori dall’oppressione della realtà? Che significato ha l’aldilà? Un altro tipo di specchio concentrò la mia attenzione: quello dell’armadio che porta con sé il proprio riflesso privato. Mi chiesi: l’espressione “specchio congelante” mutuata da Eco può essere efficace nel suggerire ai lettori una certa interpretazione dell’immagine impressa che esso supporta, di un certo carattere di questa immagine simile a una lastra fotografica, di un certo operare della memoria e di una sua certa irruenza nella storia reale dell’autore e immaginaria nel romanzo? Per quanto riguarda l’occhio, non ho avuto alcun dubbio: la situazione esistenziale del prigioniero Cincinnatus all’interno della propria cella mi ha fatto pensare immediatamente agli effetti del Panopticon teorizzati da Bentham e ripresi da Foucault, oltre che alla condizione dell’artista intellettuale nel regime totalitario, regime improntato sull’osservazione onnipresente di tutti i cittadini, della Russia staliniana degli anni Trenta. Ma l’occhio mi è parso, anche in questo romanzo, metafora della presenza autoriale, di “colui che sa”, di colui che, al contempo vulnerabile e invulnerabile, si erge al di sopra degli altri protetto nella propria torre d’avorio; la presenza demiurgica ed invisibile, eppure personificata e nascosta di Nabokov, mutuata dalla tecnica dei grandi maestri della pittura.

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6 1) L’occhio. Note introduttive For I do not exist: there exist but the thousands of mirrors that reflect me. With every acquaintance I make, the population of phantoms resembling me increases […] I alone do not exist. Smurov, however, will live for a long time 1 . Nabokov, The eye Il romanzo e la trama L’occhio, il quarto romanzo di Vladimir Nabokov, fu composto a Berlino in russo e pubblicato lo stesso anno, il 1930, sotto il titolo Sogliadatai. Nel 1965 ne uscì la traduzione in inglese per opera dell’autore stesso, che, come suggerisce nella Prefazione al testo, trasformò il titolo, “antico termine militare che significa ‘spia’ o ‘osservatore’” 2 , in The eye, appunto L’occhio. Il risultato di una tale operazione fu sia l’inserimento di un termine metonimico che comprende i significati russi originali, sia il configurarsi di un’equivalenza fonetica e, come vedremo più avanti, semantica, fra eye, occhio, e il pronome personale I, io. Vista la sua lunghezza, è facile considerare L’occhio una novella, e fu, infatti, inizialmente inserita all’interno di una raccolta di storie brevi uscita nel 1938, alla quale diede il titolo; soltanto in seguito, fu elevata al rango di romanzo, ovvero nella sua versione inglese del 1965, versione che rappresentò per Nabokov uno degli sforzi maggiori di riscrittura delle proprie opere dal russo all’inglese. Il romanzetto non destò in sé altro che un modesto interesse fra i critici, sia al momento della sua prima apparizione, sia alla sua più recente 1 Nabokov, 1990, p. 103. Trad. it. in Nabokov, 2011 4 , p. 100: “Si sa che non esisto: esistono solo I mille specchi che mi riflettono. A ogni mia nuova conoscenza, aumenta il popolo dei fantasmi che mi rassomigliano. […] Io solo non esisto. Smurov, però, vivrà ancora a lungo”. 2 Ibidem, 1990, p. 9.

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semiotica
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