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Il concetto di comunità nella ''Nuova Eloisa'' di Rousseau

Il termine comunità è di uso comune nel linguaggio odierno dove, in un’accezione generica, viene spesso usato come sinonimo di società.
In realtà, a partire dalla riflessione di Ferdinand Tönnies in Comunità e società (1887), nella ricerca filosofica e sociologica i due concetti tendono ad essere considerati l’uno l’opposto dell’altro, o, ad ogni modo, portatori di significati ben distinti.
“Comunità” viene infatti ad indicare, nell’accezione maggiormente condivisa, una forma di socializzazione nella quale gli individui sono legati da un tipo di coesione solidale, affettivamente fondata, mentre per “società” si intende un insieme di persone che si rapportano reciprocamente con atteggiamento strumentale, tenendo ciascuno in vista il proprio fine e il proprio interesse.
Ad esempio, Charles Taylor, ne Il disagio della modernità , evidenzia come l’individualismo, pur essendo considerato da molti una delle massime conquiste della civiltà moderna, sia uno dei problemi della nostra società. Infatti esso si accompagna alla perdita di una visione più ampia del mondo, in cui l’uomo si sentiva parte di un ordine più grande, cosa che spinge l’individuo a ripiegarsi su se stesso e a confinarsi nella solitudine del proprio cuore. “Il lato oscuro dell’individualismo è il suo incentrarsi sull’Io, che a un tempo appiattisce e restringe le nostre vite, ne impoverisce il significato, e le allontana dall’interesse per gli altri e per la società.”
In effetti, in una società della globalizzazione, sempre più individualizzata, come quella in cui noi viviamo, risulta sempre più evidente il venir meno di modalità di relazione solidale ed affettiva. Di qui nasce quel bisogno di comunità di cui parla Zygmunt Bauman in Voglia di comunità . L’autore afferma che, se alcune parole destano particolari sensazioni, comunità è sicuramente una di queste: essa emana infatti un’impressione piacevole, qualunque sia il suo significato. Comunità è un posto caldo, intimo e confortevole, all’interno del quale ci sentiamo al sicuro. E’ inoltre il luogo della gratuità e della reciprocità, dove è possibile contare sulla benevolenza di tutti. “Far parte di una comunità” è dunque percepito come qualcosa di buono. Lo stesso Tönnies, pur nella pretesa oggettività scientifica, sembra mostrare una certa preferenza per la comunità, quale luogo di solidarietà e comprensione reciproca, laddove, nella società, tutto procede dai freddi calcoli dell’intelletto.
Bauman sottolinea però anche la discrepanza tra la comunità “dei nostri sogni” e quella realmente esistente: questa richiede infatti lealtà incondizionata, ubbidienza assoluta, perdita di libertà di scelta. La dicotomia tra comunità e individualità sembra essere difficilmente risolvibile.
Nonostante il fatto che la maggior parte degli studi su questo argomento analizzi la storia del concetto di comunità, nel senso moderno del termine, partendo dall’opera Tönnies, è importante sottolineare che, anche prima di questo pensatore, è possibile evidenziare tracce di una riflessione su questo tema. E’ lo stesso J.-J. Rousseau che, attraverso le pagine della Nuova Eloisa , ce ne fornisce una prova: nella descrizione di Clarens è infatti possibile ritrovare sia l’elemento caldo e solidale tipico del concetto di comunità, sia i suoi limiti intrinseci.
Attraverso le pagine che Rousseau dedica alla descrizione di Clarens, è possibile ricavare una teoria della comunità, ed anche alcune somiglianze con concetti che saranno sviluppati dalla riflessione successiva su questo tema, da Tönnies in poi.
Clarens è infatti il luogo della solidarietà e della reciprocità, in cui è possibile rintracciare quella comprensione, forza sociale che tiene gli uomini insieme come membri di un tutto e che poggia su un’intima conoscenza reciproca, che sta alla base della comunità tönnesiana. Ciò che unisce gli abitanti di Clarens è un progetto comune di vita, in cui il bene collettivo, il bene di tutti, ha la priorità rispetto ai meri interessi individuali.
Qui l’unione nasce dalla spontanea affinità dei suoi membri, non c’è bisogno di alcuna mediazione giuridica o di leggi, sostituite invece dalla genuina manifestazione del sentimento, tanto che Clarens può assomigliare alla società “al di qua del conflitto” di cui parla Sandel , in cui non si avverte la necessità del diritto positivo.
Rousseau ci consente però di cogliere anche i limiti di questa comunità: non tutti infatti vi possono essere ammessi. Clarens non sembra essere in grado di rispondere adeguatamente alla sfida della diversità: è necessario possedere gli stessi valori, uno stesso stile di vita per essere pienamente “inclusi” in questo mondo, e chiunque non abbia certe caratteristiche è necessariamente lasciato fuori.

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3 INTRODUZIONE Il termine comunità è di uso comune nel linguaggio odierno dove, in un’accezione generica, viene spesso usato come sinonimo di società. In realtà, a partire dalla riflessione di Ferdinand Tönnies in Comunità e società 1 (1887), nella ricerca filosofica e sociologica i due concetti tendono ad essere considerati l’uno l’opposto dell’altro, o, ad ogni modo, portatori di significati ben distinti. “Comunità” viene infatti ad indicare, nell’accezione maggiormente condivisa, una forma di socializzazione nella quale gli individui sono legati da un tipo di coesione solidale, affettivamente fondata, mentre per “società” si intende un insieme di persone che si rapportano reciprocamente con atteggiamento strumentale, tenendo ciascuno in vista il proprio fine e il proprio interesse. Generalmente, a partire dalla modernità, il dibattito su tale tematica prende corpo e si sviluppa nei momenti di maggiore crisi del legame sociale. Ed è proprio per questo motivo che una riflessione su questo concetto appare oggi sempre più interessante e attuale. Ad esempio, Charles Taylor, ne Il disagio della modernità 2 , evidenzia come l’individualismo, pur essendo considerato da molti una delle massime conquiste della civiltà moderna, sia uno dei problemi della nostra società. Infatti esso si accompagna alla perdita di una visione più ampia del mondo, in cui l’uomo si sentiva parte di un ordine più grande, cosa che spinge l’individuo a ripiegarsi su se stesso e a confinarsi nella solitudine del proprio cuore. “Il lato oscuro dell’individualismo è il suo incentrarsi sull’Io, che a un tempo appiattisce e restringe le nostre vite, ne impoverisce il significato, e le allontana dall’interesse per gli altri e per la società.” 3 In effetti, in una società della globalizzazione, sempre più individualizzata, come quella in cui noi viviamo, risulta sempre più evidente il venir meno di modalità di relazione solidale ed affettiva. Di qui nasce quel bisogno di comunità di cui parla Zygmunt Bauman in Voglia di comunità 4 . L’autore afferma che, se alcune parole destano 1 F. Tönnies, Gemeinschaft und Gesellschaft, O.R. Reislad, Leipzig 1887; ed. it. Comunità e Società, Edizioni di comunità, Milano 1963 2 C. Taylor, The malaise of modernity, Canadian Broadcasting Corporation, 1991; ed. it. Il disagio della modernità, Laterza, Roma-Bari, 2002 3 Ibid., pp. 6/7 4 Z. Bauman, Missing Community, 1991; ed. it. Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari 2001

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