3
grande potenza spagnola respingendo nel 1588 l’Armada di Filippo П), da
impeti rinascimentali e riformistici e in un fervore scenico-teatrale quale non
s’era più visto dai tempi dell’Atene classica. Elisabetta, infatti, si distingue
anche come protettrice delle lettere. “La Regina, che ama le lettere e gli
spettacoli e che prevede forse nel realismo di certe scene e nelle allusioni
politiche di certi attori il sorgere di un teatro nazionale, prepara la strada al
professionismo dell’attore e alla diffusione del teatro, stabilendo che fosse
sufficiente, per un attore, per sottrarsi alle persecuzioni puritane, porsi sotto la
protezione di un nobile di cui doveva indossare la livrea; poteva in questo
modo garantirsi la libertà di esercitare la sua professione”
2
. Elisabetta
incoraggia anche il formarsi di compagnie stabili e protegge ogni genere di
spettacolo ospitando a Corte, insieme ai divertimenti raffinati, gli spettacoli
popolari. Con tali premesse sorsero presto molti teatri pubblici: il primo fu
costruito sotto la protezione del Conte di Leicester, nel 1576, dall’impresario
James Burbage a Shoreditch, e fu chiamato ‘The Theatre’.
“La straordinaria vitalità e scioltezza intellettuale del tardo teatro
Elisabettiano e Giacobino lo ha reso non soltanto uno strumento per
rispecchiare i movimenti dinamici di una società in rapido cambiamento, ma
anche, un mezzo per articolare e contribuire a queste novità”
3
.
2
Carolina De Zorzi, Nascita del teatro elisabettiano e breve biografia di William Shakespeare in
http://www.bardolatry.it , 29-09-04.
3
Ibidem.
4
L’Inghilterra shakespeariana non era la terra della solare stabilità spesso
rivendicata per se stessi, bensì delle domande, della crisi e del conflitto
interiore. Era in realtà un’intera epoca che si andava disgregando; erano gli
ultimi fuochi dell’antropocentrismo universalistico del rinascimento che si
andavano spegnendo, mentre si accentuavano sempre più i contrasti religiosi e
di ‘parte’. Nell’ultimo quindicennio del Regno di Elisabetta, erano state aperte
nuove vie commerciali, e Londra era divenuto un centro commerciale e
finanziario alla pari di Amsterdam, Antwerp e degli altri maggiori porti
europei. Il radicalismo intellettuale fu una delle più importanti caratteristiche
della nuova classe mercantile alla quale Shakespeare stesso apparteneva, e,
come testimoniano le sue opere, esso si propagava dagli affari commerciali ad
ogni aspetto degli sforzi umani. In Inghilterra, il secolo incominciò con la
sostituzione del cattolicesimo romano con il protestantesimo, e le
conseguenze intellettuali di questa rivoluzione furono sentite durante tutta la
vita del Bardo.
“Ogni tipo di gruppo o individuo cominciò a contestare la vecchia
stratificazione della società per diritto divino e propose una differente
distribuzione del reddito oltre alla creazione di nuove leggi morali”
4
. Queste
attività, e le contraddizioni tra di esse e il vecchio ordine, sono temi frequenti
nelle opere shakespeariane, anzi ne sono l’essenza. Le sue opere non vivono
soltanto per lo splendore della lingua o per il dinamismo e il fascino della
4
Ibidem.
5
storia raccontata, ma per il fatto che egli, durante il suo operato, fissò profondi
argomenti morali, etici e spirituali nella realtà di tutti i giorni. Nelle sue opere
più belle, le persone reali, con tutte le loro contraddizioni, venivano piazzate
in società realizzate meticolosamente e specificatamente. Le opere forniscono
riflessioni sulla realtà. Per mezzo del costante sviluppo degli opposti
drammatici e dialettali Shakespeare creò l’illusione della vita che si amplia in
ogni direzione. “Nella vita reale, in un istante, la gente si sposta dal brio al
lirismo, dall’ingegno alla banalità e questa naturalezza echeggia nei testi
shakespeariani e aiuta a creare i suoi protagonisti. Nella ricchezza della sua
penetrazione umana, anche le esperienze più estreme conservano, di base, una
loro naturale umanità. Il collegamento nasce dall’esplorazione dei nostri sogni
più remoti e in generale dalle esigenze e ricompense del mondo reale.
Soprattutto questa è la particolarità che parla di generazione in generazione, a
persone di ogni nazionalità, e che garantisce la vita delle sue opere e la loro
continua risonanza”
5
. La ‘modernità’ di Shakespeare di cui molta critica ha
parlato sta nell’aver saputo investire la concezione del mondo e dei valori del
suo tempo, con tale complessità d’intuizione dell’animo umano, da riflettere
non solo l’uomo della sua età, ma quello di sempre. Per J. Kott “la grande
scoperta di Shakespeare è d’aver creato la tragedia storica moderna
collocando la scena non in un ambiente più o meno remoto e astratto, come
solevano fare i fiacchi seguaci italiani di Seneca, (come Giraldi Cinthio) o
5
Ibidem.
6
come faranno poco dopo i grandi tragici francesi (Corneille, Racine), ma in un
ambiente attuale, sotto gli occhi dei suoi spettatori: Londra, il palazzo reale, i
campi di battaglia di quella Inghilterra”
6
.
Robert Greene, romanziere e drammaturgo, saggista di non piccolo
peso nel panorama elisabettiano, nel 1592, giunto ormai alla fine della sua
carriera e dell’esistenza, scriveva, all’interno di una sua sorta di
autobiografia/confessione (A Groatsworth of Wit Bougth with a million of
Repentance), una frase in cui individuava la causa della perdita di favore
presso il pubblico di autori drammatici quali lui stesso, Marlowe, Peele,
Nashe, nella presenza di un “corvo rifatto abbellito delle nostre penne”
(“upstart crow beautified with our feathers”), uno che crede di essere il solo
“scuoti-scena (Shake-scene)” di tutta l’Inghilterra. Poiché il “corvo rifatto”, lo
“scuoti-scena” è palesemente Shakespeare (Shake-speare = Scuoti-lancia), la
frase di Greene costituisce la prima e più significativa testimonianza della
presenza a Londra di William Shakespeare teatrante di successo.
“Shakespeare fu senza dubbio un eclettico in grado di affrontare ogni
genere teatrale e di imprimervi indelebilmente il suo segno: in questo sta una
delle chiavi della sua grandezza”
7
. Il “corvo” o piuttosto l’eclettico
Shakespeare, proprio come lamenta Greene, si rivestì in verità delle penne
altrui.
6
Prefazione di Mario Praz a J. Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Feltrinelli, Milano, 1983.
7
Anna Luisa Zazo, Introduzione a Shakespeare, Laterza, Roma, 1993, p. 4.
7
Non perché i suoi primi drammi siano rimaneggiamenti di opere
precedenti, né perché non inventò trame ma le riprese e le rielaborò da altre
fonti (caratteristica comune a tutto il teatro elisabettiano, che voleva essere
rappresentazione, non invenzione), ma perché non fu mai, nel senso proprio
del termine, un iniziatore. Shakespeare non inventò il teatro elisabettiano né
lo rinnovò o lo modernizzò. Egli ‘espresse’ il teatro elisabettiano, lo rese
pienamente se stesso rivelandolo e smascherandolo. E non avrebbe potuto far
questo se non innestando la sua personalità su una materia già esistente, se
non “abbellendosi”, in certa misura, “delle penne altrui”.
“Il teatro elisabettiano era già in pieno sviluppo, era già pienamente se
stesso, quando Shakespeare iniziò la sua attività di autore drammatico verso
l’ultimo decennio del sedicesimo secolo”
8
. Aveva già il suo verso tipico,
quell’endecasillabo non rimato (blank verse) che meglio lo esprime, aveva già
le sue trame, vicende e intrecci, era indifferente alle fatali unità aristoteliche, e
infine si era già creato l’indispensabile spazio scenico in cui svolgersi, quel
palcoscenico tripartito (front e back stage, inner stage, upper stage), senza
sipario e privo di autentica scenografia, che esprime e condiziona la natura del
teatro elisabettiano. “A questo teatro già pienamente uscito dal medioevo
delle sacre rappresentazioni, già pienamente secolarizzato, ma non ancora
“moderno”, Shakespeare, per alcuni aspetti il meno moderno degli autori
elisabettiani, offre il primo dramma moderno, spartiacque del suo itinerario
8
Anna Luisa Zazo, Introduzione a Shakespeare, cit. p. 6.
8
teatrale e della storia del teatro occidentale: Hamlet”
9
. Con Amleto, il teatro
cessa di essere la rappresentazione della storia, di una vicenda, per divenire
espressione di un dramma interiore, di un disagio esistenziale; i personaggi
cessano di essere a una sola dimensione, ma esprimono a un tempo, il tragico,
il grottesco, il patetico, il comico. Con Amleto, la struttura drammatica
subisce la più completa disgregazione; il dramma diviene work in progress,
opera che deve ancora costituirsi, definirsi, che può ancora mutare attraverso
le invenzioni del suo protagonista. La vicenda diviene secondaria; è
essenziale il modo in cui il personaggio si pone nei confronti della vicenda, in
cui inventa, rappresenta la sua vicenda. E’ il trionfo del relativo, e apre la
strada al teatro moderno. Con Il dramma si inaugura la sequela delle grandi
tragedie, dei “drammi problematici”. Il protagonista, infatti, non può essere
oramai che un eroe capovolto, un antieroe. Una svolta in cui non si riflette,
d’altra parte, soltanto l’inquietudine di un’epoca. Ne deriva un senso di
enigmaticità e di ambiguità e, soprattutto, un senso di cose che si corrompono,
di mondo ‘marcio’ in noi e intorno a noi, che si riversa anche nelle successive
commedie, le cosiddette “dark comedies”, piene di crudeli sarcasmi e spietate
ambivalenze. Le grandi tragedie che seguono segnano il culmine di una tale
esplorazione del mondo, come un’enorme e intricata esemplificazione del
‘male’ e del ‘marcio’, fino all’allucinante lucida astrazione del male allo stato
puro nel personaggio di Iago in Othello.
9
Ibidem, p. 8.
9
Con la tragedia di Othello, The Moor of Venice, Shakespeare entra nel
pieno della sua fase maggiore. La data della sua prima rappresentazione si fa
generalmente risalire al 1° Novembre 1604, secondo quanto testimoniato nel
Revels Account, un registro di pagamenti versati per intrattenimenti a corte. Il
dramma ha una sola fonte e seguita molto da vicino, anche perché si tratta di
un testo che Shakespeare dovette leggere dall’originale italiano o da una
traduzione francese, stampata a Parigi fin dal 1584. Si tratta di una novella
tratta dagli Hecatommithi di Gian Battista Giraldi Cinthio, fonte che, anziché
delimitare la fantasia dell’autore, sembra invece provocarla e addirittura
incendiarla.
La novella racconta la storia del moro, di Disdemona e dell’alfiere
cattivo, ma termina in maniera molto singolare poiché l’alfiere e il moro si
mettono d’accordo per uccidere Disdemona. Il moro, figura alquanto balorda
e lontana dal nobile protagonista della tragedia shakespeariana, ucciderà
Disdemona percuotendola insieme all’alfiere e simulerà un incidente facendo
cadere addosso alla malcapitata parte del palco della casa in cui lei abitava.
“La storia è motivata, per quanto riguarda Iago, unicamente dall’amore che
l’alfiere avrebbe avuto per Disdemona; Shakespeare riprende la parte centrale
della novella e ne fa un capolavoro”
10
. Ponendo l’accento soprattutto
sull’avversità di molti all’unione dei due protagonisti, il drammaturgo
tralascia la vicenda delle nozze e inizia la rappresentazione a partire
10
Otello commentato da Alessandro Serpieri in http://www.bardolatry.it , 29-09-04.
10
dall’evento che mette in pericolo il matrimonio stesso, prima ancora di essere
stato consumato. La vicenda diviene umanamente più credibile e ci proietta
subito nel bel mezzo dell’azione.
Tralasciando per il momento una verifica più approfondita delle
somiglianze e delle differenze tra fonte narrativa e testo shakespeariano,
sarebbe interessante sottolineare alcuni aspetti legati alle ‘convenzioni’ del
teatro in cui Shakespeare ebbe a rappresentare Othello. In altre parole,
analizzare il modo in cui l’autore, nel trasformare la narrazione in
rappresentazione, dovette fare i conti con la scena contemporanea, con i suoi
vincoli e le sue possibilità. A questo proposito sono da considerare sia le
influenze della coeva cultura italiana (fondamentale come abbiamo già visto
per le fonti), sia delle esperienze del teatro inglese del periodo
immediatamente precedente, ovvero le Morality plays.
Dall’Italia proviene lo stereotipo dell’uomo machiavellico, di colui cioè
che tesse le trame più oscure e si macchia dei delitti peggiori pur di
raggiungere le proprie finalità. “Il Machiavel diviene così una figura del teatro
elisabettiano-giacomiano che si confonde con quella più generale del villain”,
[…] una figura convenzionale nella quale confluiscono molti e svariati
elementi: il teatro classico senechiano, la repulsione/attrazione per vicende di
trasgressione, e soprattutto il teatro autoctono inglese che precede, e per
almeno due decenni accompagna, la produzione che solitamente si denomina
11
‘elisabettiana’ ”
11
. La figura tipica entro e oltre i confini della quale
Shakespeare può porre il proprio corrispettivo dell’alfiere, è il Vice, derivato
dalle moralità e dagli interludi del periodo Tudor. Ma una figura allegorica
non è più soddisfacente per il teatro dell’individualismo e
dell’intersoggettività messo in scena da Shakespeare: ecco allora che il Vice
cede il posto ai villains che ne traggono le sue caratteristiche di astuzia,
malvagità, manipolazione e corruzione. Caratteristiche che descrivono
perfettamente l’essenza del personaggio di Iago nella tragedia in questione.
Ma veniamo alla vicenda del dramma che, anche se nota, sarà bene
riassumere in poche righe per meglio comprendere l’analisi che seguirà:
Il moro Otello, generale della Serenissima, ama Desdemona, nobile
giovane veneziana, che ricambia il suo affetto. Malgrado l’opposizione del
padre di Desdemona, i due innamorati si sposano. Mentre la sposa viene
condotta a Cipro, Otello affronta e batte la flotta ottomana: sbarcato nell'isola
festeggia, ad un tempo, la vittoria delle sue armi e il coronamento del suo
sogno d’amore. Il perfido Iago, che gode la fiducia del generale, accomuna
nel suo odio Otello e Cassio, giovane ufficiale, nominato governatore. L’odio
e l’ambizione insoddisfatta suggeriscono a Iago un piano diabolico. Con arte
subdola riesce ad insinuare il sospetto nell’animo buono ed ingenuo di Otello,
facendogli credere che Cassio corteggia Desdemona e che essa gradisce le sue
11
Roberta Mullini, Otello e il gioco delle fonti, in Mariangela Tempera (a cura di), Othello dal testo alla
scena, CLUEB, Bologna, 1983, p. 29
12
premure. Un fazzoletto, che Iago ha rubato a Desdemona e messo in mano a
Cassio, sembrerà ad Otello, fremente di gelosia, una prova sicura del
tradimento. Egli ordina di uccidere Cassio e soffoca la sua sposa innocente
nel suo letto. Avute le prove dell’innocenza di Desdemona, Otello, disperato,
si uccide. Iago sconterà con la vita i suoi tradimenti.
Per quel che concerne l’interpretazione critica dell’opera, che sarà poi
utile alla comprensione durante l’analisi delle tre versioni cinematografiche
prese in esame, mi limiterò a indicare due principali tendenze, o filoni, che
hanno delineato, nel corso degli anni, due differenti prospettive di analisi:
l’interpretazione storico-sociale e quella psicologica.
L’interpretazione tradizionale, e tuttora più diffusa, vede l’Othello
come tragedia domestica, vicenda di un animo generoso, di un amore
purissimo, corrotto da “motiveless malignity”, tragedia della passione e della
gelosia; “interpretazione, in sostanza, psicologica, che non tiene conto del
momento pubblico, essenziale nel dramma elisabettiano e qui più che mai
presente”
12
. Infatti, l’unione di Desdemona e Otello, anche là dove investe
l’esperienza passionale e privata, coinvolge un più ampio ordine di problemi.
Alcuni critici hanno sottolineato, secondo un’ottica storicistica, la
circostanza della diversità razziale dei protagonisti, soprattutto in riferimento
alle prime imprese coloniali, e il conseguente problema dell’integrazione di
12
Rosa Maria Colombo, Le utopie e la storia: saggio sull’Otello di Shakespeare, Bari, Adriatica editrice,
1975, p. 8.
13
un Moro fra i bianchi, ma anche il cosiddetto compromesso elisabettiano fra
strutture aristocratiche e ceto di uomini nuovi della borghesia , l’emergere di
una diffusa coscienza individuale moderna e il contrasto tra coscienza dei
singoli e Ragion di Stato. Non senza ragione è la scelta di Venezia, e poi di
Cipro, un possedimento veneziano, come ambientazione. Lo spessore storico
della città appare a Shakespeare come primario strumento di confronto
ideologico con la sua Inghilterra. Venezia, come capitale artistica e
intellettuale del tardo Rinascimento, offre l’occasione per una riflessione più
penetrante sul significato della moderna realtà mercantile.
E’ in questa realtà che si inserisce la figura del nostro protagonista:
“Questo Moro, figura singolare che l’oligarchica Venezia onora e per il quale
la nobile figlia di un senatore ha sfidato, con l’autorità paterna, principi e
obblighi della propria casta”
13
, è un uomo che ha costruito da solo la propria
fortuna. Quella fortuna poggia per intero su virtù personali: le virtù cui le
moderne società mercantili cominciano a concedere per la prima volta spazio.
Nel ruolo del Moro si può quindi vedere la metafora del processo di
transizione dal feudalesimo al capitalismo e il paragone tra le due epoche è
evidente nella sfida di quest’ultimo al chiuso costume patriarcale del vecchio
padre di Desdemona. Il trionfo di Otello su Brabanzio all’interno dell’aula del
senato è anche il trionfo visibile di un potere che si impone sugli interessi dei
singoli e dei gruppi sociali; le ragioni di casta che gli vengono opposte sono
13
Rosa Maria Colombo, Le utopie e la storia: saggio sull’Otello di Shakespeare, cit. p. 19.