La danza nella fin de siècle: Rainer Maria Rilke
Tra il XIX ed il XX secolo la danza viene per così dire riabilitata, ossia liberata dall’etichetta romantica di arte dell’intrattenimento, fino ad occupare un posto privilegiato tra le arti. Walter Sorell ripercorre la storia della danza dalle origini ai giorni nostri (Storia della danza. Arte, cultura, società), mettendo in risalto come nella fin de siècle di quest’arte si siano interessati soprattutto filosofi e scrittori.
Il primo paragrafo, per il quale mi sono avvalsa principalmente dello studio di Guy Ducrey, Corps et graphies. La poétique de la danse et de la danseuse à la fin du XIXème siècle, è una breve digressione su alcuni autori che hanno considerato la danza semplicemente un’esibizione del corpo femminile e pertanto hanno connotato la figura della ballerina tutt’altro che positivamente. I due successivi paragrafi del primo capitolo sono dedicati a due poeti, Stéphane Mallarmé e Hugo von Hofmannsthal, le cui riflessioni sulla danza sono strettamente connesse con la loro poetica: per il simbolista francese la danza (écriture corporelle) è identificata con la poesia in virtù della sua capacità di evocare una realtà altra, superiore alla realtà contingente; Hofmannsthal vede nel puro gesto della danza, arte che si esercita tacendo, un’alternativa al linguaggio verbale, arbitrario e convenzionale. Per una panoramica sulle principali teorie sulla danza nella fin de siècle fondamentale è lo studio di Gregor Gumpert, Die Rede vom Tanz. Körperästhetik in der Literatur der Jahrhundertwende.
I tre capitoli seguenti trattano il motivo della danza nella poesia di Rainer Maria Rilke a cominciare dai Neue Gedichte: tema questo poco frequentato dalla critica, su cui Rilke stesso, a differenza di Mallarmé e Hofmannsthal, non si è mai espresso esplicitamente. Nel ciclo dei Neue Gedichte la danza è legata a qualsiasi fenomeno ritmico-dinamico e ravvisata per esempio nel lento movimento circolare della pantera rinchiusa in una gabbia (Der Panther), o nella parabola disegnata da una palla, gettata in aria e poi ripresa dai giocatori (Der Ball). L’influenza di Mallarmé è fondamentale e evidente già a partire da questi componimenti: la ballerina spagnola (Spanische Tänzerin) rimanda alla ballerina mallarméana, che si identifica totalmente con la sua creazione, con le figure nate dai suoi movimenti.
Nel ciclo delle Duineser Elegien, la danza è intesa come simbolo della vita vera: in essa l’uomo cerca di soddisfare la propria esigenza di pienezza e di autenticità. Dal piano simbolico della Quarta Elegia (il palcoscenico sul quale il ballerino compare è il palcoscenico dell’interiorità) si passa alla reale rappresentazione dei saltimbanchi nella Quinta, in cui la danza acquista, nella figura del piccolo acrobata, il significato che ritroveremo nei Sonette an Orpheus (scritti non a caso nel 1922, lo stesso anno della Quinta Elegia): il bambino a differenza degli altri funamboli che si esibiscono con lui, compie movimenti spontanei, umani, per niente artificiosi. La visione della danza come universo a se stante, privo di limiti spazio-temporali (così nella Spanische Tänzerin) viene ora potenziata fino ad essere intesa come unione di dimensioni opposte, vita e morte; unione rappresentata proprio dal giovane saltimbanco.
Nei Sonette an Orpheus la danza sembra riprendere il compito che il poeta attribuisce ora alla poesia, di trasformazione del mondo nell’invisibile. Ciò che conta è l’eterna metamorfosi interiorizzante, che investe il Reale, e proprio nella legge della perenne trasformazione, di cui la ballerina diventa simbolo, si ha l’accordo dei due ambiti diversi: la vita e la morte. Evidente in quest’idea l’eco di Valéry che, nel dialogo L’âme et la danse (tradotto dallo stesso Rilke), identifica la danza con il pensiero, con la vita stessa nella sua incessante metamorfosi (essa è “L’acte pur des métamorphoses”).
Similmente a Mallarmé, Rilke vede la danza come un universo superiore, perché ignara delle separazioni che connotano il mondo nel quale viviamo. Nei Sonetti a Orfeo alla danza è affidato il compito di superare la scissione tra Io e non-Io, di cui le Elegie sono espressione, in un processo che va dal visibile all’invisibile, e riduce tutto il Reale all’Io.
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Informazioni tesi
Autore: | Sheila Bartolini |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1999-00 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lingue e Letterature Straniere |
Relatore: | Laura Terreni |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 177 |
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