6
1) L’occhio. Note introduttive
For I do not exist: there exist but the thousands of
mirrors that reflect me. With every acquaintance I
make, the population of phantoms resembling me
increases […] I alone do not exist. Smurov,
however, will live for a long time
1
.
Nabokov, The eye
Il romanzo e la trama
L’occhio, il quarto romanzo di Vladimir Nabokov, fu composto a Berlino in
russo e pubblicato lo stesso anno, il 1930, sotto il titolo Sogliadatai. Nel 1965 ne
uscì la traduzione in inglese per opera dell’autore stesso, che, come suggerisce
nella Prefazione al testo, trasformò il titolo, “antico termine militare che significa
‘spia’ o ‘osservatore’”
2
, in The eye, appunto L’occhio. Il risultato di una tale
operazione fu sia l’inserimento di un termine metonimico che comprende i
significati russi originali, sia il configurarsi di un’equivalenza fonetica e, come
vedremo più avanti, semantica, fra eye, occhio, e il pronome personale I, io. Vista
la sua lunghezza, è facile considerare L’occhio una novella, e fu, infatti,
inizialmente inserita all’interno di una raccolta di storie brevi uscita nel 1938,
alla quale diede il titolo; soltanto in seguito, fu elevata al rango di romanzo,
ovvero nella sua versione inglese del 1965, versione che rappresentò per
Nabokov uno degli sforzi maggiori di riscrittura delle proprie opere dal russo
all’inglese. Il romanzetto non destò in sé altro che un modesto interesse fra i
critici, sia al momento della sua prima apparizione, sia alla sua più recente
1
Nabokov, 1990, p. 103. Trad. it. in Nabokov, 2011
4
, p. 100: “Si sa che non esisto: esistono solo I mille specchi che mi
riflettono. A ogni mia nuova conoscenza, aumenta il popolo dei fantasmi che mi rassomigliano. […] Io solo non esisto.
Smurov, però, vivrà ancora a lungo”.
2
Ibidem, 1990, p. 9.
7
comparsa in traduzione inglese. Pochi, infatti, sono stati i contributi all’analisi
dell’opera, come potrà facilmente constatare chiunque si accinga a raccogliere
materiali a essa inerenti. I più importanti fra questi sono ancora i saggi Eyeing
Nabokov’s Eye e The Eye di Donald Barton Johnson usciti rispettivamente
nell’autunno del 1985 e nel 1995. Seguendo le sue chiare e brillanti intuizioni e
appoggiandomi ad altre autorevoli, seppur scarse, pubblicazioni sul soggetto in
questione, mi accingerò in questo primo capitolo della mia trattazione ad
approfondirne alcuni temi e a sollevarne di nuovi, che andranno a costituire la
parte essenziale della mia indagine personale: lo specchio e l’occhio.
La trama dell’Occhio è di notevole complessità nonostante le esigue proporzioni
del testo. Il racconto è calato all’interno di una comunità di russi emigrati nella
Berlino del 1924-25, ossia pochi anni dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, la
quale aveva portato all’assassinio di Vladimir Nabokov per mano di un sicario
zarista padre e costretto l’autore ad abbandonare per sempre la Russia insieme
alla sua famiglia. Come afferma l’autore stesso nella Prefazione dell’edizione
tradotta del 1965, nell’anno della composizione del testo originale, il 1930, egli si
trovava nuovamente nella capitale tedesca e i personaggi delle sue vicende
finirono per coincidere con il materiale che aveva a portata di mano in quegli
anni della sua giovinezza
3
.
All’inizio del racconto, l’io narrante, novello emigrato giovane e squattrinato,
viene sedotto da Matilda, una donna frivola che frequenta la casa dove egli lavora
come tutore. Giunto a conoscenza del tradimento, il marito di Matilda punisce
con una serie di bastonate il passivo e vulnerabile protagonista, che, umiliato,
ritorna nella sua camera presa in affitto e si spara al cuore. Egli si risveglia nella
spettrale corsia dell’ospedale convincendosi che la propria esistenza presente
dipenda dalla forza d’inerzia per mezzo della quale il pensiero umano sopravvive
alla morte fisica; questa sua residua e da sempre fertile immaginazione gli
3
Cfr. Nabokov, 1990, pp. 9-12.
8
permette di crearsi un quadro completo d’illusioni entro il quale continuare a
vivere
4
. L’io narrante, inoltre, si accorge di vedersi dall’esterno, di essere
diventato spettatore di se stesso come un fantasma “che osservi la vita di una
persona il cui rivestimento interiore, e notte interiore, e bocca, e sapore che ha in
bocca, gli sono noti quanto la forma che di quella persona costituisce
l’involucro”
5
. Trova lavoro in una libreria di proprietà di Weinstock, un vecchio
spiritualista ossessionato dall’onnipresenza di agenti sovietici, e incomincia a
frequentare il salotto della famiglia Khrushchov. Fra gli altri ospiti abituali della
famiglia egli nota con particolare interesse un giovane individuo di nome
Smurov, da poco unitosi al gruppo, di natura insolita e contradditoria; il
narratore-occhio decide di divertirsi raccogliendo le varie immagini che gli altri
conoscenti si sono fatti di Smurov in modo da scovarne la reale identità. Sono
tre, inizialmente, le versioni che raccoglie: “l’ufficiale temerario”, “il patetico
bugiardo” e “il Casanova-spia-sovietica”. A esse si andranno ad aggiungere nello
svolgersi dell’indagine, “il timido gentiluomo aspirante-uomo-di-mondo”,
“l’amore inconfessabile di Vanya”, “il poeta straniero” e “l’omosessuale-
cleptomane”, fino ad arrivare all’immagine ultima e più preziosa che ne darà
Vanya. Ascoltando le sue conversazioni, osservando le reazioni degli astanti,
seguendolo con lo sguardo e raccogliendo le informazioni e i pareri che i vari
conoscenti si sono fatti su questo individuo, il narratore-spettro fatica a mettere
insieme i pezzi del puzzle. Nel momento in cui le immagini positive di Smurov
sopravanzano quelle negative, attimo in cui crede che sia costui l’innamorato di
Vanya, per qualche tempo la voce narrante perde interesse nel soggetto. Il suo
stato di sorveglianza riprenderà soltanto dopo aver riflettuto nuovamente sulla
natura illusoria di tutta la realtà circostante, persone incluse. Allo stesso modo,
quando le immagini negative prendono il sopravvento su quelle positive, l’occhio
perde la sua pretesa oggettività e il suo distacco emotivo nei confronti di Smurov.
4
Nabokov, 2011
4
, pp. 30-31: “Assecondai di buon grado queste illusioni, stuzzicandole, spronandole, finchè non riuscii
a creare un quadro completo, naturale, un semplice caso di lieve ferita causata dal passaggio di una maldestra
pallottola dritta attraverso il serratus”.
5
Ibidem, p. 32.
9
Questa seconda volta, egli si rassicura nuovamente dell’inconsistenza della realtà
esterna quanto della propria riflettendo sul fatto che “tutte quelle persone” che ha
incontrato dopo la sua morte “non erano creature viventi ma soltanto fortuiti
specchi per Smurov”
6
. Proprio quando sta per collezionare l’ultimo e più
prezioso tassello del puzzle, tuttavia, l’immagine di Smurov riflessa da Vanya,
l’io-occhio (I/eye) cede definitivamente il proprio distacco nei confronti del suo
caleidoscopico oggetto d’osservazione finendo per mimetizzarsi con lui
7
. Egli le
proclama, infatti, il proprio amore destando i più ovvi sospetti nel lettore accorto.
Eludendo i suoi isterici abbracci, Vanya lo rassicura dicendo d’apprezzarne le
varie doti, fra cui cita l’immaginazione poetica e “perfino la tendenza che a volte
ha a esagerare”
8
. Il narratore, respinto e umiliato, abbandona il balcone di Vanya
e dichiara di assistere a un proprio cambiamento attraverso lo specchio laterale di
un negozio di fiori: l’io si accorge di reintegrarsi al riflesso di un giovanotto in
bombetta che regge un mazzo di fiori corrispondente all’immagine di sé nello
specchio della propria camera prima del suicidio. Per riconfermarsi nel proprio
stato spettrale e invulnerabile, questa volta si reca sulla “scena” del suicidio.
Ritrova il buco scavato dalla pallottola nella parete, senonché, appena ridisceso
in strada, risponde e si volta nel sentirsi chiamato per nome: “Gaspodin
Smurov”
9
. I sospetti del lettore sono, a questo punto, confermati: l’io narrante
non è soltanto in vita ma coincide con Smurov.
Nelle pagine conclusive, l’occhio/the eye/Smurov dichiara d’essersi ripreso da
ogni delusione e d’essere invulnerabile come dopo il suicidio; le sue perorazioni
isteriche, però, non fanno che accrescere certi dubbi fondamentali sulla storia:
Smurov è mai stato reale? È mai stato immaginario? A quale voce bisogna
credere?
6
Nabokov, 2011
4
, p. 88.
7
Ibidem, p. 92: “- Glielo devo dire. In fondo, lei non mi conosce… ma in realtà io porto una maschera, sono sempre
nascosto da una maschera…-. – Via, via, - disse Vanja – io la conosco benissimo, e vedo tutto, comprendo tutto –“.
8
Ibidem, p. 93.
9
Ibidem, p. 98.
10
Afferma Nabokov nella Prefazione: “Il tessuto del racconto imita quello della
narrativa poliziesca, l’autore però smentisce qualunque intenzione attribuitagli di
imbrogliare,… il lettore”
10
, e anche il più credulone di essi, infatti, si trova posto
nelle condizioni di sospettare e capire presto chi è Smurov: l’io che narra
retrospettivamente l’intera vicenda. Il reale mistero da sciogliere, spiega
giustamente Johnson, non si trova tanto a livello di comprensione della trama
quanto, piuttosto, nel cogliere l’illusione che l’io narratore e Smurov sono
personaggi separati fino al momento della loro unione
11
. In L’occhio il gioco
d’illusioni è reso attraverso un inferno di specchi, argomento che cercherò di
approfondire nel capitolo seguente. Il piacere derivante dalla sua scrittura e
lettura risiede nel disporre questi specchi in modo che formino e dispieghino un
disegno:
Non so se il piacere acuto di disporre, trentacinque anni fa, secondo un disegno
misterioso, le varie fasi della ricerca del narratore sarà condiviso dal lettore
contemporaneo; in ogni caso, però, l’accento non spetta al mistero, ma al disegno
12
.
“That Nabokov is gracefully able to sustain his complex illusion is a tribute to his
technical prowness in managing the narrative’s point of view”
13
: mi sento di
condividere in pieno queste parole di Johnson. Continuando a fargli eco, poi,
condivido l’immagine che dipinge della sua performance artistica: ”That of a
magician whose successful illusion depends upon deverting the audience’s
attention to some showy but irrelevant aspect of his routine while contriving his
stratagem in plain sight”
14
.
10
Ibidem, p. 11.
11
Cfr. Johnson, 1985, p. 332.
12
Nabokov, 2011
4
, p. 12.
13
Johnson, 1985, p. 338. Trad. (mia): “Che Nabokov sia capace di reggere la sua complessa illusione con eleganza è un
tributo alla sua abilità tecnica nel manipolare il punto di vista della narrazione”.
14
Ibidem. Trad. (mia): “Quella di un prestigiatore il cui riuscito gioco d’illusione dipende dal deviare l’attenzione del
pubblico su aspetti spettacolari ma irrilevanti del suo numero mentre sta pianificando il suo stratagemma in piena
vista”.
11
Oltre a un mistero da sciogliere, però, esiste soprattutto un mistero da
contemplare che percorre l’intera opera di Nabokov. Questo corrisponde a un
nuovo senso di realtà espresso attraverso la letteratura, una nuova comprensione
dell’errore e dell’incongruità, un’affermazione della realtà come qualcosa di
sempre soggettivo e dell’arte come qualcosa che non può imitare la realtà senza
ricrearla attraverso l’immaginazione.
La scrittura di Nabokov è concentrata attorno a domande metafisiche
fondamentali: “Cos’è reale in questa opera?”, “Cos’è reale in questo mondo?”,
“Qual è la natura della realtà?” e ancora “Dove si trova il confine fra realtà e
immaginazione?”. Egli non fornisce nessuna risposta univoca a queste
speculazioni, ma investe la propria arte della facoltà di mostrare che esiste una
realtà sacra e che essa è, per sua natura, elusiva, illusoria e allusiva
15
, come la
Natura stessa.
Un condensato della sua poetica si trova riassunto in queste sue parole:
Literature is invention. Fiction is fiction. To call a story a true story is an insult to both art
and truth. Every great writer is a great deceiver, but so is that arch-cheat Nature. Nature
always deceives. From the simple deception of propagation to the prodigiously
sophisticated illusion of protective colors in butterflies or birds, there is in Nature a
marvelous system of spells and wiles. The writer of fiction only follows Nature’s lead
16
.
I temi
Le questioni ontologiche appena accennate forniscono un punto di partenza
imprescindibile per affrontare l’autore e iniziare a parlare dei temi presenti nella
sua novella L’occhio.
15
Cfr. Schilling Fields, 1989, p. 42.
16
Nabokov, 1980, p. 5. Trad. (mia): “La letteratura è invenzione. La finzione narrativa è finzione. Chiamare una storia,
una storia vera è un insulto sia all’arte che alla verità. Ogni grande scrittore è un gran ingannatore, ma ugualmente lo
è quella arci-imbrogliona Natura. La Natura inganna sempre. Dal semplice raggiro della riproduzione all’illusione
prodigiosamente sofisticata dei colori protettivi nelle farfalle o negli uccelli, esiste nella Natura un meraviglioso
sistema di incantesimi e sotterfugi. Lo scrittore di finzioni narrative segue soltanto la direzione della Natura”.