L'IMMAGINARIO, I NUOVI MEDIA E I NUOVI MERCATI - L'eredità materiale di Georges Méliès nell'era digitale
Georges Méliès è stato il primo a concepire e a utilizzare il cinema come luogo dell'immaginazione, il primo a concepire un mondo immaginario o di ricostruzione storica, senza interessarsi minimamente a qualsiasi principio di verosimiglianza. Mèliès è stato il simbolo più lampante dell'incontro tra la magia e il cinema, il maestro assoluto delle fantasmagorie filmiche. Il corpus delle sue opere, in larga parte distrutto, è stato spesso citato, più o meno consapevolmente, da una folta schiera di autori che ne condividevano poetica o stile; tuttavia, è solo negli ultimi anni, per ragioni concernenti da una parte i mutati contesti di distribuzione e fruizione della Settima Arte, dall'altra le moderne tecnologie di restauro, che l'opera dell'illusionista di Montreuil ritorna ad essere centrale, e con essa tutta una concezione di cinema come artificio, artigianalità, stupore, decostruzione. Una rinascita che è al contempo materiale e immateriale, riconoscimento postumo dell'artista e introiezione delle sue innovazioni nel quotidiano, nel digitale, nel web.
Nel primo capitolo della si analizza l'opera di Méliès, cercando di inserire la sua esperienza nel contesto storico-artistico dell'epoca. L'immaginario di Méliès ha infatti specificità molto forti, e molto fortemente interconnesse con altre forme espressive: l'arte magica, il teatro, il disegno, tutte arti che, in netto declino nel ventesimo secolo, penetreranno nell'arte cinematografica, depositandosi stabilmente ai margini della scena. Méliès operava in tutti questi settori, e la sua forma mentis caratterizzò la sua opera cinematografica sia in senso restrittivo (corrispondenza di tempo dell'azione e tempo del racconto, punto di vista fisso) sia in senso innovativo (usare l'apparecchio cinematografico, e in particolare lo strumento del montaggio, come creatore di immaginari, decostruttore della realtà).
Il secondo capitolo della tesi verte, invece, sull'eredità materiale dell'opera di Méliès. Il celebre e sciagurato rogo con cui l'artista diede alle fiamme tutte le sue pellicole ha fatto sì che per più di un secolo la ricostruzione della filmografia mélièsiana costituisse un rebus inestricabile. Molto è andato inesorabilmente perduto, e le fonti a cui attingere, benché numerose (disegni, foto di scena, ritratti, etc.), spesso sono confuse, contraddittorie o apocrife.
Il recente ritrovamento e restauro di una copia a colori del Voyage dans la Lune introduce, inoltre, nuove problematiche in questo discorso. Se è vero, infatti, che il restauro è sempre una reinterpretazione, questo è ancor più vero nel caso di Méliès, dove l'assenza o la mancanza di fonti spingono spesso i restauratori a compiere operazioni talvolta acrobatiche per eliminare le lacune del film, cercando al contempo di comprendere la strategia di messinscena dell'autore.
Si potrebbe, parafrasando Benjamin, parlare quindi di opera d'arte nell'epoca della reinterpretazione tecnica: di come, cioè, problemi oggettivi, cambiamenti tecnologici e mutamenti del contesto produttivo e distributivo possano dare sì nuova vita ai capolavori del passato, ma una vita artificiale, tutta tesa tra uno sforzo di fedeltà assoluta all'originale (il quale riconquista d'improvviso l'aura che aveva perduto) e una ricontestualizzazione nell'ambito dei mezzi di diffusione informatici e digitali.
Nel terzo e ultimo capitolo, infine, si dimostra come le intuizioni di Méliès abbiano dato vita a un filone che, sopravvissuto in maniera più o meno sotterranea alle evoluzioni del cinema in senso narrativo, ritrova una propria ragion d'essere nell'interazione con i nuovi contesti economici e comunicativi, in particolare nel videoclip.
Nei film di Méliès il rapporto tra filmico e profilmico è ridiscusso, lo statuto stesso dell'immagine è messo in discussione, con ripercussioni di importanza incalcolabile sulla percezione degli spettatori; si tratta di una rivoluzione non solo artistica, ma ontologica.
Questa posizione, che tende a decostruire e a mettere in discussione la realtà “istituzionale” esperita, ritorna nelle forme brevi dell'era digitale. Il bisogno di brevità, di dinamismo, di stupore istantaneo, di immediatezza, che Bauman individua come caratteristica precipua della modernità liquida, è, mutanda mutandis, non troppo dissimile da quello che animava le serate al Robert-Houdin. Nel videoclip, in particolare, vediamo rinascere quella volontà di stupire a breve termine con artifici di natura filmica, tendenza a lungo rimasta sommersa, o comunque marginalizzata. Il montaggio stesso, infatti, nasce proprio come una forma di trucco, di manipolazione della realtà, di rottura delle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione; e se, dopo Méliès, il montaggio è destinato ad essere nascosto, è solo grazie ai moderni contesti produttivi e socioeconomici che il testo può ridiventare pretesto, operando un ribaltamento che, vertiginosamente, accosta i prodotti videomusicali all'opera del maestro di Montreuil.
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Informazioni tesi
Autore: | Raffaele Pavoni |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università degli Studi di Pisa |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Storia e forme delle arti visive, dello spettacolo e dei nuovi media. |
Relatore: | Sandra Lischi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 219 |
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