Il cinema cyberpunk: la trasformazione del corpo in macchina
Iniziamo un viaggio attraverso l’universo detto cyber, da ''Cibernetics”, parola che lo scienziato Norbert Wiener inventa nel 1947 derivandola dal greco ''Kybernanan'' (pilotare), per indicare quella scienza che studia e progetta macchine capaci di autoregolarsi. Partiamo alla scoperta di una corrente letteraria, che ha il suo più florido sviluppo intorno agli anni ’50 e ’60, alla scoperta degli scrittori che maggiormente hanno contribuito all’evoluzione della narrativa fantascientifica. Ballard, Dick, Burroughs, Gibson, ci guidano in un mondo di corporalità mutanti, di codici immaginari, di ricercate contaminazioni tecnologiche, in cui il concetto di uomo, suprema incarnazione del ''logos'' occidentale, si offusca fino a scomparire. Attraversando la narrativa e approdiamo al cinema, a tutto ciò che il mezzo può farci vedere e non solo immaginare, e prendiamo in considerazione solo uno degli innumerevoli motivi caratterizzanti il movimento cyberpunk: l’androide. “Smarrito il referente antropocentrico cosa rimane alle generazioni future come inizio genealogico di una specie diventata sempre meno umana?”
Partendo da film che non appartengono al punto di vista Occidentale, con “Uno Sguardo dall’Estremo Oriente”, poniamo l’attenzione su trasformazioni casuali di uomini in macchine, in simbiotiche costruzioni infernali. E’ il caso di Tetsuo, un’incontrollabile ed inspiegabile mutazione, in qualcosa che non è più o meno dell’uomo, ma qualcosa di diverso da esso, solo una forma che permette di essere più forte.
Trasferendoci nel mondo manga, (Ghost in the Shell), parliamo di cyborg, fatti da uomini, a loro immagine e somiglianza, che imparano a vivere e non solo a funzionare per gli scopi per cui sono stati progettati, che sviluppano una coscienza tutta propria, uno spirito (ghost) che possono trasportare da un corpo “guscio” ad un altro. Lo stesso Philip Dick, con il suo “Do the Androids Dream of Electrik Sheep”, aveva, a suo tempo, mostrato in modo più che esauriente l’attaccamento alla vita di un essere che vita non aveva. Cosa differenzia l’uomo dalla macchina: il corpo di uno, limitato, debole, mortale, rispetto alla prestanza fisica, alla forza, alla potenza dell’altro; o forse l’anima? Può un cyborg, commistione tra l’essere umano e la macchina, tra la carne e la tecnologia, avere una morale? Nell’orizzonte cinematografico sembra proprio di sì. Molti dei film analizzati parlano di esseri dediti alla parzialità, creature di un mondo post-umano, che ha abbandonato ogni integrità organica e sessuale, immemore della storia passata e di una propria atavica origine.
Un corpo cyborg diviene sinonimo di libertà assoluta, simbolo del sogno di un'umanità che, nel metallo, ha pensato di poter sublimare la propria deficienza organica.
Il Cyborg non cerca un'identità unitaria e per questo non genera dualismi tra corpo e mente, naturale ed artificiale, ma dimostra solamente l'intenso piacere della tecnica, della dissoluzione dell'organico: ''la macchina non è un peccato, ma un aspetto dello stare nel corpo, non è una cosa da adorare, animare, ma una nostra incarnazione. Siamo i responsabili della macchina, dei nostri confini corporei che dobbiamo costruire e decostruire''. Così anche i nuovi ibridi umano-meccanici tradiscono la fede tecnologica dei loro creatori. Con “Blade Runner, il capostipite” ci ritroviamo in un mondo dove ormai sono quasi indistinguibili i cyborg dagli esseri umani. Infine, come non citare, in un ipotetico volo al di sopra le tematiche della mutazione, David Cronenberg, il regista del corpo, il visionario delle trasformazioni. Come non soffermarci su chi con la carne e il corpo umano gioca, infilando fili ed elettrodi, cambiandone il significato e l'utilizzo finale.
Da Videodrome ad eXistenZ, il corpo per Cronenberg è in continua evoluzione: parla di rinascita, più che nascita, e per questa è necessario utilizzare ciò che la tecnologia ci sta offrendo/imponendo.
Non solo al cinema, ma anche a teatro, sembra forte la componente macchina: compagnie come La Fura dels Baus, rincorrono un loro ideale spettacolo fatto di uomini e robot, dove questi ultimi hanno ruoli determinanti all’interno della performance.
Ma c’è anche chi, non solo visualizza e realizza in video, o su un palco, la sua proiezione di uomo, ma la costruisce lavorando sul proprio corpo.
La Body Art, ne è il più esplicito e terrificante esempio. Stelarc o Orlan sperimentano su se stessi, amplificando le possibilità del loro fisico, applicandosi arti aggiuntivi, placche di metallo sotto la pelle.
Ma in tutti gli scorci da cui abbiamo potuto guardare il nostro nuovo corpo, e la sua relazione con una mente mutata, si è rivelato il fallimento di un eden meccanico che liberi l'uomo dall'angoscia della morte e del tempo.
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Informazioni tesi
Autore: | Silvia Minguzzi |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1999-00 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere moderne |
Relatore: | Orio Caldiron |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 243 |
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