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L'Espresso. Il giornale e i suoi giornalisti dal '69 al '74

Nei sei anni di più aspro conflitto per la conquista del potere nella storia della Repubblica, tra stragi e tentativi di golpe, “L’Espresso” si distingue in Italia, nel complesso scenario editoriale del paese, per professionalità, indipendenza e dati di vendita. Scosso dall’allontanamento obbligato di Eugenio Scalfari dagli incarichi direttivi nel 1968 e incalzato dalla concorrenza di “Panorama”, il settimanale di via Po, fondato nel 1955 da Arrigo Benedetti, raggiunge pur tuttavia negli anni della strategia della tensione, tra il 1969 e il 1974, la più compiuta maturazione di pari passo con la migliore tradizione del giornalismo d’inchiesta italiano.
L’instancabile opera di svelamento delle verità nascoste nei doppifondi delle vicende del paese durante il breve interregno di Gianni Corbi e sotto la più duratura direzione di Livio Zanetti produce risultati eccezionali. Camilla Cederna, Giuseppe Catalano, Fabrizio Dentice, Lino Jannuzzi e Mario Scialoja firmano inchieste cui il tempo, le ricerche storiografiche e i recenti lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi tributano i giusti meriti. Le oscure manovre di Junio Valerio Borghese e dei servizi segreti, l’attività delle cellule eversive neofasciste attive nella penisola e degli apparati deviati dello Stato vengono descritte e denunciate in anticipo sui tempi e guadagnano con clamore le prime pagine del settimanale.
La libertà di cui godono i giornalisti dell’“Espresso”, del resto, grazie alla proprietà di un editore puro come Carlo Caracciolo non ha eguali ed è tale da garantire lo sviluppo di un canale privilegiato di informazione alternativa destinata a mandare in corto circuito il panorama ingessato della stampa dell’epoca aggirando a tutto vantaggio dei lettori le versioni di comodo dei fatti annacquate per interesse dai gruppi di pressione e di potere. Oltretutto “L’Espresso” austero, che si distingueva per il grande formato “lenzuolo” in bianco e nero, acquista il colore che rende tanto uniche le sue prime pagine e comincia a rivolgere la propria attenzione al mondo economico con un fortunato inserto curato da Scalfari. Le vendite del settimanale triplicheranno alla fine di questi sei anni, con il definitivo passaggio al formato tabloid e alla moderna formula del newsmagazine.

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Introduzione I dati di vendita dimostrano con chiarezza come dal secondo dopoguerra, in Italia, una stampa settimanale in continuo e sicuro progresso sia andata affermandosi come la vera stampa popolare del paese. Mentre le copie dei quotidiani venduti nella penisola si distinguevano nel mondo Occidentale per scarsità, complice la cappa liberticida sotto la quale erano state costrette le stesse testate durante il ventennio fascista, i periodici cominciavano a mietere successi dimostrando la vitalità di un settore in cui si confermavano “La Domenica del Corriere”, “Oggi”, “Tempo” e nascevano nuovi giornali destinati a lasciare il segno come “L’Europeo” e “Il Mondo”. Se la diffusione complessiva dei quotidiani non raggiungeva ancora i cinque milioni di copie (toccando i sei solo negli anni Novanta) 1 , i settimanali avrebbero oltrepassato il tetto dei 12 milioni di copie vendute nel 1952, quello dei 15 milioni nel 1962 e raggiunto infine la vetta dei 21 milioni un decennio più tardi, durante gli anni Settanta 2 . In questo scenario la comparsa nelle edicole dall’ottobre del 1955 dell’“Espresso” fondato da Arrigo Benedetti è stato definito “l’avvenimento forse più rilevante nel campo della stampa periodica settimanale che l’Italia abbia conosciuto” 3 . Il giornale, che ha sede in tre anguste stanze in via Po a Roma, viene pubblicato in bianco e nero, nel grande formato tipico dei quotidiani. Ha scelto di utilizzare il carattere tipografico “bastoni”, semplice, ma severo nel contempo. È un settimanale politico di attualità e cultura e possiede una caratteristica peculiare per la stampa dell’epoca, ciò che rende “L’Espresso” un giornale speciale nel panorama italiano: “Le sue inchieste fanno scandalo, lasciano il segno, disturbano i potenti, ledono interessi consolidati” 4 . “L’Espresso” si è posto come “un compito civile”: informare l’opinione pubblica indagando la realtà e non ha alcuna remora se occorre impiegare un’intera équipe di avvocati per potere assolvere la propria missione 5 . Né quando appena nato il settimanale, nel 1956, dopo aver denunciato le speculazioni edilizie compiute a Roma dalla società Immobiliare con la complicità dell’amministrazione democristiana, vedrà condannati per diffamazione il direttore responsabile, Arrigo Benedetti e l’autore 1 P. Mancini, 2002, p. 44. 2 N. Ajello, 1985, p. 89. 3 A. Asor Rosa, 1981, p. 1244. 4 C. Caracciolo, 2005, p. 51. 5 Ibid. 3

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