Il cinema americano fra l'11 settembre e l'elezione di Obama. Temi e caratteristiche di una parabola allegorica.
Come il sogno si incunea nella coscienza individuale, rivelando paure e desideri, nello stesso modo il cinema rivela le speranze, come gli incubi, di una popolazione. Il film non nasce in laboratori chiusi, forgiato esclusivamente da esigenze estetiche o economiche, ma è un magma che si lascia plasmare dagli stati d’animo dello spettatore. E’ dall’incontro dello sguardo del pubblico e la luce dello schermo che nasce la cinematografia futura: da una parte, lo spettatore dà abitazione al film nutrendo la propria visione della realtà; dall’altro, il film deve necessariamente seguire i binari tracciati dall’immaginario collettivo.
Ed è normale che un evento come l’11 settembre, il quale ha sancito una “dichiarazione di guerra depositata non ad ambasciatori, ma allo sguardo di ciascuno di noi”, abbia prodotto degli effetti devastanti sulla cinematografia americana. Effetti che non sono da rinvenire solo epidermicamente, ovvero nella presenza di film che ricostruiscono, sotto plurime prospettive, il crollo delle Twin Towers o l’ossimorica operazione di guerra “Giustizia Infinita”. Gli effetti più importanti sulla cinematografia hollywoodiana sono invece da ritrovare nella grammatica dei nuovi film, nelle allegorie, nel nuovo modo di concepire la frontiera. Come la storia americana, anche il cinema americano è un cinema di frontiera. Come scrive Gian Piero Brunetta, la frontiera ha sempre funzionato per lenire i sensi di colpa americani legati alla colonizzazione. Per questo, essa è sempre stata un luogo d’incontro, non di scontro, uno spazio palingenetico dell’io che diviene noi: è nel deserto che, anticamente, il pioniere smarriva le radici europee e sognava una società migliore. Ma dall’11 settembre in poi, Hollywood ha realizzato una serie di opere che esprimono una chiusura spazio/temporale, concentrate nella paura dell’altro e nell’angoscia del futuro. La frontiera, quintessenza della cinematografia made in Usa, oggi è un luogo rimosso o pericoloso. Quando non conduce alla morte, è osteggiata, negata o, al massimo, vissuta in parentesi oniriche che contrastano con gli spazi angusti del reale. Si tratta di storie paralizzate nell’introspezione, di personaggi incapaci di guardare avanti.
Dall’11 settembre ad oggi, a quasi due anni dall’elezione del primo Presidente di colore della storia degli States, qualcosa nel cinema americano sta di nuovo cambiando. Dove prima l’uomo era in balìa del wildness, ed una forza ignota, parente del caos, lo costringeva ad esimersi dal rischio di provare a cambiare le cose, ora lo stesso uomo inizia ad aver coscienza che il controllo di ciò che lo circonda può essere nelle proprie mani. Forse la paura sta lasciando posto alla speranza.
L’analisi della nuova stagione cinematografica americana viene compiuta attraverso l’analisi di alcuni più importanti film usciti dal 2002 al 2009. Fra i titoli, “La 25ma ora”, “The village”, “A history of violence”, “Radio America”, “Non è un paese per vecchi”, “E venne il giorno”, “The Wrestler”, fino all’epocale “Gran Torino”.
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Informazioni tesi
Autore: | Dario Di Viesto |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Bari |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale |
Relatore: | Oscar Iarussi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 117 |
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