Il PCI e la Primavera di Praga attraverso le pagine dell'Unità
Attraverso lo studio e l’analisi degli articoli e degli editoriali apparsi su «L’Unità» tra il 1968 e il 1969, questa tesi si propone di esaminare l’atteggiamento che il Partito Comunista Italiano ha mantenuto nei confronti del processo di democratizzazione avviato dal regime comunista in Cecoslovacchia agli inizi del 1968, noto come la “Primavera di Praga”, e la risposta del PCI all’intervento militare dell’Unione Sovietica e degli altri paesi del Patto di Varsavia che nell’agosto dello stesso anno pose fine al tentativo riformatore. Questo lavoro si propone in particolare di approfondire le ripercussioni che questo evento ha avuto sui rapporti tra il PCI e lo “storico” alleato sovietico. La tesi è suddivisa in tre parti: la prima contestualizza la “Primavera di Praga” all’interno di un anno denso di avvenimenti come il 1968, dando un quadro sintetico dello sviluppo del movimento di protesta giovanile, degli avvenimenti che furono all’origine del processo di riforma avviato da Alexander Dubček in Cecoslovacchia e del progressivo svilupparsi della sua azione nei primi mesi del 1968 fino all’intervento militare sovietico; nella seconda parte si delinea l’evoluzione della politica interna ed estera del PCI nel corso degli anni Sessanta attraverso l’ultima fase della segreteria di Palmiro Togliatti, leader storico del partito, e del suo successore Luigi Longo, politica che pone le premesse fondamentali per comprendere l’atteggiamento dei comunisti italiani nei confronti della Primavera di Praga e dell’invasione sovietica; nel capitolo conclusivo attraverso gli articoli de «L’Unità» si esamina mese per mese l’atteggiamento del PCI nei confronti delle “Primavera di Praga”. Grazie ai resoconti degli inviati del quotidiano si può cogliere infatti l’evoluzione della posizione del partito, i motivi che portarono alla scelta di appoggiare con convinzione l’azione di Dubček e dei riformatori, ma anche i dubbi, i timori e i contrasti che caratterizzarono il confronto interno al gruppo dirigente del PCI. Allo stesso tempo si può constatare come la questione cecoslovacca portò un netto mutamento anche nei rapporti con l’URSS di Brežnev e con il resto del movimento comunista mondiale. Fin da subito il PCI mostrò infatti una netta contrarietà nei confronti della possibilità di un intervento militare sovietico in Cecoslovacchia. In seguito, al momento dell’invasione, il PCI si trovò davanti dunque ad uno dei passaggi più critici della sua storia, per alcuni dirigenti fu un momento traumatico, per la prima volta il partito espresse pubblicamente il suo «grave dissenso e la riprovazione» nei confronti di Mosca. Si trattava pur con tutti i limiti e le incertezze, specialmente nella successiva fase della normalizzazione, di una prima “svolta”, un passaggio storico per il partito. Tra il 1968 e il 1969 in vari incontri il PCUS cercò con forti pressioni di convincere il PCI a riallinearsi sulle proprie posizioni e in particolare ad accettare la “dottrina Brežnev” sulla sovranità limitata dei paesi e dei partiti comunisti e di conseguenza la normalizzazione della Cecoslovacchia. Tuttavia a differenza della maggior parte dei partiti comunisti occidentali, che, dopo il dissenso iniziale, nel corso dei mesi andarono riallineandosi progressivamente sulle posizioni di Mosca, il PCI riuscì a mantenere un certo grado di autonomia e a far accettare alla dirigenza sovietica questa situazione, senza peraltro giungere ad una rottura netta.
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Informazioni tesi
Autore: | Enrico Salis |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Cagliari |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere moderne |
Relatore: | Francesco Atzeni |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 173 |
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