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La terza guerra punica - La distruzione di una città, la costruzione di un Impero

Nella primavera del 146 a. C. Roma distrusse definitivamente una delle più grandi potenze della storia del Mediterraneo, l'unica arrivata minacciarne da vicino l'esistenza.
Quali le vere ragioni storiche e politiche della caduta di Cartagine, di una cruenta carneficina durata sei giorni e quattordicimila morti solo fra i punici?
Questi gli interrogativi cui la mia tesi cerca di dare delle risposte attraverso un'analisi dettagliata delle fonti storiche supportata da un accurato esame della documentazione archeologica.
Ma il mio è anche il racconto appassionato, scandito e incalzato dagli eventi, di una guerra feroce durata quattro anni, dell'orgogliosa resistenza di un popolo e della scientifica abnegazione con cui il vero trionfatore del conflitto, Scipione Emiliano, riuscì a domarne le forze ma non lo spirito. Il lettore è subito catapultato sulle mura di Cartagine, nella notte in cui la città fu presa. Segue gli avvenimenti successivi al sacco, per poi rivivere il flashback della prima giovinezza dell'Africano Minore, e comprendere le motivazioni che in seguito lo avrebbero spinto ad essere uno dei "falchi" promotori dello scontro.
Nel nucleo il racconto si fa esegesi politica: le relazioni fra Roma e Cartagine, dopo la vittoria nella guerra annibalica, sono analizzate alla luce dell'accrescersi della potenza della prima, del mutare delle fazioni politiche che la governano e dell'incrudelirsi della sua politica internazionale. Il lettore seguirà passo per passo l'evolversi della crisi punica, visiterà Cartagine al fianco degli ispettori romani inviati nella città, comincerà a comprendere, fra le teorie di Polibio e i preparativi dello sbarco sul suolo libico, le vere cause per cui nel 149 a. C. il senato decise che la città che aveva dato i natali ad Annibale doveva essere eliminata dalla storia. E ne rivivrà la lenta, ineluttabile agonia...

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5 Introduzione Cartagine fu distrutta nella primavera del 146 a.C., alla fine di un assedio durato quattro anni. Né scontri navali, né battaglie in campo aperto: la terza guerra punica si risolse in un reiterato, faticoso tentativo di isolare la metropoli, guidato da quattro consoli inviati da Roma ad infrangere le antiche e solide mura che difendevano ancora i concittadini di Annibale. Per spiegare le ragioni di una decisione così drastica, la responsabilità unilaterale dell’iniziativa militare e la prospettiva pressoché parziale degli autori che ne parlano impongono un esame dall’interno della città che si rese scientemente responsabile di questa distruzione e, dunque, un quesito più aderente alla storia politica della Repubblica: quali personalità e quali fazioni, a Roma, a metà del II secolo a.C., individuavano un vantaggio nella distruzione della metropoli punica? Per comprendere gli interessi messi in campo dall’ultimo scontro con Cartagine, l’unica ottica possibile è quella che si avvii dalle circostanze che indussero il Senato alla dichiarazione di guerra. Analizzarle significa condurre un esame diacronico dei vincoli diplomatici intercorsi fra Roma e Cartagine, durante gli anni che divisero il successivo dal conflitto vinto dall’Africano Maggiore, senza trascurare il ruolo recitato da Massinissa, sovrano dell’altro

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