Il consumo di droghe. Tra Psiche e Techne. Per una prospettiva psico-antropologica.
Non di rado è possibile leggere sui quotidiani nazionali titoli sensazionalistici come “La droga uccide” o “La chimica della morte”, seguiti da articoli che descrivono i terribili effetti che certe droghe hanno sulla psiche. La fonte d’ispirazione per questi report trae spunto, oltre che dai decessi correlati all’utilizzo di certe droghe, dagli esiti di alcuni studi di psicologia clinica terminatisi con risultati e titoli d’impatto, come ad esempio la ricerca decennale di Ricaurte conclusa con il titolo – sentenza “Severe Dopaminergic Neurotoxicity in Primates After a Common Recreational Dose Regimen of MDMA”. Com’è stato ampiamente discusso nel capitolo 6, i risultati di Ricaurte sono stati smentiti da altre ricerche successive, ma i media e la politica non hanno preso atto dei nuovi risultati e l’ecstasy è ancora oggi considerata come una tra le droghe più devastanti.
Anche il movimento psichedelico degli anni ’50 e ’60 è responsabile del significato negativo che rivestono oggi le sostanze psicoattive nella società occidentale post-moderna. Sebbene alcuni suoi esponenti abbiano contribuito a chiarire il ruolo delle droghe, in particolare degli allucinogeni, nelle società arcaiche, essi hanno reclamizzato fin troppo le possibili proprietà spirituali insite in esse, senza compiere prima approfonditi studi empirici adatti a esaminare le diverse variabili presenti; basti considerare come esempio il “Good Friday Experiment” effettuato da Phanke e descritto nel capitolo 5. Inoltre, non si può negare che alcuni atteggiamenti “messianici” mostrati da personaggi quali Leary o Castaneda, più simili a star cinematografiche che a seri ricercatori dediti a scrupolose indagini di laboratorio, abbiano comprensibilmente rappresentato per la comunità scientifica un motivo per delegittimare tutta la sperimentazione legata all’esperienza psichedelica.
Se prendiamo adeguate distanze dal modo di procedere del movimento psichedelico, e dai verdetti emessi dagli studi di psicologia clinica che con estrema facilità giudicano lo stato di coscienza alterato da droghe (es. DMT) come schizofrenico, e accogliamo con fiducia altri studi clinici che non hanno sentito l’esigenza di propagandare i loro risultati al grande pubblico, possiamo avvicinarci a comprendere il perché dell’ostilità nei confronti del consumo degli enteatogeni. Come abbiamo visto, Griffits et al. (2006) hanno mostrato come la psylocibina sia capace, quando assunta seguendo le norme del set e del setting, di indurre un esperienza di tipo mistico (James, 1902), mentre Strassman (1994, 1996) ha osservato come il DMT riesca a inibire nella mente i processi logico-cognitivi, sostituendoli con forme di pensiero simbolico. L’evoluzione della psiche umana, secondo Jung, è passata da uno stadio arcaico in cui la mente era pervasa da processi di tipo simbolico, a uno stadio dove i processi seguono modalità logico - raziocinanti. Questo cambiamento è stato dettato per arginare il potere insito nell’inconscio collettivo e negli archetipi, poiché, il loro libero e incontrastato flusso verso i reami della coscienza può essere motivo di gravi squilibri psichici. Se da una parte questo processo ha favorito il successo evolutivo della specie umana, dall’altro ha condotto l’individuo a forme di ragionamento sempre più raziocinati. Questo graduale percorso ha però subito una sostanziale accelerazione in seguito alla rivoluzione operata dalla Techne, e qui descritta sommariamente nel capitolo 1. La Psiche non sembra però (ancora) disposta a compiere il passo definitivo verso il suo totale inserimento entro i puri schemi cognitivo – razionali. L’incremento del consumo di certi psicotropi può essere così giudicato come un segno di questo rifiuto da parte della Psiche a conformarsi ai dettami imposti dalla Techne. Una dimostrazione di ciò deriva dal giudizio di significato più che positivo dato dalla società a certe droghe prestazionali, quali ad esempio i farmaci psicoanalettici (es. metilfenidato) capaci di dissipare i disturbi psicoastenici derivati dagli stressor techno – ambientali, e promossi dalla medicina ufficiale in connubio con le case farmaceutiche. Simili sostanze grazie ai loro principi attivi riescono ad abolire la distanza prometeica tra la Psiche e la Techne, consentendo alla prima di effettuare diligentemente i propri servizi indispensabili per il mantenimento della seconda.
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Informazioni tesi
Autore: | Igor Vegni |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Pisa |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Elena Calamari |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 306 |
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