Il dolore sottratto. Leggendo Ivan Illich
Questa ricerca ri-guarda un orrore: orrore che appare ai nostri occhi nel momento in cui il corpo malato –divenuto caso– viene esposto alla nostra attenzione di pubblica opinione, di pubblica dissacrazione ed invasione della corporeità della persona malata, e del suo dolore. Faccio riferimento ad una quotidianità, dal carattere prettamente occidentale e “sviluppato”, in cui la cura della salute pare essere tanto centrale quanto discussa nelle sue pratiche e possibilità di applicazione. Viviamo oggigiorno in un contesto in cui la medicina ha assunto i caratteri di una medicina istituzionalizzata; con ciò si intende che la medicina è divenuta istituzionalizzata non solo per quanto riguarda la propria struttura interna, bensì nell’essere stata accorpata ad ogni aspetto, strategia o scelta a livello istituzionale, politico e sociale. La salute e la salvaguardia della vita sono concetti oggi affermati ed auspicati da ogni pulpito: tanto affermati quanto sviliti, difesi con la spada –spesso alienata– di una tecnica ormai talmente avanzata da poter influire, con il nostro consenso e la nostra pretesa, sui processi naturali della vita, della malattia, del dolore. Si tratta di un contesto in cui la vita del singolo è organizzata scientificamente. Tutto ciò dà luogo ad un nuovo tipo di sofferenza. Tali concetti risuonano nelle parole e nei testi di Ivan Illich, autore la cui lettura ispira le considerazioni raccolte in questa tesi. In alcuni dei suoi testi egli descrive il modo in cui, nella modernità, sia evidente una sorta di pervertimento, dovuto all’istituzionalizzazione di quanto nasceva con il positivo intento di cura della salute e che si sta ora rendendo fulcro di una ritorsione quanto più senza controllo e senza limite, tanto più negata ed ignorata. E’ questo il caso della medicina. L’opera in cui Illich si esprime in tal senso è titolata “Nemesi medica”. I limiti, ed il pericolo di ignorarli, sono il tema principale di questo testo; la spiegazione del concetto di nemesi risiede nell'accorgersi che nella storia della medicina le politiche riguardanti la prestazione di cure, e la difesa contro gli effetti nocivi delle cure stesse, provocano una reazione paradossale che è costituita da un aumento del danno anziché dalla sua diminuzione, per cui ciò che era nato per portare beneficio si risolve in un’ulteriore sofferenza per l’uomo. In questo testo lo studioso analizza i vari modi in cui l’egemonia medica depotenzia (disables) i propri pazienti disfacendo il loro coraggio e la loro capacità di guarire, di soffrire e di morire, in un panorama in cui la cura della salute si tramuta in un prodotto di consumo, in cui ogni sofferenza viene ospedalizzata e le case diventano inospitali per la nascita, la malattia, la morte; si tratta di un quadro in cui anche la lingua stessa in cui le persone possono fare esperienza dei propri corpi si trasforma in un burocratese incomprensibile. Illich sostiene a proposito che il trattamento medico incondizionato tolga alla sofferenza e alla morte il loro senso, scardinando inoltre le tradizioni culturali che in passato permettevano alla gente di affrontarle con dignità. Non si intende assolutamente negare alla medicina i suoi meriti. Ciò che il filosofo critica è piuttosto il fatto che la medicina abbia finito con l'imporsi in modo egemonico, ed il termine salute sia divenuto appannaggio di intenzionali forzature del corpo, della vita e della morte della persona-paziente. La persona-paziente, ovviamente, è ciascuno di noi, poiché noi tutti viviamo nel contesto istituzionalizzato sopra descritto; contesto in cui sorge un problema tipicamente moderno: come spiegare, come parlare di vita in uno scenario in cui tutto viene organizzato nell’ottica di una salute programmata scientificamente? Uno scenario in cui predomina la produzione artificiale di corpi sani e di soggetti malati, di definizioni di malattia e di malattie stesse, in modo tanto arbitrario quanto spaventosamente esteso? Quella finora descritta è forse, per quanto non unica, una delle modalità e delle pretese più permeanti da parte degli organismi che si occupano della gestione e della regolamentazione della vita civile, in un’assunzione di responsabilità – o irresponsabilità – e di potere senza precedenti. Sarebbe difficile negare che tutto questo abbia condotto ad una profonda modificazione nella cultura e nelle forme individuali di approccio alle dimensioni del corso e della durata della vita, del modo di vivere il dolore e di affrontare la morte; Illich sostiene a riguardo che la medicina organizzata professionalmente sia venuta assumendo la funzione di un’impresa morale dispotica, giungendo a minare la capacità degli individui di far fronte alla propria realtà, di esprimere propri valori e di accettare il dolore, la menomazione, la decadenza e la morte. Questi gli interrogativi e gli argomenti alla base di questa tesi.
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Informazioni tesi
Autore: | Clizia Buniotto |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Verona |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Gianluca Solla |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 39 |
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