La nascita di una nuova sensibilità nell’estetica della natura in Dennis, Addison e Shaftesbury
Il pensiero estetico inglese del primo Settecento risente degli echi del dibattito sugli antichi e i moderni che si svolse sulla scena francese negli ultimi decenni del Seicento. Se in Francia la querelle trovava i suoi canali di diffusione (nonché la sua origine) nelle tradizionali cerchie accademiche e negli ambienti di corte, in Inghilterra il dibattito sui problemi estetici, ma anche teatrali, letterari e politici, nasce e si sviluppa soprattutto attraverso un canale “pubblico” rappresentato da una nuova istituzione caratterizzante il costume e la cultura inglese di tutto il nuovo secolo: la coffee house.
Ci troviamo quindi di fronte ad un ambiente culturale per così dire urbano e moderno dove ormai le porte sono aperte alle novità, grazie anche al clima di libertà politiche che caratterizza l’ Inghilterra alla fine del Seicento e “che non ha paragoni sul continente”.
I decenni a cavallo tra i due secoli vedono tuttavia prevalere le dottrine di impostazione neoclassica, sostenute più dalla forza della tradizione che non da apprezzabili proposte innovative a livello teorico.
I nomi più significativi in tal senso sono quelli di Sir William Temple (1628-1699) e Jonathan Swift (1667-1742) , i quali sostengono con forza la netta superiorità degli antichi sui moderni, considerando questi ultimi come dei semplici imitatori nel migliore dei casi, e nel peggiore come dei responsabili del declino culturale rispetto all’antichità.
Swift, essendo il segretario di Temple, si trova a difendere le tesi del suo datore di lavoro contro gli attacchi severi dei contemporanei, ma il suo pensiero risulta essere decisamente più moderato. Egli infatti propone una sorta di moderazione che si concretizza nella proposta di un modello di critico che tenga conto sia degli effettivi pregi degli antichi che spesso i moderni non ammettono, sia della esagerata e a volte discutibile perfezione con cui i sostenitori degli antichi descrivono la poetica classica.
Con John Dennis, Joseph Addison e A. A. Shaftesbury siamo di fronte al primo grande momento di rottura con la tradizione, ed è proprio per l’importanza innovativa delle loro intuizioni che questi autori riceveranno in questo lavoro la trattazione maggiormente approfondita. Verrà analizzato il loro pensiero, con particolare attenzione alla valorizzazione estetica di elementi naturali tradizionalmente considerati negativamente e soprattutto alle ragioni in base a cui questa valorizzazione viene legittimata.
Sulla scia di questi autori si colloca il pensiero di Francis Hutcherson (1694-1746), che nella sua opera Inquiry into the Originalo of our Ideas and Beauty and Virtue del 1719 presenta una teoria estetica basata su quello che lui chiama senso interno e sul concetto di bellezza. Secondo questo autore il senso interno è quella facoltà dell’animo umano che ci permette di cogliere l’idea della bellezza suscitata da oggetti che presentino uniformità nella varietà, dove quindi la novità può rendere apprezzabile la rappresentazione dell’irregolarità.
La vera svolta estetica teorica “moderna” viene preceduta negli anni che vanno dal 1740 al 1760 dalla circolazione delle idee dello Pseudo-Longino e del suo trattato Del Sublime che fanno sì che le teorie del bello siano inevitabilmente accompagnate da quelle del sublime. In questo modo l’accento si sposta dal “fare” (il produrre artistico) al “ricevere” (l’esperienza dello spettatore di fronte ai fenomeni del bello e del sublime) .
Ecco le strade attraverso le quali si dirama il percorso che porterà alla nascita di un nuova estetica che implicherà quindi l’inesorabile declino di quella classicistica. L’estetica moderna opererà uno spostamento d’accento dal giudizio oggettivo di opere e concetti a un’elaborazione soggettiva dei processi di creazione e fruizione, dove la bellezza assumerà caratteristiche nuove (verrà riconosciuto bello anche ciò che è irregolare o deforme) e soprattutto provocherà esperienze emozionali non più solo razionali, caratterizzate quindi da una più intensa partecipazione del soggetto conoscente, il quale si serve delle proprie passioni come strumento conoscitivo. La natura verrà quindi “sentita in termini di libertà e non rappresentata come pura razionalità” e l’amore a essa rivolto “si baserà soprattutto sul piacere dell’irregolarità, dell’intrico, dell’insolito, sulla curiosa mania delle rovine, in opposizione all’armonia del bello classico poi neoclassico.”
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Informazioni tesi
Autore: | Francesca Sosi |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2002-03 |
Università: | Università degli Studi di Trento |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Paola Giacomoni |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 60 |
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