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''Othello'': dal testo shakespeariano all'immagine cinematografica

La trasposizione di un’opera letteraria, sia essa sul piano scenico - teatrale o filmico, è quel tipo di operazione che viene specificatamente definita “traduzione intersemiotica” o “trasmutazione” o “adattamento” . Si tratta, in sostanza, di un’interpretazione di segni verbali per mezzo di un sistema di segni non verbali. Ed è proprio il passaggio da un sistema semiotico ad un altro, o meglio, la diversità delle materie dell’espressione, a creare le maggiori difficoltà di realizzazione. Infatti, ogni sistema comunicativo (linguistico, visivo, verbale o non verbale) presenta determinate caratteristiche non sempre riscontrabili nell’altro; di conseguenza tutto quello che si può esprimere attraverso il linguaggio, ad esempio, non sempre è possibile esprimerlo attraverso un’immagine e viceversa.
Com’è noto, i casi più consueti di trasmutazione da un codice a un altro sono quelli della versione di un romanzo, o più in generale di un’opera letteraria, in film. Tali interpretazioni, in alcuni casi, possono portare ad apprezzare meglio l’opera fonte, in altri possono al contrario sminuirla, o toglierle parte del suo valore artistico. Il risultato finale dipende, in ogni caso, dal modo di procedere del regista, ma soprattutto dalla sua personale interpretazione dell’opera. Egli può decidere, infatti, di rimanere più o meno fedele alla fonte, oppure mettere in risalto alcuni aspetti piuttosto che altri, può decidere di farci vedere qualcosa in più del testo verbale oppure omettere parte di quello che è detto. L’adattamento, dunque, costituisce sempre una ‘presa di posizione critica’, sia se dovuta a una scelta interpretativa consapevole, sia se incosciente, o dovuta a imperizia.
Tanti altri esempi di interpretazione potrebbero essere citati, ma quello che più interessa è l’analisi di come un autore su tutti, Shakespeare, sia stato letto, visto, interpretato o apprezzato nel corso degli anni e, in particolare di quali siano le difficoltà che si incontrano nel mettere in scena un testo shakespeariano, data soprattutto la complessità poetica e l’infinità di significati presenti in esso. Tenendo ben presenti queste premesse, l’obiettivo che con questo lavoro si vuole raggiungere è quello di scoprire gli aspetti cinematografici della scrittura shakespeariana attraverso il confronto tra l’opera del bardo inglese e le sue trasposizioni cinematografiche, puntando l’attenzione sui temi e le tecniche narrative, in relazione all’interpretazione del regista rielaboratore.
Le tre versioni cinematografiche dell'Othello di Shakespeare messe a confronto, ciascuna rappresentativa di un diverso punto vista, di una diversa interpretazione e di un diverso background storico sociale, sono: "the tragedy of Othello"(1952), Orson Welles; "Othello" (1965), Stuart Burges; "Othello" (1995), Oliver Parker.

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2 Capitolo 1 William Shakespeare e l’“Othello” “Accade molto di rado nella storia della letteratura che un onesto professionista di un’arte, il quale abbia acquisito un controllo perfetto del mezzo di cui si avvale e una disinvoltura magistrale nel manipolare le tecniche e le convenzioni del suo tempo, sia anche un genio universale fra i più alti, in possesso non solo di una grande perizia tecnica, ma anche di un’eccezionale abilità nel trasformare l’esperienza in linguaggio poetico e anche di una misteriosa intuitiva capacità di penetrare e capire la psicologia umana” 1 . William Shakespeare (1564-1616) probabilmente considerava se stesso come un semplice uomo di teatro che, dopo aver fatto l’attore, si era messo per caso a scrivere drammi, ma egli, oltre ad essere un esponente del teatro elisabettiano, era anche un poeta e un profondo conoscitore delle passioni umane. Per comprendere appieno il suo genio e la sua opera non si può prescindere da uno studio anche generale del periodo storico e dell’ambiente culturale e sociale del suo tempo, quella caleidoscopica Londra di fine Cinquecento, addensata intorno alla vecchia City e percorsa da vibrazioni e fierezze ‘nazionali’ (l’Inghilterra di Elisabetta aveva sventato le minacce della 1 David Daiches, Storia della letteratura inglese, Milano, Garzanti, 1983, vol. 1 p. 321.

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